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Verso un lavoro perfetto

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Sulle montagne si trova la libertà!
Il mondo è perfetto ovunque,
salvo quando l’uomo arriva con i propri tormenti.
F. Von Schiller

Viviamo nella convinzione di essere in cammino, un percorso attraverso lo spazio e il tempo che dovrebbe arricchirci, farci evolvere, in un’ottica di continuo miglioramento e arricchimento. Per alcuni pare diventare una corsa contro il tempo, o, al limite, contro se stessi. Nella pretesa di assumere le sembianze di un modello professionale ideale, di ideare servizi e prodotti all’avanguardia, sempre un passo più in là rispetto alla concorrenza.

Oppure, prima ancora che una dedizione aziendale o sociale, che vede un essere devoti al mondo lavorativo o umano di cui si è parte, per alcuni diviene un egoistico e ristretto percorso volto al rimpinguare il proprio curriculum e la propria mente con informazioni, nozioni, conoscenze, credendo che l’accumulo comporti automaticamente non solo anche la qualità, ma anche il discernimento e l’elaborazione di quanto vissuto e assunto.

Prima o poi, però, complici anche il ritmo sempre più serrato a cui si è chiamati nell’aggiornarsi, formarsi, in virtù della senescenza pressoché immediata di ogni acquisizione, e i limiti fisici, emotivi, energetici, mentali che ciascuno, prima o poi inevitabilmente raggiunge, questa rincorsa disperata e votata all’inevitabile fallimento, si arena. E anche laddove questo non dovesse accadere, l’insoddisfazione e la frustrazione di fondo che serpeggiano e aleggiano, e che giorno dopo giorno s’accrescono, prima o poi raggiungono una soglia tale da non poter più essere ignorate.

Che cosa rende, in realtà, costantemente evanescente, irraggiungibile, non veramente soddisfacente l’esito finale del proprio lavoro e della propria formazione?

Chi più, chi meno, siamo abituati a considerare la nostra vita privata e professionale come un percorso, un tragitto da un luogo e un tempo verso un altro. Non solo questo implica uno spostamento, ma anche delle modifiche interne ed esterne. Anche quando la meta viene raggiunta, non si riesce a definirla mai come ultima. Inevitabilmente ne sorge un’altra. E anche laddove si dovesse rinunciare al movimento, il permanere, o l’illusione che questo accada, non è parimenti soddisfacente.

Spesso la vita personale e professionale è talmente orientata alla meta, che il percorso per raggiungerla passa in secondo piano. Tutta l’esistenza è sacrificata ad un futuro non meglio precisato che, appena diviene presente, perde d’interesse in virtù di un rinnovato obiettivo futuro. E, così facendo, non si vive mai.

Oppure, all’estremo opposto, talvolta si vive e si lavora per ri-creare qualcosa del passato. Si commisura ogni conseguimento alla luce di quel che è stato, mentre quel che è resta in ombra. E lo si perde.

Se, al contrario, si cominciasse a concepire l’esistenza privata e lavorativa non come un processo, un andare verso, ma come uno stare, un essere già pienamente e perfettamente qui ed ora, la visione delle cose cambierebbe ampiamente. Si vivrebbe e si lavorerebbe in una dimensione di pienezza e di soddisfazione, istante per istante. Anche se di fondo vige una direzione, una bussola, un criterio di orientamento, non si rischierebbe d’investire e sacrificare il presente – unica possibilità di vita di cui si dispone – alla luce di qualcosa non meglio precisato nello spazio e nel tempo.

Al limite, non esiste un percorso, ma un passo, in cui si è completamente immersi, a cui ne può seguire un altro, e via così. L’insieme di questi, solo a posteriori è in grado di segnare un passaggio. Ma questo ha senso solo se ci si volta, se si osserva dietro le proprie spalle. Purché non diventi un’abitudine, altrimenti si rischia di deviare la propria rotta e di perdere le occasioni e le opportunità, adesso.

In quest’ottica, che senso ha parlare di ‘lavoro perfetto’, di prodotto o servizio perfetto? Un operato è già perfetto nel momento stesso in cui lo si esegue, quando si cerca di dare il meglio di se stessi, con gli strumenti di cui si dispone in quel preciso istante. Soprattutto quando perfetto si intende nella sua definizione etimologica, cioè che è perfettamente compiuto, che la sua natura è pienamente realizzata. Ogni istante presente rappresenta l’opportunità per manifestare e realizzare creativamente, concretamente e produttivamente la propria natura.

Allo stesso modo, ben poco senso può avere definire un curriculum o un professionista perfetto, se non lo si considera, più correttamente, come una risorsa, un’opportunità che l’esistenza invia, e se si è in grado di compiere una scelta di cuore e di pancia, anziché di analisi razionale delle competenze, se ne saprà fare di sicuro tesoro e buon uso.

nota del Redattore: Anna Fata è anche scrittrice di libri. Sull’argomento potete trovare: La vita professionale e la pratica meditativa, Edizioni il Punto D’incontro, Vicenza, 2009

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