Giallo, Rosso e Dragone. Parlando di Cina e comunicazione
Dalla stazione metro di Zhongshan Park, prendendo l’uscita 7, ci si trova immediatamente di fronte al Cloud Nine un grattacielo di 58 piani che di notte è illuminato da giochi di luci fluorescenti. Dall’angolo dello Sturbucks (Xingbake, in cinese) sbuca una vecchina curva che trascina un carretto malconcio pieno di spiedini fumanti. Il fumo mi investe nell’insopportabile afa di agosto. È questa la prima immagine che conservo del mio arrivo a Shanghai ad agosto 2013, un’immagine che ben rappresenta tutti contrasti che ho continuato a scoprire nella città più all’avanguardia della Cina, città che tuttavia conserva forti elementi della cultura tradizionale pre-Rivoluzione culturale (pochi) e post-Rivoluzione culturale (molti).
Fino all’anno scorso non avevo mai pensato di vivere nel paese del Dragone ma la sfida culturale e professionale che oggi la Cina rappresenta ha avuto la meglio. La Cina che in Occidente compra case di moda, che dà introiti inattesi al turismo (110 milioni è la cifra astronomica a cui arriveranno i viaggi dei turisti cinesi nel 2014), che acquisisce l’80% di Forbes, che apre il mercato alla eno-gastronomia italiana, che diventerà il primo mercato del lusso entro il 2015, oggi è un Paese che desta interesse e prospettive di lavoro. È un Paese che oggi più che mai va compreso per andare oltre gli stereotipi e la diffidenza.
Oggi molte aziende italiane vogliono sbarcare in Cina ma senza l’aiuto di professionisti preparati ad accompagnarle, dal punto di vista legale, commerciale e culturale, incontrano enormi difficoltà e rischiano grosse perdite di tempo e denaro. Anche la comunicazione non può essere improvvisata. Dal naming del prodotto all’attività di web marketing, tutto esige la conoscenza di regole e strumenti diversi da quelli a cui siamo abituati. Qualche esempio concreto? Parmalat ha tradotto il nome dell’azienda con la sequenza di caratteri 帕 玛 拉 特 (Pa-ma-la-te) per richiamare il suono originario ed è diventata un “fazzoletto-tirare-particolare”, nome che non dà nessuna informazione sul prodotto né rende facile la sua memorizzazione per un cinese. Coca-Cola, invece, furbamente, ha tradotto il marchio con i caratteri 可口可乐 (ke-kou-ke-le) che significano “gustoso” e “contento” dando a chiunque ordini una Coca-cola l’idea di ordinare un “bicchiere di allegria”!
La comunicazione sui social network esige lo stesso tipo di traduzione culturale oltre che linguistica: preparare l’invito di un evento in cinese e promuoverlo su Facebook e Twitter, canali notoriamente bloccati in Cina, trascurando invece We Chat e Sina Weibo, che contano milioni di utenti attivi, è un’operazione chiaramente priva di efficacia, eppure ne abbiamo recenti e clamorosi esempi. Padroneggiare la lingua è una condizione necessaria ma non sufficiente per avere uno scambio culturalmente e commercialmente vantaggioso con questo Paese, bisogna conoscerne le regole e lo spirito.
I colori della Cina emanano un significato carico di storia. Le donne cinesi, sempre più in linea con i modelli estetici occidentali, continuano ad essere ossessionate dalla pelle bianca, segno di nobiltà nella cultura tradizionale, tantoché aziende di cosmetica occidentali mettono a loro disposizione intere linee di prodotti sbiancanti. Il giallo, colore che in passato poteva essere indossato solo dall’imperatore e che ha dato il nome al fertile Fiume Giallo, oggi continua ad essere associato al successo ed alla forza vitale. Un “libro giallo” non è un poliziesco ma l’equivalente di un nostro libro “a luci rosse”! Il rosso, colore del Dragone cinese, del libretto di Mao, della bandiera e delle lanterne, resiste nei secoli e continua a predominare esprimendo forza e prosperità.
Tra tradizione e progresso oggi vivere in Cina per un straniero è sicuramente più facile che trent’anni fa anche se ci si deve abituare a certe maniere “brusche”, ad una concezione quasi inesistente del valore di un prodotto originale (se un prodotto funziona perché cambiarlo? Meglio copiarlo!), ad una scarsa sensibilità ambientale e all’aria talvolta irrespirabile. Per non parlare dell’attivissima censura. Eppure le nuove generazioni che studiano, viaggiano e godono di un certo benessere, sembrano essere lontane anni luce dalle vecchie generazioni traumaticamente trapiantante dalle città alle campagne e poi di nuovo riportate in città totalmente mutate. Incontro numerosi studenti universitari che fanno viaggi di studio in Cina, si fidanzano con coetanei cinesi e dicono di voler restare.
Il mio progetto è piuttosto quello di viaggiare attraverso una moderna via della seta tracciata da aerei intercontinentali e rete internet, parlare cinese in Europa e tradurre il “made in Italy” in Cina. Se qualcuno è curioso di sapere come me la sto cavando con gli ideogrammi, con le bacchette o altro può contattarmi direttamente e attraverso il network di Fior di Risorse. Come direbbe un cinese “sono arrivato a scrivere fin qui” e vi regalo questa massima di Confucio: “Non importa se ti muovi piano, l’importante è che non ti fermi!”.
Grazie Letizia,
sono stato in Cina quasi 10 anni fa, un viaggio da solo per curiosità, amore e lavoro. Rileggere l’incipit del tuo articolo mi ha ridato quelle sensazioni contrastanti di quella mattina che, sceso giù in strada mi chiesi: sono in un altro modo. E ORA?
Avevo già bisogno di parlarti dopo che Annamaria De Fano mi ha detto cosa facevi e dove, ci sentiamo nei prossimi giorni.
Andrea
In effetti, nonostante gli anni trascorsi, all’arrivo in Cina si ha ancora un forte senso di straniamento. Creare un link che colmi il gap culturale è sempre una sfida. Ci sentiamo quando vuoi, Andrea. A presto!