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Cronache da un altro mondo. Alessandro: Amo l’Italia ma sposo la Polonia

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Ogni mattina al lavoro si inizia con l’immancabile “Buongiorno” in almeno sei lingue diverse: polacco, italiano, spagnolo, rumeno, francese e naturalmente inglese.

Non vivo in una grande città cosmopolita come New York o Londra ma a Cracovia, in Polonia. Sono qua ormai da quattro anni e da due lavoro presso una multinazionale inglese dove gestisco un team di vendita per l’area del Sud Europa (Italia, Francia e Spagna).

I miei agenti provengono da tante nazioni diverse: Polonia, Belgio, Ucraina, Romania, Italia e Spagna e anche grazie a loro sono cresciuto molto, sia a livello manageriale che umano.

La mia esperienza nel coaching mi sta insegnando che le potenzialità delle persone di cui gestisco le mansioni lavorative crescono straordinariamente se con loro si condivide l’obiettivo principale del nostro lavoro, così da ridurre al minimo la possibilità di errore, aumentare i risultati e non ultima la soddisfazione personale.

La “diversity” è un concetto che sta molto a cuore all’azienda e posso dire di averlo abbracciato in toto; ha arricchito enormemente il mio spirito critico e la mia creatività nell’affrontare il lavoro e la vita in generale.

Arrivato in Polonia per intraprendere l’Erasmus rivolto ai giovani imprenditori, mai avrei pensato di trattenermi per più dei sei mesi previsti da quel percorso di “formazione sul campo”; al termine del semestre  sarei dovuto tornare a Perugia ed aprire la mia azienda di consulenza di marketing internazionale per le nostre piccole e medie imprese.

Ma ho cambiato idea e i motivi per cui sono rimasto riguardano il fatto che la Polonia è un Paese con uno sviluppo economico in crescita, a cui la Comunità europea sta dando fiducia, avendo destinato negli ultimi anni fondi economici per un ammontare di circa 67 miliardi di euro e prevedendone altri nei prossimi anni intorno ai 105 miliardi. Il tutto senza contare che Cracovia è a livello mondiale il primo centro europeo per l’outsourcing di servizi.

Per questo diverse aziende come ad esempio IBM, Capgemini, Shell hanno assunto migliaia di impiegati che parlano diverse lingue per attività di call center, customer service, cash collector o hr.

Non solo italiano o spagnolo: il trend della comunicazione guarda positivamente anche a lingue più esotiche. La capacità di parlare il turco, il finlandese, lo svedese, l’olandese o il ricercatissimo fiammingo è oggi un requisito inedito quanto importante per entrare nel mondo del lavoro.

Sfruttando il livello approfondito di conoscenza delle lingue straniere da parte dei polacchi e la forte presenza di stranieri che vivono a Cracovia, le aziende multinazionali scelgono questa città per compiere le transition di interi processi, in precedenza svolti in altri Paesi dove il costo della manodopera è maggiore.

Per completare la panoramica su questa nazione in grande espansione vorrei aggiungere che la Polonia viene scelta non solo da grandi multinazionali ma anche da tante nostre PMI che delocalizzano la loro produzione e i loro servizi.

Avviare l’equivalente di una nostra s.r.l. (qui si chiama sp.zo.o) costa circa 1200 euro di capitale sociale e assumere un lavoratore è sicuramente un impegno meno oneroso e più flessibile che in Italia. Anche il settore immobiliare sta crescendo e non solo a Cracovia ma anche nella capitale Varsavia e in altre grandi città come Wroclaw; facendo un giro per le strade di queste realtà urbane si possono notare numerosi cantieri edili che ridisegnano in un’ottica più contemporanea città caratterizzate da una rigida e uniforme architettura, impronta del regime comunista. Segno dei tempi che cambiano.

L’Italia mi manca molto ed è il Paese che amo di più… ma per ora ho deciso di sposare la Polonia.

3 Commenti

  1. Difficile non essere d’accordo. Il tuo articolo mi fa anche pensare a quanto siamo indietro in Italia con lo studio delle lingue (eppure dovremmo essere un paese a vocazione turistica…). E mi convince ulteriormente che l’Italia necessiterebbe di una rivoluzione culturale, ma non vedo davvero nessuno capace di metterla in piedi. Per quanto la parola sia abusata e trita, abbiamo smesso da 30 anni di essere competitivi. Recuperare implicherebbe cancellare ex abrupto una classe politica, dirigente ed imprenditoriale che eccelle solo nell’autoreferenzialita’ e nel terrore della delega, confronto e concorrenza. Ma non riesco a capire come.

  2. “La collaborazione tra multinazionali, enti pubblici e università offre quell’opportunità di trasferimento di tecnologia sulla quale la Polonia conta per modernizzare la sua economia”.
    Sono le ultime righe di un articolo del Sole 24 Ore che fotografa la capacità di sfruttare le buone occasioni (fondi UE + investimenti esteri + agevolazioni fiscali) per costruire una modernità che rifonda le radici da cui tutti traggono un nutrimento sano.
    Tutto questo accade mentre noi italiani siamo sempe convinti, in fondo in fondo, di essere migliori di.

    http://www.ilsole24ore.com/art/impresa-e-territori/2013-09-25/polonia-economia-investimenti-esteri-093529.shtml?uuid=AbaTbWbI

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