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Italia – Gran Bretagna a/R: l’esperienza di un pendolare “in low-cost”

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Prendendo spunto dall’interessante articolo dell’Huffington Post, vorrei portare come mio piccolissimo contributo la vita del “pendolare con low-cost”.

La mia esperienza non è come quella romanzata nel film “Tra le nuvole”, sia per il differente soggetto che per il contesto lavorativo, ma ho comunque potuto vedere uno spaccato importante della tipologia di passeggeri che, per vari motivi, si muove tra l’Italia e la Gran Bretagna. Non voglio commentare, dare giudizi, massime o soluzioni, ma solo testimoniare.

Ho trascorso10 mesi nel nord-ovest in UK ed ho avuto l’occasione di prendere “qualche” aereo nella tratta Ancona-London Stansted (2 voli a/r al mese, per 10 mesi).

Mi ricordo i tempi in cui ad andare oltre manica erano quasi esclusivamente scolaresche. Io stesso ho passato un paio di mesi in college/famiglia in Scozia quando avevo 14 anni: orde di ragazzini chiassosi che prendevano l’aereo per la prima volta per “studiare l’inglese”.

Ora capita ugualmente di imbattersi in qualche comitiva di studenti ma, anche senza valenza statistica, quello che ho potuto notare è stato il mutamento della composizione del passeggero tipo: chi prende e parte senza contatti (fare un’esperienza, cercando di imparare l’inglese), manager in trasferta, espatriati, ricercatori universitari.

Ancona non è Beijing: è facile imbattersi, nel piccolo scalo dorico, in amici. Mediamente ogni volo che prendo ho sempre una persona che conosco, a prescindere dalla destinazione. Vorrei quindi portare l’esempio di 3 amici che ho incrociato qualche volta, da usare come “pendolare tipo”, aggiungendo un quarto che ho incontrato una sola volta ma che non conoscevo:

– Romina: ex compagna di banco ai tempi delle scuole medie. Controller per conto di un’importante multinazionale italiana presso la sede Inglese. Marito in Italia e lei di rientro ad Ancona 2 volte al mese. Questo per 3 anni in Inghilterra (in precedenza 6 anni in un’altra nazione europea).

– Francesco: vicini di casa quando vivevamo nelle nostre rispettive abitazioni, da adolescenti in famiglia. Ora brillante ricercatore universitario, famiglia ad Ancona con cattedra italiana fuori regione e con un’altra in UK 

– Alessandro: amico ai tempi dell’adolescenza, trasferitosi in UK anni fa. Co-fondatore di una dinamica software house inglese, tra gli esponenti di riferimento nell’ambito della realtà virtuale aumentata.

– Marco: ex disoccupato in Italia alla ricerca di lavoro come cameriere a Londra. Nessun contatto solo un indirizzo dove alloggiare le prime due settimane.

Terminata l’esperienza in UK sono nuovamente in Italia (altro lavoro) e viene normale fare paragoni tra le due nazioni: qualità della vita, livello delle retribuzioni, burocrazia, decoro delle città, strade dissestate, politica, tasse, servizi erogati dalla PA, disoccupazione giovanile: ecco perché i voli sono strapieni di pendolari/espatriati. Ognuno di loro spende una parte di vita “Tra le nuvole” e girando per la città, penso solo che i voli non faranno che aumentare.

Finale. La verità, tutta la verità, sul mercato del lavoro UK

Dopo i primi 6 mesi ho deciso di cambiare gruppo e non perché non mi trovavo bene in UK, anzi, in quanto i motivi erano altri. Ad ogni modo, quando mi sono messo sul mercato ho ricevuto una valanga di offerte: parliamoci chiaro, contatti-colloqui con gli head-hunter, diciamo di media 3-4 offerte con minimo 1-2 colloqui la settimana. Alla fine, dopo un mese e mezzo, scremando ed andando avanti solo con un ristretto gruppo di proposte, mi sono ritrovato con 3 alternative dove poter concludere (indicando qui solo l’aspetto economico e geografico):

– Una prima economicamente “sontuosa”, per rimanere in UK, ma senza spiragli per un eventuale rientro in Italia in quanto il gruppo non aveva sedi oltremanica.

– Una seconda con un’offerta “ importante” in un altro stato europeo ma con prospettive di poter poi rientrare in Italia eventualmente solo tra qualche anno in quanto vi erano filiali nella penisola.

– Un’ultima in linea con le cifre del mercato italiano, ma del valore di 1/3 se comparata con la prima.

Potevo tornare a fare il consulente/libero professionista (quarta opzione) ma non ci stavano le condizioni in quel momento ed avevo terminato alcuni progetti prima di partire per gli UK.

Alla fine ho accettato la terza opzione, Italia, per “n” motivi dove quello familiare ha avuto un peso predominante.

Ad ogni modo, per mostrare le differenze tra Italia ed UK in ambito professionale: appena “su piazza”, mi hanno sommerso di proposte e stanno ancora a contattarmi (1-2 mail a settimana con offerte / proposte). In Italia non si muove niente.

2 Commenti

  1. Caro Matteo non posso che confermare la tua esperienza. Per me il pendolare low cost è stato molto più intenso dato che, per motivi familiari, tornavo a Milano tutte le settimane per 4 mesi direttamente dalla City. Una stanchezza inenarrabile ma, nonostante ciò, ancora vivo il ricordo di un mondo professionale (ma non solo) inarrivabile ad oggi dal nostro maltrattato paese. E posso anche confermare che nell’azienda per la quale lavoravo, ogni mese ho visto muoversi e cambiare lavoro almeno 2/3 colleghi, preciso non perchè licenziati ma perchè raggiunti da offerte migliorative in quanto a responsabilità e stipendi. Londra non è più generosa come una volta di retribuzioni a six digit facili, ma senza dubbio tornare in Italia, come è stato anche per me, significa accettare riduzioni che anno dal -30% al -50%. Ma quel che va davvero segnalato è il clima professionale ed umano che oggi Londra garantisce a qualsiasi espatriato che abbia voglia di abbracciare l’opportunità di vivere in UK. Si respira ovunque voglia di fare, modernità, servizi che funzionano (pur non essendo perfetti), internazionalizzazione e globalizzazione vissuti come slancio e non come minaccia.Che dire il ritorno qui è stato deprimente su tutta la linea anche se,per certi versi, necessario.

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