Per chi non lo avesse letto, consiglio l’articolo del Corriere della Sera di oggi, a firma Giulio Bendetti (http://www.corriere.it/cronache/10_marzo_18/laureati_disoccupati_58a51c02-325d-11df-b043-00144f02aabe.shtml).
Un caso, un segnale di scarsa attenzione alla ricerca, un segnale di debolezza delle nostre università(solo la “nostra” Bologna appariva in una recente classifica con le 100 migliori università del mondo), o semplicemente un segnale della crisi?
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Un aneddoto: per radio una volta ho sentito un’intervista ad una ragazza canadese in Italia per raccogliere alcune informazioni per la tesi in Giurisprudenza. Il giornalista le chiede: “qual’è la differenza fra una laurea in legge italiana ed una americana?” la risposta: “in America quando esci dall’Università sei in grado di sedere in Tribunale, in Italia scrivi un libro.” Credo che la dica lunga sul vantaggio competitivo dei nostri atenei anche solo rispetto all’Europa. E’ innegabile la lontananza concreta che c’è fra la dottrina acquisita e la preparazione adeguata per entrare in un’azienda. Senza poi affrontare argomenti quali la preparazione linguistica e la chiusura verso altri popoli che hanno fatto la fortuna delle Università francesi, inglesi ed americane.
Da anni i direttori del personale che cercano figure da adibire al controllo di gestione mi dicono: “diploma, non laurea”. Solo per fare un esempio.
E’ comunque un segnale molto allarmante e mi piacerebbe avere un riscontro da voi per capire come la vedete in merito anche all'”occasione” che le aziende stanno cogliendo in un periodo economico come quello attuale, per livellare gli stipendi (come dice l’articolo), verso il basso.