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Trasparenza, visione e riflessi(oni). Il mondo di Vittorio Livi.

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Per uno come me, nato in pieno baby boom, ascoltare le testimonianze di uomini-che-si-sono-fatti-da-sé ha rappresentato una sorta di leit motiv degli anni della formazione. Poi, ad un certo punto, ho cominciato a prestare una attenzione diversa alle storie di imprese ed imprenditori, motore dello sviluppo economico.

L’interesse non è nato a caso, ormai più di venti anni fa. Mi accorgevo che la generazione capitani d’industria era ormai agli sgoccioli, e se ne stava esaurendo anche la matrice. Da una fase di pura creazione, fondata sul concetto di generazione di (maggior) valore attraverso la combinazione originale dei fattori disponibili, si era ormai giunti alla liquidazione del valore consolidato in anni di crescita, giocando con algoritmi finanziari, e magari anche scommettendo sulla pelle dei veri artefici del Made-in-Italy. Una didascalia al Victoria and Albert Museum di Londra – sezione dedicata alla Storia del Design – cita testualmente: “Italian dominance of design during the 1980s was largely due to the highly-skilled craft base of Italian manufacturing firms combined with their willingness to experiment”.

Da quei tempi sembra oggettivamente passato un secolo.

Per fortuna, benché ormai rarefatti, rimangono però degli esempi di imprenditori puri, quelli che hanno saputo innovare attraverso conoscenza e passione, ponendo prodotti, processi materiali e persone ben prima di indicatori ed indici.

Vittorio Livi è uno di questi.

Non è stato il primo ad utilizzare il vetro come elemento di arredo. Ma ha intuito le potenzialità del vetro piano per svilupparne tutte le dimensioni inesplorate. Lo ha piegato, curvato, sbocconcellato, incollato e poi anche intarsiato con altro vetro. Ha progettato, con i suoi collaboratori, processi e macchinari per renderne sempre più perfetto il taglio, l’incisione, la finitura.

Livi non lo ammetterà mai, ma i prodotti che gli generano più cash-flow sono forse ancora quelli che lui stesso ha disegnato, e che da decenni si chiamano sempre “Ragni” e “Ragnetti”. Ma, con una lucidissima visione, egli ha avuto l’intelligenza di circondarsi di straordinari stilisti che hanno saputo creare degli autentici oggetti di culto, in grado di elevare la riconoscibilità della marca a livello planetario e di moltiplicarne il valore.

La tentazione dell’analista, osservando i processi nella sua fabbrica, è quella di obiettare che si potrebbero generare economie con la terziarizzazione e l’industrializzazione estrema di diverse operazioni. A partire dalle attività di taglio e curvatura delle lastre, tutt’oggi affidata alle sapienti mani di operai-artigiani. Ed è proprio qui che sta l’errore di chi ragiona solo “numeri alla mano”, dimenticando che la strategia più pericolosa per mantenere il vantaggio competitivo è quella fondata sulla scissione del nesso fra costi e valore. “I secondi non arriveranno mai primi”, sostiene Vittorio Livi.

La sua vita è un cerchio perfetto. Le origini umili, il mestiere imparato a scuola e perfezionato a bottega. L’amore per il vetro e lo sviluppo delle sue potenzialità, il mettersi in proprio e la sperimentazione continua. E poi l’acquisizione ed il restauro di Villa Miralfiore, simbolo della sua città salvato dalla rovina e divenuto cornice perfetta per le creazioni sue e dei suoi amici artisti, spazio museale vivo e vissuto.

Esco da questa esperienza rivalutando concetti schumpeteriani che avevo riposto nell’armadio delle cose ormai fuori moda. E con un po’ d’aria fresca nei polmoni.

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