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Dal capitale umano allo sviluppo umano per una crescita economica e sociale sostenibile

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Siamo una nazione bloccata o forse siamo, più in generale,  un mondo bloccato.

Il virus ha messo in evidenza tutte le nostre fragilità a partire da quelle economiche e di crescita, le enormi disuguaglianze, i diritti che vengono spesso disattesi, i doveri che vengono elusi, l’incapacità di essere prossimi e tanto altro. In altre parole ha reso evidente la debolezza dei modelli di sviluppo su cui abbiamo investito e costruito la nostra vita, l’economia  e la nostra società.

Ci siamo accorti del ruolo fondamentale della prossimità, della collettiva, del valore della cura qualunque essa sia, del valore della relazione e tanto altro. Riflettendo sul passato dovremmo riprogettare il futuro a partire dalle S fondamentali come: società, sviluppo, solidarietà, sostenibilità, scienza, sogno, speranza, sanità e scuola. Ma come?

Cambiando i paradigmi fondativi della società e della crescita economica mettendo al centro di tutto l’uomo.

Ma cambiare i paradigmi è difficile, sono all’interno di noi stessi che quasi non riusciamo a riconoscerli.

Mi viene in mente la fisica della fine del XIX secolo e dei primi del XX dove i due pilastri di questa scienza, la meccanica newtoniana e l’ elettromagnetismo, sembravano fra loro inconciliabili. Si trattava di una crisi molto grave e profonda perché il successo della meccanica newtoniana non poteva essere messo in discussione e le leggi di Maxwell che spiegavano con semplicità ed eleganza tutti i fenomeni elettrici e magnetici acquisivano sempre più importanza grazie all’efficacia applicativa.

Ed ecco allora il cambio di paradigma, dovuto ad Einstein, che unisce: cade l’assolutezza dello spazio e del tempo che Galileo e Newton avevano tramandato. Lo  spazio e il tempo non sono assoluti e nulla può viaggiare più veloce della luce,  non è una differenza semantica ma un cambio sostanziale dei fondamenti della fisica, paragonabile a quello che ci viene oggi richiesto. Einstein non ci dice che tutto è relativo come a volte si tende a credere infatti afferma che le leggi della fisica sono le stesse in tutti i sistemi di riferimento ma riesce a trovare una conciliazione  considerando il tempo, ad esempio, come una quantità che cambia a seconda del sistema di riferimento. Il tempo scorre più lentamente laddove è più intenso il campo gravitazionale, ovvero, secondo la nuova visione di Einstein, laddove lo spazio-tempo è maggiormente deformato. Diversamente, allontanandosi dalla massa che curva lo spazio-tempo, il tempo scorre più velocemente.

E allora come tradurlo nell’oggi?

Partiamo da due S scuola e società: la scuola è lo specchio della società e la società sarà lo specchio della scuola. La scuola è un fattore chiave per lo sviluppo sociale ed economico del Paese e lo sarà ancora di più in una fase di ricostruzione come quella del post-Coronavirus.

La “S” di sviluppo.

È  fondamentale passare dal paradigma del capitale umano a quello dello sviluppo umano. Anche in questo caso non è differenza semantica ma sostanziale e fondativa. Amartya Sen sostiene che il capitale umano tratta le persone come delle macchine, in questa logica sono i mercati del lavoro che si devono adeguare alle esigenze mutevoli del sistema produttivo e in questa logica l’individuo non ha alcun possibilità di intervento e non ha nessuna possibilità di essere soggetto proattivo, con il risultato di essere in molti casi insoddisfatto e in altri di non aver nessuna possibilità di lavorare diventando così una zavorra e non una risorsa.

Io non posso diventare altro da me! Tenere, invece, presente lo sviluppo della persona nella sua interezza, quindi ma non solo come lavoratore/lavoratrice; dare centralità all’individuo ha come contropartita il trasferimento su di esso di una forte auto-responsabilità nei confronti del proprio apprendimento. Il paradigma dello sviluppo umano, centrato sullo sviluppo delle libertà personali, considera l’istruzione come fattore di emancipazione individuale e di promozione della democrazia.  O meglio bisognerebbe arrivare a un’idea di scuola che riesca a conciliare questi due aspetti dove però a “governare” i processi deve essere l’attenzione allo sviluppo umano che costituisce la cornice entro la quale assumere in maniera critica gli elementi che vanno costruiti insieme al mondo del lavoro.

In sintesi: reddito prodotto, qualità della vita e felicità, sviluppo del sé in stretto legame con l’ambiente umano e materiale, una collaborazione intelligente e responsabile della persona.

Il principio formativo della scuola deve essere concepito in relazione all’uomo  e ai  suoi rapporti sociali per una crescita armonica della persona. Come analizza Massimo Balducci docente di Scienze Politiche all’Università di Firenze, si tratta di portare a sintesi la formazione del produttore e quella del cittadino, nella consapevolezza che ciò risponde a un’esigenza non solo ideale ma anche oggettiva, che rende oggi necessaria lo sviluppo di intelligenze più astratte, flessibili ed ecologiche.  

Ai fini proprio della partecipazione democratica, la complessità dei problemi sociali rende necessaria lo sviluppo nelle persone di una competenza sistemica capace di cogliere le questioni nella loro totalità e il saper  mettere in relazione le parti tra loro e con il tutto. Per  sviluppare questo tipo di competenze e/o intelligenze la scuola, sostiene Balducci,  va liberata da compiti direttamente professionalizzanti, rafforzando la formazione culturale generale, la coltivazione dell’abito della ricerca e la capacità di pensiero critico.

La scuola, insomma, deve formare persone capaci di pensare con la propria testa, e che abbiano il coraggio di usarla, sia nel lavoro che nella politica. Una scuola quindi che riesca a formare “lavoratori, critici” che diventino una risorsa non solo esecutiva ma anche proattiva che può contribuire in modo fattivo oltre che all’evoluzione sociale anche a quella economica.

Sarà quindi fondamentale non creare scissione tra i diversi saperi e sviluppare maggiormente il pensiero matematico proprio perché la matematica ha, nella sua stessa natura, una funzione unificatrice tra il pensiero umanistico/artistico e quello tecnologico/scientifico ed abitua la mente a cercare relazione tra le parti e con il “tutto”.

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