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Le Associazioni di Categoria servono ancora? Fuga da Confindustria

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Le Marche abbandonano Confindustria?

Il malcontento degli imprenditori nei confronti dell’Associazione di Categoria, solo oggi, dalle pagine del Corriere Adriatico emerge attraverso le parole di uno degli imprenditori più influenti del territorio: Francesco Casoli di Elica. Casoli è tuttavia solo la punta di un iceberg che trova (è proprio il caso di dirlo) nella base delle Piccole e Medie Imprese marchigiane i primi firmatari di un patto non scritto.

Quasi una forma invisibile di rete d’impresa unita e non più disposta a tollerare sprechi e manifestazioni utili alla visibilità di pochi e completamente scollati da un territorio che, se per logistica e attitudini è molto distante dal resto del Centro Italia, condivide con questo una grande operosità industriale che stenta però a decollare e a mettersi in evidenza.

Ed è proprio la Rete d’Impresa,  una delle grosse carenze di questo territorio denunciata dagli imprenditori, unitamente ad un tesseramento inadeguato per la scarsa restituzione di servizi e di occasioni. Lamentela replicata, seppure con intensità differenti, anche in altre Regioni Italiane.

Sandro Paradisi, titolare di una delle PMI “sane e innovative” del territorio, già qualche mese fa ebbe modo di fare con noi alcune considerazioni in merito alle tante identità che gravitano intorno alla Confindustria così com’è composta; non solo fratture relazionali interne (alcuni imprenditori al fine di realizzare piccoli progetti di cultura manageriale e di networking si sono a loro volta inventati delle soluzioni associazionistiche alternative come il “Club della Qualità” e  il”Club della Tacchinella”), ma come lo stesso Casoli lamenta, un’ulteriore frazionamento a livello provinciale in cinque sedi (due delle quali nello stesso stabile) e le rispettive, strapagate direzioni. Che in un territorio così circoscritto ci si chiede quale sia l’obbiettivo.

E se Paradisi quest’anno ha deciso di non aderire all’Associazione, altri imprenditori come Tonino Dominici di Box Marche e Giuliano Gabbarrini di Apra Informatica, altre due PMI che rappresentano in un territorio così difficile, motori eccellenti per qualità e sviluppo imprenditoriale, rischiano di alimentare l’emorragia confindustriale. E anche Guzzini, al momento è alla finestra.

E’ evidente l’occasione persa da parte delle Associazioni di Categoria di dimostrare, dal 2008 in poi, il loro valore strategico. Finite le vacche grasse, sono emersi tutti i punti deboli sia da un punto di vista sia qualitativo che propositivo.

Non si possono affrontare i temi legati all’innovazione a ritmo di fax.

C’è una carenza fortissima a livello regionale di apertura nei confronti del resto del Paese per non parlare dell’ internazionalizzazione in generale, che ci si ostina a voler nascondere dietro alla forte caratterizzazione territoriale e che rappresenta invece un enorme gap culturale che le generazioni di imprenditori si tramandano di padre in figlio, dimenticando che il confronto con pensieri e culture differenti sono il vero germe della crescita e dello sviluppo di un’impresa.

Di fronte a uno scenario simile, non sarebbe stata impresa titanica apportare dei miglioramenti, se non altro di supporto manageriale, laddove tuttavia, anche l’unica business school del territorio è fortemente influenzata dalla necessità di promuovere i valori territoriali (metà Consiglio di Amministrazione è formato da Imprenditori ex Presidenti Confindustria) anziché guidare un movimento culturale di moderno management. 

A questo vada aggiunto che politicamente Ancona è un’amministrazione controllata, Fabriano un comparto industriale la cui crisi di Indesit  ha messo in ginocchio più di 700 persone,  il Presidente di Regione da luglio è inquisito insieme a 42 esponenti della Giunta. Banca Marche, definita dagli inquirenti “un’associazione e delinquere” in cui tre generazioni di amministratori hanno banchettato a spese dei risparmiatori, è da poco salita sulla scialuppa di salvataggio di Unicredit in attesa che forse Cariverona la assorba  (nel frattempo il suo Presidente, Lauro Costa, è stato nominato Cavaliere del Lavoro…).

E’ evidente che io non ami l’Associazionismo e i sistemi lobbystici in generale. C’è uno stravolgimento di equilibri che porta gli imprenditori a credere di “essere fuori dai giochi” se non si aderisce a questo o a quel sistema, quando invece è sempre più evidente che il rapporto di dipendenza risulti inverso: senza le Persone, le Associazioni non sopravvivono.

In tempi in cui le comunicazioni viaggiano alla velocità della luce, i canali social  (da cui queste associazioni spesso sono tagliate fuori per evidente distanza da tutto ciò che è trasparente e visibile) permettono un networking concreto e contatti che riducono le distanze e soprattutto le dipendenze, mi chiedo se appartenere a queste Associazioni non sia invece la giustificazione di chi, incapace di stare al passo coi tempi, trovi in questi consessi altre anime gemelle con cui mantenere inalterato lo status quo e le proprie posizioni, le proprie cariche, i propri ruoli. Molto ben pagati.

Il cambiamento è un tema meraviglioso se circoscritto ai Convegni; metterlo in pratica, fa paura. Così si preferisce rallentare anziché adeguarsi a una velocità di esecuzione e di proposte attive e concrete per cavalcare un mercato completamente trasformato che non tornerà più. Non a caso, sono gli unici a parlare ancora di “momento di crisi”.

E adesso, imprenditori, andate avanti.

4 Commenti

  1. E magari, anche in questo caso, qualcuno dirà “se solo me ne fossi accorto prima!”
    Era stato osservato, annotato, ammonito in tutte le lingue del mondo: le associazioni di categoria, oltre che fare convegni e paludarsi in costruzioni megalitiche con decine (eufemismo!) di addetti fluttuanti in ampi corridoi, devono esprimere competenza, supporto, affidabilità, in una parola quel valore aggiunto che una PMI, in particolar modo, non necessariamente può avere a disposizione.
    Un’associazione di categoria e’ uno strumento di successo, se ben utilizzato, ma se concepito (e gestito) male diventa un carrozzone, una pesante macchina generatrice di costi irreali!
    Ben vengano allora le reazioni dirompenti (disruptive, le chiamerebbero gli Inglesi) di Imprenditori diversamente orientati, consapevoli dello spessore professionale e sociale del loro impegno, dell’opportunità di fare squadra, di integrarsi, di contaminarsi perché “Il coraggio di immaginare alternative è la nostra più grande risorsa, capace di aggiungere colore e suspense a tutta la nostra vita” (Daniel J. Boorstin).
    Questo e’ l’autentico “ritorno al futuro” di cui le Marche, l’Italia hanno bisogno!
    Ora, dove oserà più l’aquila?

  2. Bhè, già da tempo si discute su questo tema. Credo sarebbe utile smettere di discutere e fare qualcosa. Le Associazioni di Categoria, che offrono comunque validi servizi di base, hanno da tempo mostrato la corda su quello che davvero dovrebbe essere il loro “core business” istituzionale: far crescere i ns. imprenditori, spesso piccoli o piccolissimi, dotati di meravigliose idee ma di scarse capacità manageriali. Farli crescere attraverso “iniezioni” di managerialità, attraverso l’affiancamento a chi di managerialità vive. Ora la domanda è: quando gli imprenditori capiranno e si muoveranno in questa direzione?

  3. Se l’obiettivo di un’impresa è stare sul mercato e starci bene, procurando profitti per la proprietà ecc ecc ecc, e non tirare a campare, come diffusamente ormai si vede e si sente, è necessario aumentare quella voce in alto al bilancio che va sotto il nome di V.A.
    Valore aggiunto. Che garda caso non è neanche tirata a caso, e il valore che l’imprenditore aggiunge con le sue idee, organizzazione, personale, cultura e prodotti al mercato, è anche misurabile in termini economici.
    Purtroppo su tre articoli di business se ne leggono 2 che parlano dell’innovazione e questo non giova perché ne svaluta il concetto. Si pensa solo che sia innovativo brevettare prodotti nuovi o fare una startup, ma l’innovazione sta anche altrove:
    – migliorando un processo produttivo,
    – accrescendo la cultura del personale a partire dalla direzione
    – conoscendo modelli vincenti di imprese vincenti modellandoli
    – digitalizzando i processi
    – automatizzando i processi
    – aprendosi a nuove forme non supercostose di marketing
    – ecc ecc
    Forse che le associazioni di categoria sono rimaste un pochettino indietro?

  4. La mia esperienza con Confindustria, nelle sue (quasi tutte) articolazioni toscane è molto eterogenea e, da quando non ne faccio più parte con la società di cui sono titolare, senza dubbio più positiva. Per quanto la B&P sia infatti tra quei soggetti che hanno attuato la “fuga” dall’associazione, il fatto di aver distinto l’appartenenza dalla collaborazione ha reso (e il paradosso è solo apparente) molto più semplice la realizzazione di progetti che rendono oggi disponibili alle imprese (anche quelle non iscritte) le competenze ed esperienze che una società di consulenza può proporre.
    Obiettivo che riusciamo a raggiungere con successo quando alla base della programmazione delle attività (nel nostro caso, di formazione) ci sono le esigenze effettive delle aziende e non la realizzazione di nebulosi piani strategici calati dall’alto. Confindustria è ancora un riferimento importante per molte PMI, che in quegli ampi corridoi chiedono consiglio e cercano risposte, soprattutto a colleghi che hanno occasione di incontrare magari in convegni non sempre indispensabili, ma se non riuscirà ad adeguarsi alle modalità con cui le aziende oggi si informano e scelgono i propri partner, non credo che il suo futuro sia così scontato.

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