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L'approccio lean nel Centro Italia Terza ed ultima fase: costi e benefici

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Ma quanto costa?

L’implementazione di un sistema di lean manufacturing ha ovviamente un costo iniziale; spesso bisogna rivolgersi a dei consulenti esterni, che portino le competenze necessarie, raramente presenti in azienda (specialmente nelle PMI); poi ci sono i costi di formazione del personale: anche poche ore in aula e pochi giorni di workshop (cioè di attività sul campo, con l’obiettivo di fare e far vedere cambiamenti significativi in una o due settimane) possono incidere sensibilmente sulle finanze di un’azienda. E poi ci sono dei costi dovuti ad un inevitabile transitorio: la riduzione dei tempi ciclo passa comunque attraverso un po’ di addestramento anche del personale esperto, una riluttanza difensivistica delle maestranze, il fuoco di sbarramento dei sindacati. Ovviamente ci sono anche i costi dei workshop: spostare tre postazioni di una linea o una rettificatrice da 15 tonnellate non viene gratis! Un po’ di vernice per abbellire macchine di 25 anni, viti, dadi, saldature, molature, ritagli di lexan e lamiere inox per rendere più funzionali i posti di lavoro costano (poco, ma costano).

Ma i BENEFICI superano di gran lunga i costi iniziali: generalmente il pay-back di queste attività va da due a sei mesi; cioè, semplici interventi sui processi, con investimenti molto bassi (rispetto ad interventi di automazione media o pesante o all’incremento di capacità con il raddoppio degli impianti etc.) permettono di avere nel primo anno benefici da due a sei volte superiori ai costi. E l’appetito vien mangiando (la battuta di Totò su chi digiuna è esilarante ma romperebbe il filo del ragionamento): altri progetti, altri workshop, altri benefici, altra crescita del morale aziendale a tutti i livelli.

A proposito dei costi iniziali è interessante notare che alcune consultancy firms stanno introducendo tra le proprie leve negoziali delle forme di result fee; più o meno funziona così: i consulenti chiedono dei pagamenti iniziali e ad avanzamento delle attività che coprono le spese vive e poco più e poi cominciano ad incassare percentualmente ai risultati ottenuti, magari sui dodici mesi successivi all’intervento; in questo modo i consulenti tirano la cinghia (inizialmente) ma, a fronte di un buon lavoro, saranno compensati ben oltre un onorario standard a giornate; gli imprenditori ed i manager accettano meglio l’esborso iniziale, che può essere anche il 15 o il 20%, rispetto ad un accordo tradizionale (ancora effetto benefico sul CASH FLOW) e poi son più contenti di pagare un 5 o 10% sui benefici totali di un anno, sapendo che i consulenti saranno motivatissimi a ridurre drasticamente gli sprechi.

Ma a me, che vivo tra il mare, la natura e le colline del centro Italia, chi me lo fa fare?

L’applicazione dei metodi lean e del kaizen non ha confini geografici. L’approccio del tipo “Qui non c’è la mentalità giusta, non siamo giapponesi o tedeschi; gli svizzeri, loro sì sono ordinati e metodici” (infatti le migliori auto del mondo sono costruite a Sant’Agata Bolognese e Maranello o a Berna e San Gallo?) è molto frequente, specialmente tra i livelli intermedi di cui sopra; ma è sbagliato ed è un paravento dietro cui nascondere la paura di fallire e la difesa del quieto (si fa per dire) vivere. La mentalità giusta può essere ottenuta ad Atene, Tunisi, Enna e Grosseto, così come ad Oslo, Città del Messico o Kyoto: la mentalità giusta deriva dal reale, pieno “commitment” di chi paga (l’imprenditore) e dei top managers; se questi stakeholders credono nel progetto, ne capiscono i benefici competitivi ed i vantaggi economici e finanziari, il progetto andrà in porto. Certo, bisognerà combattere molte resistenze ed in alcuni casi “picchiare duro” per andare avanti; ma alla fine, più dell’80% degli attori sarà soddisfatto (meglio il 60% oggi che il 100% mai!).

Ed i metodi lean non hanno neanche una dimensione ideale ed esclusiva: possono essere applicati da un colosso industriale come la Toyota, da un’impresa artigianale di 8 persone, da un’impresa di servizi alle persone che lavora solo in due quartieri di Ancona o di Piacenza.

Proprio oggi, mentre ne scriviamo, sono decine i progetti in corso in aziende del centro Italia, siano esse le emanazioni di multinazionali o aziende localissime, il cui imprenditore ha superato da tempo l’età pensionabile (e qui si potrebbe aprire un interessante discettazione sul passaggio generazionale); e la cosa ancora più interessante è che molte sono le società di consulenza del centro Italia (emiliane soprattutto, ma non solo) che aiutano le aziende che formano il tessuto produttivo dei nostri territori ad affrontare questo percorso di crescita, con competenza e professionalità.

Insomma, le logiche del lean thinking o kaizen o miglioramento continuo possono permeare proficuamente il tessuto industriale, produttivo, imprenditoriale dei nostri territori e possono essere un utilissimo plus per uscire da questa fortissima crisi globale con qualcosa in più, con la voglia di correre per competere, non limitandosi a “guardare quello che succede” o a camminare con il passo flemmatico di un passato che non c’è più, rischiando di essere semplicemente spazzati via.

6 Commenti

  1. Ho trovato molto interessante l’articolo. Laureato in ing. aerospaziale a Pisa, negli anni ’90 il mio professore Roberto Mirandola si spendeva in una accorata apologia di queste tematiche nel tentativo di trasferire a noi studenti solo una parte del suo entusiasmo. Ritrovo nell’articolo molto di quanto allora studiavo ed oggi, a distanza di qualche anno, lavorando in un’azienda giapponese, posso toccare con mano ciò che allora era solo teoria. Tuttavia il panorama italiano, da questo punto di vista, è assai desolante: una ancora dilagante mentalità di “corto periodo” impedisce alle aziende di intraprendere una strada che necessita, per sua stessa natura, dell’approccio tipicamente giapponese sintetizzabile nel motto “un passo alla volta”, approccio che in Italia è sostituito, purtroppo ancora diffusamente, dal più miope “tutto e subito”.

    FG

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