Cronache da un altro mondo Italia-Svizzera-America. E di nuovo Italia?
Nel 2012 esco volontariamente dall’azienda Americana Warnaco-CK, dove avevo lavorato per 12 anni, a seguito dell’avviamento di un lento processo di chiusura della sede italiana e, dopo un breve ma intenso periodo presso la Extra (colgo l’occasione per salutare Leonardo), inizio l’attività come IT Manager presso Michael Kors, (altra) società Americana di moda che ha stabilito il suo quartier generale europeo nei pressi di Lugano, in Svizzera.
Avviata la sede europea con 3 persone nel 2009 a settembre 2012, quando ho iniziato a lavorarci eravamo poco più di 500 in tutta Europa. Ora abbiamo superato quota 1.000 e registriamo un tasso di crescita pianificato impressionante. In sede lavorano persone provenienti da quasi tutti i paesi europei e l’Inglese è la lingua ufficiale, anche se, essendo la maggioranza delle persone provenienti dall’Italia, si parla anche molto Italiano.
Tante aziende straniere, così come tante Italiane, hanno scelto di aprire o trasferire la sede in Svizzera, nonostante la maggior parte dei beni e dei servizi costino quasi il 50% in più che in Italia. Il motivo è noto, direi ovvio, le società pagano meno tasse e le aziende che aprono nel Ticino possono contare su un bacino di risorse qualificate dalla vicina Italia a costi inferiori degli equivalenti Svizzeri.
Molte volte quando varco il confine penso ai motivi per cui non riusciamo a creare le condizioni per attrarre aziende, lavoro, ricchezza in Italia.
Primo esempio.
Mi viene da ripensare ad uno studio preliminare, a cui ho partecipato la scorsa estate, per la creazione della nuova piattaforma logistica Europea di Michael Kors, con l’individuazione della sede del magazzino principale, struttura, organizzazione. Con l’azienda di consulenza che ha condotto lo studio sono state analizzate in dettaglio, per molti paesi Europei, una serie di parametri, tra cui: costo del lavoro, competenza dei lavoratori, diritto del lavoro, legislazione del paese, infrastrutture (rete autostradale, ferroviaria, porti), burocrazia o meglio, come la chiamano negli Stati Uniti “business friendly”, cioè, capacità generale di un paese di far prosperare le imprese. Risultato? I lavoratori Italiani hanno buone competenze e sono nel gruppo di quelli che costano meno, quindi hanno un ottimo rapporto “costo/prestazioni”. Allora il magazzino, da centinaia di posti di lavoro, più indotto, si farà in Italia? Domanda retorica. Macché, state tranquilli non corriamo questo rischio, tutti gli altri parametri ci sono sfavorevoli e non parlo solo di tassazione del reddito di impresa, ma del sistema burocratico, legislativo, infrastrutturale e molto altro. Quindi la scelta è caduta sull’Olanda, con un costo del lavoro superiore del 20% circa rispetto all’Italia ma con tutti gli altri parametri in regola per ospitare la struttura. Preciso che la decisione di fare il magazzino in Olanda l’abbiamo presa prima che Marchionne decidesse di spostare la sede legale della “FCA”. Mi viene il dubbio che i nostri consulenti siano gli stessi della Fiat.
Secondo esempio.
La ancora ridotta visione/proiezione internazionale di molte aziende. Troppo piccole e con poca capacità finanziaria per potersi proporre all’estero. Questa situazione si riflette nelle scelte che vengono fatte di prodotti e servizi che andiamo ad acquistare. Molte volte mi sono trovato a selezionare prodotti che avrei avuto piacere di trovare in Italia, ma che poi alla fine ho dovuto acquistare altrove perché non rispondevano in termini di funzionalità, rete commerciale e supporto. Se si deve utilizzare un applicativo software installato in tutti i paesi dal Portogallo all’India, si dovrà cercare tra quelli che siano multilingue, multivalute, che sia supportato nei vari paesi da una struttura commerciale, consulenziale e di assistenza adeguata. Alla fine quindi ci si rivolge ai prodotti dei soliti paesi: Stati Uniti, Germania, Inghilterra, Francia ed ora anche la Spagna. Eppure in termini di qualità dei prodotti, le aziende del nostro territorio non hanno niente da invidiare a quelli delle aziende di questi paesi.
Sono queste le situazioni in cui ci si rende conto dei risultati di una scarsa attenzione alla politica industriale del nostro paese e di un sistema finanziario che predilige la rendita all’investimento. In questo metto insieme non solo le banche, ma anche quei “grandi” imprenditori che, in questi ultimi decenni, invece di rischiare, investire nelle prorie aziende ed espandersi, hanno preferito rifugiarsi in settori di quasi-monopolio o a forte-predominanza come autostrade, aeroporti, telefonia. Altrove le espansioni globali funzionano perché sostenute da finanziatori che vi credono e che si assumono il rischio diretto (capitale proprio) o indiretto (fondi d’investimento).
La buona notizia (con qualche spina).
Invece di preoccuparmi di budget asfittici e riduzione del personale, in quest’ultimo anno ho assunto sette persone e gestisco un budget decisamente interessante. Comunque non è tutto “rose e fiori” perchè una realtà in forte espansione mette sotto stress tutte le strutture aziendali, evidenziando carenze organizzative, procedurali ed informatiche a cui si cerca di mettere rimedio con affanno e non avendo in mano tutte le leve di comando perché non delegate dai colleghi dall’altro lato dell’Atlantico. Questo provoca tensione e frustrazione da una parte ed irritazione e sospetti dall’altra.
Inutile negare che esiste anche un gap culturale e strutturale tra Europa e Stati Uniti, forse con la sola eccezione dell’Inghilterra, per cui, nella visione Americanocentrica, molte delle nostre “particolarità”o “stranezze” non sono considerate quando si tratta di analizzare e sviluppare un processo o un’applicazione. Ad esempio, il mercato Americano è composto principalmente da un numero ristretto di grandi(ssimi) clienti che acquistano grandi(ssimi) volumi, in Europa abbiamo tanti(ssimi) clienti medio-piccoli che acquistano volumi medio-piccoli. Ci si rende conto facilmente che gestire nella filiera interna del valore (commerciale, customer service, logistica/spedizione, fatturazione) un ordine di 100.000 pezzi non è la stessa cosa di gestire 100 ordini di 1.000 pezzi o 1000 ordini di 100 pezzi. Questo provoca, come detto, disfunzioni e bisogna riccorrere a tutti i “soft-skill” di cui si è in possesso per cercare di negoziare e riuscire ad ottenere o almeno avvicinarsi, a quanto richiesto/desiderato. E non è semplice quando i rapporti di forza sono così sbilanciati.
Alla fine, partendo dalla Svizzera , ho finito per parlare degli Stati Uniti ma tornerei volentieri in Italia. Spiego ai miei figli che nei prossimi anni si affacceranno al mondo del lavoro, di essere pronti e di non spaventarsi mai se si presenterà l’opportunità di andare a lavorare all’estero.
My 2 cents
Queste “cronache da un altro mondo” accendono scintille e fanno anche un pò rabbrividire.
Valorizzare i diversi contenenti, cogliendo il meglio che ogni realtà può offrire, permetterebbe una buona integrazione: dove non arriva uno, arriva l’altro.
Ma i figli si sa, vanno sempre oltre i genitori, sono più intelligenti e così, la vecchia mamma Europa, guada da lontano il figlio strafottente USA, che parla uno slang incomprensibile, che ha abbracciato valori – o non li ha proprio abbracciati – mai avremmo pensato possibili e che ragiona con logiche lontane al ns lento incedere…
La storia tuttavia è ciclica, lo insegnano tutte le discipline, allora non ci resta che continuare ad “allenarci” metaforicamente, per scendere più preparati sul campo dove si giocherà un’interessante partita. Senza spavento.
Come dire: gli italiani non riescono bene a gestire business pianificati, procedurali e di lungo periodo, ma nel breve gestiscono il caos meglio di chiunque altro?
“Lectio magistralis” (non accademica ma operativa) sul tema della globalizzazione.
Premesso che sono un emigrante seriale 🙂 , ora sono negli USA dove devo capire le migliori condizioni per sviluppare una fabbrica. Qui i rappresentati dello Stato e del commune ti chiamano e sono veramente a disposizione per mettere a disposizione ogni sconto, incentivo, programma formativo ed in generale moral suasion a favore della loro citta’…in concorrenza con altri.
Forse in Italia non si e’ fatto abbastanza per spiegare il termine globalizzazione. Ho incontrato studenti universitari, tanti, che non avevano la minima idea che ogni mattina in Cina milioni di ragazzi si svegliano e sanno che dovranno correre piu’ di loro per avere il loro lavoro ed i loro standard di vita.
Ho visto come uno dei primi corsi di ingegneria in inglese in Italia, s’e’ trovato 250 cinesi, 70 tedeschi, 42 inglesi e solo al quarto posto 32 italiani…il Rettore, poi Ministro, ancora un po’ e doveva fare il porta a porta per trovare ragazzi…