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Gary Hamel e i 35 ribelli ovvero: Reinventare il mestiere della Leadership

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Vi scrivo di Gary Hamel e di un’idea del ruolo manageriale fortemente in contrasto con la cultura organizzativa tradizionale e dominante .
Uno scossone violento, ma amichevole, per agitare le vostre coscienze manageriali e portare una ventata di aria fresca.
Forse?

Mentre leggete, tenete in mente queste domande:

• Queste idee sono applicabili nella realtà culturale Italiana e del centro Italia?
• Se trovate valide le idee di Gary Hamel, come pensate di favorirne l’introduzione nelle nostre organizzazioni?
• O più in generale quali sono le condizioni che ne facilitano la diffusione e l’applicazione?
• Quali esempi potete portare di Organizzazioni molto illuminate o di Managers che agiscono in modo simile a quanto propone Gary Hamel e il suo gruppo?

Gary Hamel e la sua Brigata di 35 Ribelli, ci offrono 25 Sfide per il management che resettano la visione tradizionale del ruolo di chi guida le organizzazioni e rendono obsoleti molti dei dibattiti su questo argomento.

I 35 Ribelli nel prospettare queste sfide complesse, si sono lasciati ispirare da alcune considerazioni indiscutibili.

• Tutto il pensiero rilevante, attualmente applicato ai temi del management risale a molte decine di anni fa. I problemi di allora erano efficienza ed economie di scala.

Oggi le questioni sono:

• a. creare organizzazioni flessibili, resilienti e allo stesso tempo efficienti e focalizzate;
• b. costruire capacità di innovare rapidamente per evitare che le organizzazioni siano spazzate via dal cambiamento rapido e costante e repentino;
• c. come esaltare il genio, la passione e la creatività delle persone al lavoro in un economia creativa, dove sempre di più abbiamo bisogno di persone coinvolte, e non di esecutori di ordini.

• Affrontare queste questioni richiede un assetto mentale del management aperto alle possibilità e all’innovazione. Si passa dalla tipica domanda manageriale: “qualcuno lo ha già fatto?” alla domanda “vale la pena di farlo?” Se ci ostiniamo a fare sempre e solo ciò che qualcuno ha già fatto restiamo drammaticamente indietro.

Ecco quindi le sfide (impossibili?), dei Managers. Sono 25, e ve ne propongo alcune che spiccano, anche se la scelta non è facile. Alcuni dei commenti sono di Gary Hamel, alcuni sono miei, con molta modestia.

Assicurare che il lavoro del Management serva scopi elevati
Incorporare le idee di comunità e cittadinanza nei sistemi manageriali.

E’ molto attuale, e si collega ai dibattiti che spiegano le ragioni della crisi finanziaria che ci stiamo lasciando alle spalle.
Le idee di Comunità e Cittadinanza conducono a modelli di lavoro collaborativi, all’interno e all’esterno delle organizzazioni. Questi sono opposti a quelli basati su competizione aspra e concentrazione unica verso gli interessi degli azionisti, a discapito dei collaboratori e delle comunità/gruppi sociali in cui le aziende sono inserite. (Proprio nell’interesse degli azionisti!).

Eliminare le patologie della Gerarchia Formale.

La gerarchia formale dovrebbe essere sostituita da una gerarchia naturale che si basa sul contributo e sulla motivazione di ciascuno ad aiutare e a “fare”.
Osserviamo spesso esempi di gerarchie naturali in molte PMI Italiane, in cui l’iniziativa e l’assunzione di responsabilità sono premiate. Chi fa di più, ottiene riconoscimenti come leader, a prescindere dal “grado” nella gerarchia.

Ridurre la paura e aumentare la fiducia.
Reinventare i mezzi del controllo.
Il tradizionale management “comando e controllo” soffoca passione, iniziativa e creatività; è obsoleto e non funziona. Crea resistenza anche quando questa non ci sarebbe.
Valori e scopi condivisi mobilitano le energie e accendono la motivazione.
Si tratta di creare una responsabilità diffusa tra pari, in cui tutti si sentono obbligati verso tutti (ed anche valutati da tutti).

Reinventare il mestiere della Leadership.
Leaders facilitatori, che creano le condizioni perché le persone si esprimano, anziché leaders che danno ordini.
Ridefinire le attività di pianificazione strategica, rendendolo un processo emergente e condiviso.
Processi decisionali che includono persone che provengono trasversalmente da vari mondi dell’organizzazione, e dai diversi livelli gerarchici sono vincenti.
Producono soluzioni tecnico/organizzative di alta qualità, e creano engagement/motivazione diffusa.

Democrazia delle informazioni.
Il potere manageriale si è sempre basato sul controllo delle informazioni. Tremendo.
Come possiamo aspettarci che persone disinformate e inconsapevoli agiscano nel migliore interesse di un’organizzazione?

Scatenare l’immaginazione umana.
Tradizionalmente, i processi di innovazione sono confinati nei luoghi e nelle persone: si incaricano gruppi specifici e definiti; si ipotizza che tutti gli altri non siano creativi.
E’ indispensabile facilitare una estesa partecipazione al processo di innovazione che deve avvolgere tutte le attività in modo costante e continuo.

Realizzare passione e coinvolgimento – Attivare comunità di appassionati.
Parrebbe ovvio, ma solo il 16% dei collaboratori nelle aziende occidentali sono appassionati/motivati.

Ri-addestrare le menti manageriali.
Togliere enfasi ad una serie di competenze superate pur conservandole: pensiero logico-deduttivo, ingegnerizzazione delle soluzioni, problem solving analitico.
Invece sviluppare competenze di pensiero sistemico, capacità di facilitazione e motivazione, problem solving creativo, pensiero laterale e intelligenza emotiva.

I programmi MBA dovrebbero essere ridisegnati.

L’evoluzione verso un modello di Management 2.0 che favorisce inclusione, partecipazione, diversità e creatività, scatena le capacità umane.
D’altro canto è sensato conservare caratteristiche positive dei modelli tradizionali, come l’attenzione ai risultati e una certa disciplina.

Come faranno i Manager 2.0, del futuro, già iniziato, a conciliare queste due opposte tensioni?

3 Commenti

  1. il libro di Hamel sul futuro del management è davvero interessante.
    Il mio contributo…. ho rivisto alcuni passaggi metodologici nel mio approccio ed ho predisposto un corso che sto proponendo sul management 2.0.

    Credo che in ogni azienda del nord centro o sud, sopravvissuta a questa crisi, ci siano le condizioni per fare leva sulla necessità di reinventare il modello di management.

  2. Mario, oggi viene chiesto alla leadership e al management in generale una sterzata di umanizzazione che necessita in questi tempi, più che in altri.
    Per qualche anno ho fatto il consulente, dedicandomi a progetti di sviluppo organizzativo su contesti organizzativi diversi (aziende pubbliche, multinazionali, aziende artigiane e piccole) primariamente osservavo le dinamiche interne di interazione tra funzioni e reparti, negli scambi one-to-one tra operatori. In questa prospettiva di management 2.0 ritrovo molta innovazione gestionale che in alcuni casi fu possibile attuare agevolmente, per la maturità umana – non tecnica – degli operatori desiderosi di cambiare innovando.
    Credo molto in questa ottica, scardinante rispetto a tante filosofie e scuole di pensiero che oggi hanno sempre meno maestri. La trovo interessante per gestire la complessità in azienda, non solo nelle grandi…
    Il 2.0 non è nell’utilizzo multicanale della comunicazione, ma nel far meno le rigidità e le complessità di interazione e di gestione dei problemi da risolvere…
    In questo periodo di crisi, registro che il cambiamento possibile e attuabile è immediatamente nelle piccole e medie aziende; nelle grandi, c’è maggiore impotenza a reagire per cambiamenti radicali, si è più ingessati rispetto a 10-20 anni fa.
    Grazie a Gary Hamel e al tuo lancio della discussione!

  3. Ci troviamo in linea, direi con la solidità del pensiero dei 35 Ribelli.
    Il 2.0 riguarda il management, la tecnologia, e la consulenza (che ormai fatico a chiamare con questo termine).
    I tratti comuni sono legati alla capacità di abilitare le organizzazioni verso performance inattese, in contesti in cui le persone vivono esperienze molto più gratificanti.
    Rispetto alla consulenza, credo che i “consigli esperti” incorporati nei “deliverables” e poi dimenticati (non applicati) debbano sempre più essere sostituiti da capacità di inoculare in modo concreto e attivo dinamiche virtuose nelle organizzazioni. Facile? No, ma è il lavoro da fare.

    Una buona notizia è che mentre alcuni vedono questi ragionamenti come delle “provocazioni” pure, altri che hanno sufficiente curiosità per cimentarsi in un ragionamento sereno, fanno delle applicazioni e realizzano progressi.

    L’interesse è trasversale, e nella mia esperienza proviene dalle multinazionali, come dalle medie e anche piccole imprese.
    E’ un fatto di curiosità e apertura mentale degli individui, rispetto a possibilità concrete dove altre soluzioni hanno funzionato poco o nulla.

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