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Coaching e logiche lean

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Coaching e logiche lean

Lavoro da qualche anno a supporto dello sviluppo delle persone nelle organizzazioni e nella realizzazione di progetti di miglioramento organizzativo, e mi sono resa conto che i migliori risultati sono sempre stati ottenuti laddove le risorse in gioco si sono rese disponibili a provare l’approccio senza remore e preconcetti.

Da un po’ di tempo ho dedicato la mia attenzione a capire perché certi progetti di riorganizzazione e ristrutturazione operative funzionavano e certi non riuscivano a decollare se pur validi sia come strumento sia come persone coinvolte.

La risposta alle mie curiosità è arrivata qualche mese fa…..
Per poter realizzare il cambiamento sia questo un cambiamento operativo , sia di genere organizzativo occorre che tutti i partecipanti al cambiamento siano consapevoli dei progetti e delle potenzialità legate al loro giusto approccio nei confronti del cambiamento stesso.
Nello specifico mi piace raccontare il caso di una azienda che sta applicando dei cambiamenti importanti e funzionali all’interno del proprio modo di operare aggiungendo strumenti nati dalle analisi six sigma e dal pensiero lean, coinvolgendo un buon numero di persone nell’implementazione del progetto.
Bene, questa azienda è arrivata ad un buon livello di soluzione strategica ma il primo problema si è resentato quando ha iniziato a scendere verso il basso per l’applicazione delle nuove metodologie; le nuove persone coinvolte sono state convocate dall’Hr manager che ha spiegato loro come lo strumento poteva dare ampi risultati , e come queste persone che riguardavano l’area test avrebbero potuto beneficiarne. Di comune accordo è stato deciso di applicare lo strumento dal giorno successivo; è bastata una settimana perché le resistenze naturali al cambiamento portassero al fallimento del progetto stesso.
A questo punto l’azienda ha capito che non sarebbe riuscita a proseguire nel progetto se non avesse abbinato al consolidamento degli strumenti “tecnici” , che permettono l’implementazione delle logiche
Lean l’introduzione delle conoscenze “relazionali”, che permettono alle risorse di agire con atteggiamento positivo nell’ambiente di lavoro. Una buona miscela di queste due conoscenze infatti è la ricetta che consente alla cultura aziendale di cambiare realmente e di radicare la cultura del miglioramento continuo e diffuso,fondamentale per perseguire la strada per l’eccellenza organizzativa.
E’ stato nuovamente ricomposto il gruppo di lavoro ma questa volta si è optato per un percorso di team coaching, che aiutasse il team a raggiungere l’obiettivo e attraverso la metodologia del coaching gestire tutte quelle resistenze , seppur non espresse che nel primo caso avevano portato al fallimento del progetto. Successivamente in modo spontaneo tutti i promotori del progetto lean hanno scelto di dedicare alcune delle loro giornate a percorsi di coaching che li aiutassero a operare nei progetti di miglioramento aziendale in modo ancora più efficace. Attraverso le tecniche tipiche del supporto in logica coach il loro obiettivo è quello di migliorare il loro modo di stimolare la proattività dei gruppi di miglioramento che l’azienda cliente gli mette a disposizione.
Non sempre è facile spiegare al cliente dove entra in gioco un coach , ma è attraverso esempi come questo che se ne capisce la potenzialità.

2 Commenti

  1. Da “tifoso” del metodo lean, quale sono, sostengo sempre che il primo passo è la convizione e l’impegno del top management (della proprietà negli ambiti medio-piccoli) e poi in cascata un serio, costruttivo coinvolgimento dei middle manager (in particolare i responsabili di produzione) ed un coinvolgimento non ambiguo e trasparente degli operatori.

    Se il coaching aiuta questo percorso, benissimo: ben ben ben (tre volte) venga; ho seguito solo un breve corso (di Carriere Italia) dedicato al coaching: mi vien facile credere che un’applicazione come quella dell’esempio abbia favorito il successo dei progetti lean.

    Buon lean coaching (o coached lean) a tutti!
    Giorgio

  2. Quando si ha a che fare con le tematiche relative al buon funzionamento di una organizzazione esistono davvero tante modalità di analisi e tanti strumenti di intervento. Stimolato dalla riflessione di Michela Trentin, arrivo a pensare che, forse, il vero bandolo della matassa è quell’incredibile universo che sta dietro ogni professionista: l’insieme delle sue esperienze e delle sue emozioni di essere umano e il livello di consapevolezza del proprio valore.
    Nella maggior parte dei casi, nei progetti di intervento organizzativo, siano questi strutturati o semplici, il coinvolgimento delle persone è più formale che sostanziale.
    Pochi credono veramente di poter “stare bene” in azienda, ancora meno credono veramente di poter fare “stare bene” i propri collaboratori.
    Solo alcuni sono consapevoli che “stare bene” significa funzionare meglio, anche se bisogna affrontare la crisi, il cambiamento o i problemi, interni ed esterni, del quotidiano aziendale.
    Quindi, da una parte ci sono le aziende che fanno fatica a comprendere il valore dell’investimento sulle persone, oppure lo fanno quasi come un “dovere”, con scarsa fiducia nei risultati, minando alla base qualsiasi tipo di progetto.
    Dall’altra, purtroppo, ci sono anche tante offerte poco concrete ed efficaci, che lasciano il tempo che trovano, (il clima aziendale che trovano) e aumentano la sfiducia nelle possibilità di intervento.
    E’ vero, oggi non è sempre facile spiegare il ruolo di un coach o di un progetto di vera formazione, però ho la sensazione che nel network FdR ci sia un terreno fertile per far crescere questa cultura che mette “le persone al centro”.
    Per cui, siamo proprio noi, gli artefici del cambiamento

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