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Franchising e crisi (del lavoro…soprattutto) – prima parte

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L’accostamento “franchising-lavoro” è sempre andato di pari passo, anche perché il concetto generico di “lavoro”, passa, ovviamente anche da “lavoro autonomo-d’impresa”.

Dato per assodato questo concetto generale e al fine di darne conferma, bene specificare che, sin dai tempi precedenti l’attuale crisi, il franchising era da sempre oggetto di interesse dei “cercatori di lavoro”. Infatti, già dal 2007 “il 68% di coloro che volevano aprire un punto vendita consideravano il franchising un’opportunità per avere un posto di lavoro ed un altro 25% lo faceva perché aveva perso il posto di lavoro” (Fonte: Blogonomy, il Blog di Economy, del 29/10/2008, in www.blogonomy.it, su dati Confimprese). Lascio immaginare l’attuale situazione.

Dall’arrivo della crisi, e praticamente a livello globale, il vero dibattito si è spostato sul comprendere quali e quanti effetti della recessione potevano e possono incidere sul franchising, nel breve e nel lungo termine.

In buona parte del mondo si riteneva e si ritiene che il franchising poteva, anzi, effettivamente sia un sistema molto efficace ed efficiente per affrontare la recessione e la statistica lo conferma perché, pur con flessioni, il settore non ha mai prodotto dati negativi, ma sempre in aumento e crescita (dato facilmente rilevabile sul web).

Tra i vari motivi che giustificano tali tesi, posso citarne uno molto semplice, tralasciando aspetti più complessi e articolati (disponibilità di finanziamenti, capacità di investimento, consumi, ecc.).

Si tratta dell’elemento che caratterizza lo stesso franchising: trattandosi di aziende “ready-made”, la velocità di ridurre i tempi di avviamento di qualsiasi iniziativa imprenditoriale non può che accelerare l’uscita dal tunnel della crisi. Anche altri fattori influenzano il successo del franchising, ma in questo contesto non trovano attinenza.

A mio parere, una parte interessantissima del dibattito “globale” si basa su quella che, nei primi mesi della recessione, era una previsione ed oggi sta risultando un dato consolidato.

La previsione sosteneva che dalla recessione sarebbe emerso un notevole numero di lavoratori che avrebbero avuto necessità di un “riposizionamento” e moltissimi, che lo avrebbero dovuto fare nel brevissimo termine, avrebbero preso in considerazione il franchising (anche per il motivo di cui sopra). Previsione confermata e ancora in corso di attuazione.

Inoltre, altra previsione confermata, tali lavoratori avrebbero dovuto poi essere distinti tra “ex-impiegati/operai”, con minori disponibilità finanziarie, ed “ex-manager”, con maggiori disponibilità finanziarie.

Per il dibattito innescato all’epoca e tuttora in corso, non assumeva e non assume importanza quest’ultima “distinzione finanziaria”, ma il fatto che si stava e si sta ancora presentando questo flusso di “nuovi potenziali franchisees”. Tutto risultato pienamente azzeccato.

Senza entrare in aspetti ideologici che spesso trovano casa in tali situazioni, un esempio che prova questa affermazione è il caso McDonald’s che nel 2013, in piena crisi, lanciò il piano occupazione e sviluppo puntando all’inserimento di franchisees selezionati tra managers uscenti dal mondo del lavoro. Il risultato ? Rinvio alla lettura di “McDonald’s e lo sviluppo in Italia: a colloquio con Enrico Scroccaro, Franchising Senior Manager” e “McDonald’s, un anno dopo: come è andata ? Ad un anno dalla pubblicazione del nostro colloquio, Enrico Scroccaro, Franchising Senior Manager, ci illustra i risultati” (con un elaborato relativo alla ricerca svolta da SDA Bocconi che ha voluto misurare l’impatto occupazionale in Italia di McDonald’s).

In pratica, le domande che in molti paesi gli esperti del settore si sono posti agli inizi della crisi e che si stanno ancora ponendo sono:

  • FRANCHISOR – Sono realmente pronti i franchisors ad affrontare tale flusso in termini di pianificazione della loro espansione ? Sono effettivamente in grado di effettuare delle buone selezioni che non si ripercuotano nel futuro ? Si presenteranno franchisors “di cartone” per cavalcare l’onda ?
  • FRANCHISEE – Sono realmente pronti i potenziali franchisees ad operare in franchising ? Sono effettivamente a conoscenza di quale ruolo assumeranno nel franchising e quale sia il loro effettivo grado di autonomia ? Sono effettivamente a conoscenza di cosa sia realmente il franchising ?
  • CONSULENTI – Sono realmente pronti i professionisti che, con la loro consulenza, dovranno assistere le imprese franchisors in espansione o le imprese franchisees in affiliazione ? Le caratteristiche del franchising sono effettivamente conosciute da tutti i professionisti operanti nell’area legale-fiscale-contabile-giuslavoristica, nell’area economico-legale in genere ?

Sono questioni di assoluto interesse e che richiederebbero consistenti approfondimenti. Per chi ha la pazienza, invito ad approfondire “Il lato oscuro del franchising (o è quello chiaro ?)“.

Un elemento che voglio segnalare è che tutto ciò può diventare molto pericoloso se non affrontato in forma altamente professionale e seria, come, invece, frequentemente siamo costretti a riscontrare.

Infatti, non posso esimermi dal sostenere che dalle considerazioni sopra esposte emerge (ripeto, da parte mia, lo sostengo da tempo) come sia assolutamente vero che il franchising sia certo un “sistema distributivo” moderno, ma può essere molto sottile la linea che divide il “fenomeno economico” dal “fenomeno sociale” e pericolosissimo è, sicuramente, considerarlo “fenomeno di moda” con caratteristiche di “frivolezza” non idonee al mondo del “fare impresa”.

Ed è proprio su tale aspetto che esprimo il mio giudizio sul futuro del franchising: ciò che risulta ancor oggi eclatante (e grave) è la diffusa disinformazione ed la scarsa conoscenza del settore e, nonostante ciò, molti si avvicinano al franchising e investono sul proprio futuro (concetto valido sia per franchisees, sia per franchisors) apportando (ovviamente) capitale, e non raramente facendolo “alla leggera” e con “superficialità”.

Quindi, ritengo che sicuramente il franchising abbia ancora un “buon futuro” nel rapporto con il “lavoro” (nelle sue varie forme), ma per farlo diventare un “ottimo futuro” occorrerà ancora puntare (se mai si sia dato inizio) sulla formazione di imprenditori e professionisti “da dedicare” al franchising e creare una vera e propria “cultura del franchising”.

Può sembrare un’affermazione ovvia (nel prossimo intervento cercherò di illustrare questo aspetto), ma troppe volte si sorvola, anche involontariamente, che il franchising è un settore che richiede una forte, elevata e specifica specializzazione e preparazione professionale proprio per la complessità degli elementi che lo compongono e richiede una ampia gamma di conoscenze in molteplici settori e materie. Proprio su questa non conoscenza giocano moltissimi sedicenti titolari di rete che basano la loro capacità di imbonire ed ammaliare. Questa affermazione può sembrare forte, se non fosse che i provvedimenti dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato non avesse preso numerosi provvedimenti per pubblicità ingannevole, incluso per l’uso improprio e fraudolento del termine “franchising” a fini attrattivi (“Franchis/ing/anno”: stop all’attività di un “non-franchisor”. Come previsto e scritto”, giusto per citare solo un caso).

Con quest’ultimo richiamo, possiamo mettere insieme due azioni che serviranno a chiarire meglio come  e su cosa debba basarsi un ottimo rapporto tra “franchising e lavoro”:

  1. attività di formazione per la “cultura del franchising”;
  2. attività di prevenzione per rimuovere “l’ingannevolezza nel franchising”.

(continua)

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