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Cronache da un altro mondo. Dagli USA: la trasparenza nel fallimento dei progetti aziendali

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Una delle differenze culturali che meglio si notano emigrando negli USA e’ la capacita’ imprenditoriale diffusa, quella che consente a parecchi individui di vantarsi di aver fondato numerose aziende, alcune volte con buoni risultati, altre attraverso un fallimento. Trovi parecchia gente che si vanta di aver rischiato, fallito, ed aver ripreso a lavorare dal basso prima di ricrescere. Quello del “far da se” e’ un sentimento diffuso, reso famoso da Silicon Valley nell’imprenditoria informatica, ma presente in tutto il territorio americano ed in tutti i settori industriali.  

Benjamin Franklin rimane il riferimento di tutti, e fin dalle elementari ti insegnano che 200 lampadine sono stati i necessari fallimenti per arrivare al successo finale. Da Franklin in poi la narrativa e’ stracolma di esempi di eroi che con tenacia e capacita’ di gettare il cuore oltre l’ostacolo sono arrivati alla meta.

Tuttavia, quando cerchi informazioni su problemi e fallimenti di iniziative aziendali, e’ sorprendente vedere come la “corporation” sia molto poco trasparente.  Lavorando da tempo alla guida di programmi di change management, mi trovo spesso tra colleghi professionisti dell’information technology e della logistica (supply chain), per condividere esperienze su metodi e strumenti e verificare quali siano i migliori.   In altri termini mi trovo con persone che come me, beneficiano da uno scambio di informazioni dettagliate, anche tecniche, che possiamo poi portare a buon uso nella nostra azienda.

La stampa americana, generalista e di settore, promuove in modo generico l’adozione di nuovi sistemi informativi, ragionando sui benefici di produttivita’ ed efficienza che questi dovrebbero portare all’azienda e di conseguenza all’economia generale. E’ intuitivo che non tutti i progetti siano ciambelle col buco, e pare strano si senta molto poco parlare dei fallimenti dei progetti informatici.

Da un lato schiere di consulenti e societa’ di ricerca riportano l’insoddisfazione dei CEO su tempi e costi di implementazione di nuovi progetti, dall’altro una nuvola fosca aleggia su chi siano davvero i colpevoli.  Ma chi sono ? Ma quanti sono ?   Nel 2011 la stampa aveva riportato di un solo progetto SAP andato particolarmente male in Australia, dove una grande multinazionale della consulenza informatica ha fallito nel compito di aiutare il cliente (produttore di componentistica elettronica).

Nel 2012 le cronache parlano invece di un implementazione di tecnologia Mircosoft (Dynamics AX) andata particolarmente male, di nuovo per una commistione di problemi tra grande consulenza ed azienda a quanto pare non ben conscia di cosa voleva: pare che budget e tempistiche siano cresciute di 3-4 volte.

Due notizie, e nemmeno completamente dettagliate,  in due anni non sono un buon indice di trasparenza. La mancanza di trasparenza, ovvero di nomi, cifre ed accurate descrizioni degli accadimenti, non rende un buon servizio alle aziende che devono scegliere di chi fidarsi. Si renderebbe un maggior servizio a parlar bene dei fallimenti, che in numero ed impatto possono essere anche piu’ numerosi di quanto si pensi.

In ambito automobilistico, in questi giorni assistiamo all’imbarazzo di Mary Barra, CEO di GM, che apparentemente ha tenuto nascosta la notizia di pericolosi difetti su alcune loro vetture. Dopo le umiliazioni per Toyota, Ford e Chrysler, ora anche GM mette in evidenza una scarsa trasparenza della corporation americana. Giudici e giornalisti di razza sono pronti a dar battaglia.

3 Commenti

  1. Se ti capita, perché non ci linki articoli in lingua delle pagine di giornali (carta o on line) su cui escono certe notizie?
    Sempre utile capire come escono le notizie anche all’estero.

    Grazie Roberto, riflessioni inusuali su temi aziendali sempre caldi.

  2. Articoli molto belli ed illuminanti. Il tema mi riporta a quello sollevato da Osvaldo sui curricula noiosi, tutti uguali che non aiutano i recruiter a selezionare i candidati. E se nel curriculum scrivessimo oltre ai nostri successi anche gli inevitabili fallimenti che abbiamo incontrato nel percorso? Daremmo un ritratto di noi più vero come una foto ricca di contrasto e aiuteremmo meglio le aziende a selezionare le persone adatte al loro ambiente.

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