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Nobìlita festival esordisce “a pugni chiusi”

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Quest’anno ad esordire a Nobìlita Festival, il Festival nazionale sulla cultura del lavoro, è stato il monologo “Pugni chiusi” scritto da Maurizio Boschini, regia di Gianni Marras e magistralmente interpretato da un grande Jacopo Trebbi.

Lunedì 23 maggio ad aprire la quarta edizione di Nobìlita Festival, che si è svolto presso l’Autodromo Internazionale Enzo e Dino Ferrari, è stato il monologo dedicato a Peter Norman, atleta australiano che ha scritto un grandissimo pezzo della storia dello sport, ma non vincendo la medaglia d’argento nella finale dei 200 metri piani a Città del Messico  il 16 ottobre del 1968, ma supportando in prima persona un grande gesto di civiltà contro il razzismo, episodio che purtroppo – dato il buio periodo – gli è costato davvero tanto, a partire dalla sua carriera da agonista, ma non di certo la dignità e l’orgoglio di essere un uomo libero e di lottare per i valori della libertà!

Peter Norman corre in 20.06 la finale dei 200 metri e si piazza al secondo posto, fra gli atleti statunitensi di colore Tommie Smith e John Carlos e sono proprio loro che lo informano che sul podio sarebbero saliti a piedi nudi con le scarpe in mano facendo un saluto con i guanti neri e il pugno chiuso, questo per lanciare un grande segnale contro i soprusi del razzismo bianco.

Passano pochi istanti e l’atleta australiano deve decidere che posizione prendere, se prendere le distanze da questo gesto o se supportarlo in qualche modo. Peter Norman, essendo persona di grande cultura e sensibilità, in quei pochi istanti decide di sostenere l’iniziativa di Smith e Carlos: prese una spilla di una associazione a favore dei diritti umani (dell’Olimpic Project For The Human Rights) e se la mise sulla divisa, per poi restare a testa bassa durante la premiazione, mentre i due atleti di colore alzarono al cielo il pugno con un guanto nero, mostrando a tutti il black power salute, il saluto dei gruppi afroamericani più radicali nella lotta per i diritti umani.

Questo bastò per essere emarginato dallo sport e dalla sua nazionale di atletica leggera a vita. Carlos e Smith furono radiati dalla loro federazione ed espulsi dai Giochi Olimpici, diventando vittime di continue vessazioni mentre per Norman la persecuzione fu molto più subdola. Nel 1972 Norman, realizzò per 13 volte il tempo minimo per andare alle olimpiadi a Monaco ma venne bloccato dalla Federazione Australiana di atletica leggera, tanto che l’Australia non mandò nessun atleta a gareggiare per quella disciplina, proprio perché nessun altro velocista fu in grado di battere il tempo di Norman. L’atleta australiano, ormai emarginato dalla vita sportiva, per sopravvivere si trovò a fare l’insegnante di educazione fisica e nel 2000, in occasione delle Olimpiadi nella “sua” Sidney, non venne nemmeno invitato come ex atleta, tanto che, per poterle vedere in presenza, fu ospitato dalla delegazione americana. Pensare che il record olimpico conseguito dal velocista Peter Norman nel 1968 a Città del Messico è ancora tutt’oggi imbattuto.

Purtroppo la storia di Peter Norman è ancora troppo attuale e, per FiordiRisorse, abbiamo deciso di parlare proprio con l’autore della sceneggiatura: Maurizio Boschini. Peter Norman – ci spiega l’autore – ebbe il grande coraggio di lanciare un messaggio così forte e potente, lui bianco e di un Paese lontano dagli Usa, riuscì a fare la scelta giusta, una scelta che ha pagato per la vita. Così come pagarono a carissimo prezzo Smith e Carlos, purtroppo Norman lo fece nella dimenticanza di tutti e in tanti luoghi del mondo leggiamo tutti i giorni di gesti di chiusura di questo tipo.

Peter Norman attraversò depressione e alcolismo e di lui non si ricordò più nessuno, si spense nel 2006, all’età di 64 anni per un attacco cardiaco e furono proprio gli altri due atleti di colore Smith e Carlos a portare a spalla la sua bara. Passarono altri sei lunghi anni dalla sua morte per veder approvato dalla Camera dei Rappresentanti Australiana un documento che riabilitasse la sua figura, e porgesse, finalmente, delle scuse ufficiali e, con la lettura integrale da parte di una voce fuori campo di questo breve documento, termina il monologo di Maurizio Boschini.

Come è nata l’idea di scrivere la storia di questo grande atleta australiano?

Lavoravo al Teatro Comunale di Bologna – ci racconta Maurizio Boschini – e in pausa pranzo andavamo spesso al vicino ristorante greco, il To Steki, di fronte all’uscita del teatro in Largo Respighi, fu proprio in occasione di uno di questi momenti che Gianni Marras, con cui condividiamo da sempre la passione per il teatro e per lo sport, mi raccontò della storia di Peter Norman e mi lancio l’idea quasi come una sfida che io raccolsi al volo e da lì nacque l’idea dello spettacolo.

Quanta emozione hai provato nello scrivere una storia di questo tipo?

Scrivere questa storia rimanendone distaccato è stato impossibile, mi ha emozionato molto, soprattutto pensare che a questo atleta sia bastato un solo gesto per stravolgergli la vita è davvero sconvolgente. Peter Norman in quel lontano ottobre del 1968, negli spogliatoi di Città del Messico, ha avuto una manciata di minuti per decidere cosa fare in relazione al saluto black power di Smith e Carlos, per poi prendere anche lui una posizione netta contro il razzismo. Tante volte mi sono chiesto se avesse ben compreso cosa gli avrebbe procurato quel gesto e se nel tempo se ne fosse pentito. Noi, con “Pugni chiusi” abbiamo deciso di portare il teatro fuori dalla conservazione proprio perché non abbiamo paura di dichiarare da che parte stiamo: non contro qualcuno, ma con chi protegge i diritti umani.

La storia di Peter Norman è ancora troppo attuale, storie di emarginazione, discriminazione e ingiustizie sono ancora molto attuali, e proprio tu, con l’esperienza professionale in “Panini SpA” ne hai avuto una grande dimostrazione in prima persona.

Non più tardi di qualche settimana fa abbiamo visto l’ennesimo episodio di razzismo da parte dei tifosi della Lazio, per cui l’intolleranza è ancora troppo presente. La mia storia in “Panini” fu davvero pazzesca. La società modenese, che fu venduta dai F.lli Panini per 160 miliardi di lire – cifra assolutamente spropositata – a favore del Gruppo Maxwell, realtà molto arrogante che oggi definiremo “trampiana” o molto simile alla gestione imprenditoriale di Elon Musk, corse il rischio di fallire e tutto per colpa di una proprietà eticamente e finanziariamente discutibile e di un amministratore delegato, Keith Bales di origine australiana, piuttosto stravagante. L’episodio straordinario fu che tutti e dodici i dirigenti ci unimmo in una sorta di rivolta per contrastare questa situazione. Il risultato fu sconcertante: io fui licenziato e di seguito gli altri undici diedero le dimissioni riconsegnando tutti insieme le chiavi delle auto aziendali. Passarono quattro mesi e Robert Maxwell, il proprietario, fu costretto a rientrare in prima linea di persona. Poi, nell’ottobre del 1991, Maxwell incontrò la morte in condizioni molto misteriose: il suo corpo fu trovato annegato nell’Oceano Atlantico, nel quale sarebbe caduto accidentalmente dal suo panfilo.

Consiglio la lettura di Managermakia (Pendragon, 2016) in cui Maurizio Boschini racconta l’incredibile vicenda avvenuta nel 1991 alla Panini S.p.A. e non è detto che una nota casa di produzione milanese possa far uscire prossimante una pellicola su questa incredibile quanto assurda vicenda.

Qual è l’elemento che più apprezzi nel ruolo del HR e quello che hai maggiormente detestato?

Non mi mancano certamente le mille burocrazie amministrative, so bene che fanno parte del ruolo ma sono la parte più noiosa e fastidiosa. L’elemento che amo oggi è invece lo sviluppo e il confronto con le persone attraverso gli strumenti come il teatro o la formazione, non certo quella tradizionale.

Il prossimo lavoro, scritto a quattro mani da Maurizio Boschini e Gianni Marras, andrà in scena il prossimo ottobre a Trento in anteprima assoluta: “SINDELAR, Il Mozart del calcio”. Si tratta della storia di Matthias Sindelar, considerato come il miglior calciatore austriaco della storia e uno dei migliori calciatori a livello mondiale negli anni trenta. In seguito all’Anschluss e al suo rifiuto di giocare per la Germania nazista, fu trovato morto insieme alla compagna italiana ebrea nella sua casa a soli 35 anni, in circostanze che ancora oggi alimentano non pochi dubbi.

Maurizio Boschini è nato a Modena il 25 settembre 1958 ma trapiantato a Bologna, è un ex dirigente d’azienda, giornalista e da diversi anni scrittore. È stato responsabile della Gestione del Personale della Fondazione Teatro Comunale di Bologna dal 2009 al 2011 e dal 2016 al 2020. Ha operato nello stesso ruolo anche presso Panini S.p.A, IMA S.p.A e Accenture HR Service e ha scritto: Ridatemi il mio calcio (Edizioni Il Portico, 2004), con racconti sul calcio modenese con particolare riferimento al Modena FC; Managermakia (Pendragon, 2016), racconto di una incredibile vicenda avvenuta nel 1991 alla Panini S.p.A.; la sceneggiatura di Pugni chiusi (2018); Panchine pensanti (Pendragon, 2019), ha scritto Cinque cerchi in un quadrato, sulla vittoria del pugile Cosimo Pinto alle Olimpiadi di Tokyo 1964 (2020).

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