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Franchising e crisi (del lavoro…soprattutto) – terza parte

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Eccoci giunti alla conclusione di questo intervento “Franchising e crisi (del lavoro…soprattutto)”. Sinceramente la trattazione avrebbe ancora necessità di approfondimenti, ma ritengo che la suddivisione in tre parti  e gli argomenti trattati siano più che sufficienti per fornire le necessarie informazioni utili ad apprendere la ratio di ciò che ho inteso trasmettere ai lettori.

Un breve riepilogo. 
A conclusione della prima parte ho individuato due azioni con le quali avrei chiarito come e su cosa debba basarsi un ottimo rapporto tra “franchising e lavoro”:

  1. attività di formazione per la “cultura del franchising”;
  2. attività di prevenzione per rimuovere “l’ingannevolezza nel franchising”.

Dopo aver analizzato il primo punto nella seconda parte, vediamo adesso la terza ed ultima parte.

La materia “ingannevolezza nel franchising” è argomento molto ampio. Numerosi gli interventi in materia da parte dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, inclusi quelli per uso improprio e fraudolento del termine “franchising” a fini attrattivi.
Vediamo un caso alquanto “eclatante” che ancora non è balzato alle cronache e che ancora non è stato oggetto di indagini ed approfondimenti da parte della stessa AGCM. Si tratta di un argomento sul quale sto personalmente e professionalmente cercando di rendere pubblico e diffondere il più possibile proprio perchè assolutamente “pericoloso” in quanto fa leva sulle necessità di lavoro e che, quindi, opera su aspetti “umani” ad alta sensibilità, quindi, alta vulnerabilità. E’ argomento che si colloca pienamente nel precedente punto 2, “rimuovere le attività di ingannevolezza nel franchising”, ma che sicuramente rientra anche in quello al punto 1,“creare cultura del franchising”. Prima di illustrare quanto oggetto del presente intervento, suggerisco anche la lettura di questi due interventi certamente utili ad integrarlo anche con una analisi “tecnico-giuridica”:

  1. Reti, vendite e piramidi: bene chiarire, meglio distinguere (prima parte);
  2. Reti, vendite e piramidi: bene chiarire, meglio distinguere (seconda parte).

INGANNEVOLEZZA E LAVORO: IL CASO “MICROFRANCHISING”

Come noto, alcune imprese operanti nel Multi Level Marketing (non tutte, ovviamente) sono note per l’uso di tecniche di comunicazione e di coinvolgimento che spesso e volentieri assomigliano a quelle utilizzate da “sette” o movimenti religiosi-culturali o di carattere etico-sociale. Questa affermazione non giunge da una mia opinione, ma da alcuni tristi episodi che si sono trasferiti dalle sedi aziendali alle sedi di Tribunali sfociando nel penale.

All’uso di tecniche di comunicazione distorte, non è sfuggito neanche il “microfranchising”.
Vorrei invitarvi a provare ad avviare una ricerca sul web e digitare la parola “microfranchising” impostando la ricerca con “pagine in italiano”.
NON LO FATE, ALTRIMENTI QUESTE RICERCHE FARANNO STATISTICA E QUALCUNO POTRA’ ESSERE FELICE DI SFRUTTARE TUTTO QUESTO E PROSEGUIRE NELL’USO DI QUESTE MODALITA’. FIDATEVI. Più avanti troverete un link che vi condurrà al significato di microfranchising.
Il risultato di una ricerca del genere è desolante: solo ed esclusivamente offerte di Multi Level Marketing di vari prodotti, dai sistemi di comunicazione ai prodotti alimentari, energetici, ecc. più o meno miracolosi. Purtroppo, nel nostro paese, a tale termine trovano riferimento “offerte di lavoro” come agenti di commercio, procacciatori di affari e, soprattutto, incaricati alla vendita a domicilio.
Se, invece, effettuate la ricerca generica in tutte le lingue, vi garantisco che troverete molti siti stranieri che parlano correttamente dell’argomento. All’estero, soprattutto USA, a tale termine corrisponde l’esatto significato con possibilità di reperire vere e proprie opere editoriali, studi e ricerche di Università, di economisti, di esperti di finanza, ecc..

Il termine “microfranchising” è un termine relativamente nuovo e per far comprendere subito che dietro ci sono valori etici e sociali di tutto rispetto, possiamo accostare il “microfranchising” al “microcredito” o alla “microfinanza”.

Si tratta, quindi e ancora una volta, di un uso distorto del termine franchising ?
Non voglio dare una risposta, ma è premura illustrare cosa realmente ed effettivamente sia il “microfranchising” lasciando a tutti voi il giudizio finale. Altro obiettivo è quello di fornire tutti gli elementi per procedere ad una valutazione più consapevole quando qualcuno si troverà innanzi ad offerte di “microfranchising” di stampo nazionale.
Quello che devo, però, specificare è che l’appropriazione del termine “microfranchising” è “rafforzata” dagli operatori italiani attraverso registrazioni di marchi e di domini internet riportanti lo stesso termine e, sia i marchi, sia i siti, non trattano l’argomento microfranchising in una benchè minima forma assimilabile ai valori etici e sociali.

IL MICROFRANCHISING (quello vero)

Il microfranchising, è stato, ed è ancora, oggetto di studio ed analisi anche da parte di alcune Università statunitensi su iniziativa del Centro Ballard che opera nella ricerca di soluzioni a problemi sociali per un cambiamento sostenibile.
Per questo, coinvolgendo, appunto, varie Università, le sue ricerche si sono concentrate sul microcredito, sulla microfinanza e sullo sviluppo di microimprese al fine di fornire opportunità commerciali e di servizi in aiuto ai più poveri del pianeta introducendo concetti di business in scala ridotta individuabili nelle organizzazioni di franchising di successo.
Il principio fondamentale, che ne determina anche la definizione, è la replica del successo in scala di un business model (che è uno degli elementi fondamentali del vero franchising) promuovendo, così, lo sviluppo economico attraverso l’attuazione di tali modelli di business da parte di micro-imprenditori in aree sottosviluppate dove la dimensione “micro” potrebbe consentire uno start-up di sviluppo arginando le difficoltà di sopravvivenza.
Per suggellare ancora l’importanza dell’argomento, si ritiene opportuno citare anche una sintetica bibliografia.
Due dei testi di maggiore successo che trattano l’argomento in forma molto dettagliata, sono:

  • Microfranchising – Creating a wealth at the bottom of the pyramid”, di Stephen W.Gibson, W.Gibb Dyer e Jason S.Fairbourn, nel quale sono analizzati diversi modelli di microfranchising con descrizione di casi specifici e dei loro effetti in diverse parti del mondo e si conclude con approfondimenti circa i vantaggi, ma anche i potenziali problemi e le insidie che accompagnano microfranchising;
  • Ending Global Poverty: The MicroFranchise Solution”, di Kirk Magleby, un libro che ha contribuito a lanciare decine di progetti Microfranchise in tutto il mondo. E’ stato presentato nel 2006 al concorso di scrittura della Banca Mondiale/Financial Times come soluzioni alla povertà proposte dal settore privato.

A ciò possiamo aggiungere due studi molto importanti:

  • Microfranchising at the base of the pyramid”, di David Lehr, per conto del “Acumen Fund”;
  • Microfinance e microfranchising: a feasibility study – The final report”, di Emily Bracken, Nicole Chao, Darin Phaovisaid, and Brian Slocum (MA Candidates,International Development Studies) della Elliott School of International Affairs,The George Washington University, per conto di Finca International (Foundation for International Community Assistance).

Come riportato in tali opere editoriali, il termine “micro”, nel “microfranchising”, ha una valenza ed un significato maggiore rispetto ai sinonimi “mini” o “piccolo”. “Micro” è “l’essenza” del “microfranchising” ed è “essenziale” per lo stesso.

Il microfranchising ha una connotazione assolutamente sociale che fa riferimento alla base della popolazione mondiale, alla riduzione della sua povertà, alla benevolenza: è alla “base della piramide” (Base of the pyramid – BOP) e rappresenta il concetto di “sostenibilità economica”.

Nella microfranchise, il franchising fornisce il concetto di replica in scala e di concessione di diritti o per l’accesso ad un sistema di business testato. Si tratta di un’operazione di standardizzazione e schematizzazione del business prestando attenzione ad ogni suo aspetto fino a quando non si trasformi in un’operazione chiavi in mano per poi essere replicato in scala (ridotta).
E’ l’obiettivo a caratterizzare e distinguere il microfranchising dal franchising tradizionale. Per esempio:

  • nel franchising tradizionale, lo scopo è quello di crescere rapidamente al fine di incrementare i profitti;
  • nel microfranchising, l’attenzione è rivolta più al microfranchisee e di come lo stesso possa ricevere vantaggi e superare la soglia della sopravvivenza dal partecipare ad un sistema imprenditoriale testato e codificato.

Una microfranchise è creata per aiutare i poveri a creare un reddito sostenibile attraverso la riduzione del rischio, la fornitura di formazione, assistenza e tutoraggio specifica e costante con riduzione degli oneri di avvio.
Occorre, infatti, considerare che molte delle piccolissime imprese gestite da persone in paesi in via di sviluppo, non riescono (anche per scarse conoscenze di buona gestione dovute ad una forte assenza di istruzione) neanche a produrre i minimi livelli di sussistenza, lasciando centinaia di milioni di persone in povertà.
Il microfranchising è, quindi, un nuovo strumento progettato appositamente per aiutare questi piccolissimi imprenditori a diventare più efficaci e raggiungere l’autosufficienza economica, attraverso la fornitura di modelli di business di successo, con la formazione iniziale e permanente necessarie a guidare le imprese.
Certo, non posso sostenere che il microfranchising sia un “toccasana” per lo sviluppo economico e per le sfide sociali nei paesi in via di sviluppo (fino ad oggi non esistono strumenti ritenuti perfettamente idonei a soddisfare tali esigenze), ma, come sostengono molti esperti del settore, i primi segnali dei benefici del microfranchising sono molto incoraggianti, seppur abbiano bisogno di essere ancora studiati, sperimentati e raffinati. Molti sono ancora gli elementi che pongono una serie di riflessioni che di volta in volta sono affrontate nei vari studi e ricerche che organismi internazionali effettuano sul settore.

I PRINCIPALI MODELLI DI MICROFRANCHISING (quello vero)

Anche se esistono una moltitudine di differenti modelli di microfranchising, tre sono i principali rapporti predominanti, seppur all’interno di questi possono esserci differenze nei particolari. Nucleo fondamentale di un microfranchising è sempre un’organizzazione (denominata “Parent”, ma nella dizione esatta, “Microfranchise Organization”, in genere organizzazioni noprofit):

  • Microfranchising basato sul modello tradizionale di franchising

Un’organizzazione “Parent” provvede a creare opportunità in franchising. Le caratteristiche rispecchiano fortemente il franchising tradizionale: un manuale su come avviare e gestire la franchise; assistenza allo start-up con formazione iniziale e continua; controllo di qualità e continuo monitoraggio; supporto di marketing e pubblicità, ecc..

  • Business-in-a-box o Business in bag

Un’organizzazione “Parent” crea un business plan per la piccola impresa facilmente replicabile e fornisce tutte le informazioni necessarie ad avviare l’impresa. Questo modello può includere la formazione iniziale e l’assistenza allo start-up tecnico o commerciale, ma in generale nessuna altra assistenza è fornita al di là della fase iniziale.

  • Distributori locali

Un imprenditore individuale acquista prodotti finiti da un’organizzazione “Parent”. Il soggetto avvia una piccola impresa per vendere il prodotto in aree dove non è ancora ampiamente disponibile. Il Microfranchisee può beneficiare di marketing dell’organizzazione o il riconoscimento del marchio e, in alcuni casi, la formazione iniziale per la vendita e l’uso del prodotto. Nel nostro ordinamento giuridico è assimilabile al “concessionario”, ma con alcuni elementi aggiuntivi non sempre presenti nei rapporti di concessione in essere in Italia.

CONCLUSIONI (1)

Da quanto sopra sinteticamente descritto, se ne deduce con assoluta facilità che il “microfranchising” ha caratteristiche ed obiettivi etico-sociali di tutto rispetto e, certamente, come l’utilizzo del termine riscontrabile in Italia non è assolutamente rispettoso di tali caratteristiche e di tali obiettivi.

Però, potrebbe essere che gli utilizzatori nostrani offrano l’opportunità di aderire ad un’attività di “microfranchising” per la vendita di prodotti energetici o di sistemi di comunicazione (giusto per citare due esempi) con la metodologia del MLM perchè convinti che l’Italia sia un’area talmente depressa e talmente sottosviluppata, con un così alto numero di poveri da aver bisogno del loro contributo per risolvere il problema della fame, ma, forse, il riferimento è alla “fame di posti di lavoro”, soprattutto di quelli “seri”.

Avevo promesso che non avrei dato un giudizio se siamo in presenza di un uso distorto del termine franchising. Non mantengo la promessa: si, siamo in presenza di tale uso distorto.

Certo è che sottrarre la terminologia ad una iniziativa nobile, con obiettivi di alto valore, che comporta alti sforzi intellettuali ed economici come quelli richiesti dal microfranchising, è veramente scorretto e documenta come qualcuno, preso dalle forti pressioni psicologiche che spesso il MLM porta con sé, si trovi disposto a tutto e senza la benché minima vergogna e senza il benché minimo sentimento etico e deontologico.

CONCLUSIONI (2)

Aggiungo un’altra conclusione a questo intervento così lungo (chiedo scusa ai lettori). Una conclusione con un invito a non sottovalutare gli effetti devastanti che possono conseguire da un approccio distorto al “fare impresa” rispetto al “cercare lavoro”, dove la forte e pressante esigenza del secondo aspetto può causare assenza o carenza della necessaria lucidità e opportuna riflessione richiesta dal primo. Non solo, ma gli effetti negativi possono ancor più aumentare se consideriamo la ancora scarsa conoscenza dello stesso franchising i cui “termini e gli elementi relativi al contratto di franchising“, come pubblicamente confessato negli atti ufficiali da una impresa oggetto di provvedimento da parte dell’AGCM, “a causa della diffusione del tipo nel più vasto ambito dei contratti di distribuzione commerciale, hanno una forza evocativa loro propria nella comunicazione d’impresa e di fronte ai consumatori”.

Credo che tutto questo potrebbe essere già sufficiente per innescare una serie di attività ed iniziative (incluse alleanze tra organizzazioni specializzate) utili ad attivare le due azioni che ho indicato essere utili a a chiarire meglio come e su cosa dovrebbe basarsi un ottimo rapporto tra “franchising e lavoro”:

  1. attività di formazione per la “cultura del franchising”;
  2. attività di prevenzione per rimuovere “l’ingannevolezza nel franchising”.

Queste due azioni (certamente non le uniche) non sarebbero solamente utili agli interessati al franchising, ma l’utilità si estenderebbe anche alla collettività in generale, come sempre accade quando si costruisce cultura. Spero si inneschi velocemente questo processo tra operatori singoli e collettivi, nonché, tra professionisti del settore e tra interessati al settore. Spero. 

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