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Il senso della riconoscenza secondo David Letterman.

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Evitiamo le retoriche e prendiamo per buono solo ciò che questo video trasmette.
Michele O’ Callaghan è stata la truccatrice ventennale di David Letterman. La sua morte poteva rimanere un fatto privato, un dietro le quinte fra persone e collaboratori che la conoscevano. Oppure un gesto umano, una dimostrazione di una grande leadership – Letterman non fa un elogio funebre strappacuore, ma utilizza l’ironia tipica del suo personaggio – e al tempo stesso un gesto di grande riconoscenza per una collaboratrice sempre presente, ricorda Letterman, anche durante le tre maternità.
Su Facebook questo video è stato lanciato come “esempio” di stile e comunicazione manageriale.
Nelle nostre imprese abbiamo forse perso il senso della riconoscenza?

9 Commenti

  1. Assolutamente No. LA riconoscenza non esiste in ambito professionale. La riconoscenza è debolezza, cedimento, bisogno dell’altro e sul lavoro è un sentimento che nn riesce a trovare un sua coerente collocazione.

  2. Infatti: le doti di Letterman di comunicazione non sono in discussione, ma da qui emerge più che altro la sua gratitudine per l’umanità, rappresentata in questo momento da una donna ritratta come presente, felice e, soprattutto, in grado di donare. Sarebbe davvero bello se anche nel nostro mondo, nella vita di tutti i giorni, ci facessimo guidare più dal dare che dall’avere e se trovassimo più spazio per, appunto, il riconoscimento. Saremmo ancora più felici!
    e non lo dico perché è Natale – forse un po’ si, dai… 🙂

  3. Letterman ha dato una grande dimostrazione di come con la sua “solita” semplicità si possa fare un grande ed ancora più sentito omaggio.
    Da noi si sarebbe utilizzato un quasi certamente ipocrita comunicato ufficiale a cui pochi avrebbero dato ascolto.
    Ammiro la riconoscenza espressa da Letterman.

  4. Grazie Osvaldo per la segnalazione, davvero un ottimo esempio di comunicazione efficace e diretta.

    Forse oltre al senso di riconoscenza c’è poco senso di “crew”- di squadra- e ci dimentichiamo che ogni risultato (buono o cattivo) è legato con un filo più o meno sottile anche alle persone con le quali lavoriamo.

  5. 3800 volte …
    3800 giorni e notti …
    Sono almeno 15 anni di lavoro continuo con un collaboratore.
    Questa è fedeltà nel team da parte di Michele che si trasforma in riconoscenza da parte del team e del suo leader.
    Bell’esempio che arriva dalla patria della flessibilità e della precarietà.

  6. Avevo visto questa “commemorazione” di Letterman ed effettivamente l’ho trovata straordinaria, rispetto ai fiumi di parole che si spendono per persone celebri ma che magari incidono anche molto poco nella vita dei singoli o delle comunità.
    Per quanto riguarda la riconoscenza nel lavoro, sono d’accordo sulla seconda parte del commento di Antonella ma non sono d’accordo sul NO assoluto espresso all’inizio: credo che la riconoscenza non sia “merce comune” ma credo che ci sia e credo che un po’ di “grazie” inaspettati (e meritati) arrivino, anche in questo mondaccio degli affari un po’ cannibale e quasi autodivoratore. Forse dovremmo (tutti) essere più bravi a “riconoscere la riconoscenza”.

    Per concludere un augurio un po’ Natalizio di tanta, buona riconoscenza a tutti!

    Giorgio

  7. Non conoscevo nemmeno io questo video. Ringrazio Osvaldo per aver introdotto questo argomento. Lasciando perdere la retorica come è stato già scritto, prendiamo la bontà del messaggio trasmesso: ovvero la gratitudine di un manager qualificato e coscienzioso che riconosce il valore di una sua storica collaboratrice. Concordo sul fatto che nelle nostre aziende questo si è andato perdendo negli anni e non solo nelle nostre aziende… La riconoscenza dovrebbe far parte di quella famosa “onestà intelluttuale” patrimonio delle persone giuste, che dovrebbe assegnare i meriti a chi li ha … insomma, “dare a Cesare quello che è di Cesare”. A mio parere non dovrebbe essere un’evento eccezionale, ma la normalità. Il fatto che sia diventato eccezione, ci deve far pensare …

  8. Ho visto la trasmissione in questione e ho pensato, al di là degli immancabili elogi a Letterman, che l’atto di riconoscenza e riconoscimento del lavoro svolto sia figlio di una cultura in cui si da valore alla meritocrazia. C’è una cultura dove si riconosce ‘chi fa bene’ a anche ‘chi fa male’ e questo vale a qualsiasi livello.
    La maggior parte delle nostre aziende sono malamente organizzate, con ruoli lavorativi opachi, processi approssimativi. Con questa situazione, come si fa ad individuare il punto debole o quello forte della catena del lavoro di cui ognuno fa parte all’interno del proprio contesto?

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