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Lavorare o Morire a Taranto La "scelta di Sophie" di un discutibile imprenditore. e della politica che gira intorno.

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Da qualche giorno sto raccogliendo testimonianze e articoli di giornali e blog sulla situazione di Taranto. Centinaia i tweet che quotidianamente aggiornano la situazione o che semplicemente danno libero sfogo al pensiero di molti, schierati fondamentalmente in due aree:
– pro / contro la chiusura del reparto a caldo di Ilva
– pro / contro i giudici (perché a noi, poi, di fare di tutta un’erba un fascio ci piace sempre molto).
Comincerei con un quadro dei tre protagonisti principali della storia: Il proprietario di Ilva: Emilio Riva, imprenditore d’altri tempi ma non propriamente nell’accezione che oggi si tende a dare ad un Adriano Olivetti. Parte da Genova con l’acquisizione delle Acciaierie Cornigliano per poi arrivare all’acquisizione della ex Italsider di Taranto dopo una lunga trattativa con la IRI di Romano Prodi. Dei fatturati parleremo dopo.
Del rispetto per le Persone (parlare di “risorse” e “umane” mi sembra già eccessivo, in questo caso) parlerei fin da subito invece. Nel 2001, la gestione degli esuberi della ex italsider viene gestita in maniera “creativa” (cercate i particolari in rete, agghiaccianti). Riva viene condannato a scontare un anno e sei mesi per mobbing e tentata violenza privata. A Caronno Pertusella, in seguito ad un incidente sul lavoro, Riva viene arrestato e chiude i cancelli della fabbrica dichiarando: “finchè non esco, qui non si lavora”. Nel 1998 Taranto viene dichiarata città ad alto rischio ambientale e nel 2006 l’Ines (Inventario nazionale emissioni e sorgenti) stabilisce che il 92% delle emissioni di diossina nazionali provengono da Taranto. Nel 2008 vengono abbattute 2000 pecore e Taranto perde almeno 3000 posti di lavoro dall’industria della pesca e del mare. Ma Ilva rimane sempre aperta; la politica che si sussegue in Puglia garantisce a Riva una continuità al di sopra della legge. Nel Curriculum compare infine, alla veneranda età di 83 anni, l’ultima voce che lo vede in prima fila nel salvataggio di Alitalia (il famoso CAI – la “good company” ) per un “atto di patriottismo”. Sarà forse grazie a questo atto, che nel 2011 la ministra Prestigiacomo sospende con un decreto ad hoc, il sequestro della fabbrica richiesto dai carabinieri del Noe di Lecce in seguito ad una serie di controlli a sorpresa.

Ilva: e non parliamo di TUTTA l’azienda ma di un solo reparto. Francesco Forastiere, perito della procura porta dei dati da brivido: 386,30 morti ogni 12 mesi negli ultimi 60 anni! (più di un morto al giorno) Neoplasia polmonare è la diagnosi più frequente. Campi e animali intossicati in un raggio di 20 km, una tonnellata e mezzo di polveri al giorno sparata in cielo, 90 morti all’anno accertati fuori dalla fabbrica. La mortalità infantile è in eccesso del 18% sulla media nazionale. Nel 2000 la Ilva ha fatturato 4947 miliardi di euro e un utile di 286,5 milioni. Non un solo euro è finito in bonifiche o ristrutturazioni.

Il (neo) ministro Clini: è un medico del lavoro, quindi direi persona assolutamente qualificata a comprendere questo tipo di emergenze. Peccato che la sua oppozione ferrea al protocollo di Kyoto già nel 2001 non lo configurano come uno dei più attenti sostenitori dell’ambiente, facendo già a suo tempo incazzare l’allora Primo Ministro Amato (non proprio un ecologista!!) Di fatto, Clini è riuscito a far approvare a tempo di record un decretino con cui lo Stato regalerà 336 milioni di euro alla Ilva per la bonifica. Che non sono “Soldi di tutti” (e di certo non sono soldi di Riva, ma sono fondi che erano stati destinati al sovvenzionamento di aziende che avrebbero investito, rinnovato, prodotto interventi per le energie rinnovabili e il risparmio energetico e che adesso saranno dirottati “in toto” verso Taranto e verso le sole aziende di quell’area, fra cui, guarda caso, l’ENI. Di questi, 110 milioni arriveranno dal fondo Sviluppo e Coesione della Regione Puglia, 90 milioni dal Programma per la Ricerca e Competività. Avete fatto il conto di quanti posti di lavoro si perdono, quanti progetti innovativi si abbandonano e quante PMI non riceveranno alcun contributo per la loro crescita? Nel 1995 una soluzione simile, di fronte all’annunciata chiusura dello stabilimento di Genova, era stata preso dall’allora (sempre Clini) direttore generale del ministero dell’ambiente. E anche lì, soldi statali sono stati devoluti per il miglioramento di Ilva, un’azienda privata.

Nel 2011 (in piena crisi) il Gruppo ha fatturato 10 miliardi di euro per 327 milioni di utili, mentre la Holding che detiene la Riva ha triplicato gli utili rispetto al 2010, da 10,3 a 31,5 milioni.

Conclusione: un giudice (che non è mai apparso in tv, di cui si parla ai telegiornali mostrando foto di repertorio, che non sembra nutrire alcun fascino per gli aspetti mediatici dell’operazione), ha deciso che, o i signori Riva e Ferrante, recuperano 20 anni di avvisi e di pessima gestione ambientale e rimettono la città in condizione di non dover più piangere un morto e mezzo al giorno, di veder riprendere attività come la pastorizia, il turismo e il mare (un indotto di almeno 6000 operatori di cui nessuno parla), oppure si chiude. Non mi sembra che ci sia nulla di scandaloso.

Ad eccezione del ricatto, ancora una volta, di un imprenditore che “gioca” con il tema dell’occupazione per svicolare dai suoi doveri.

Ma un bar, prima di aprire, non deve avere un impianto a regola? E così un cinema, un circolo, un supermercato? Eppure, nessuna di queste attività è idealmente “pericolosa”.

Se fossimo in America, i lavoratori della Ilva avrebbero fatto una solida class action e oggi avrebbero di che vivere per il tempo necessario alla Ilva di investire la metà del proprio utile per rimettere in sesto quel catafalco della morte che oggi rappresenta 17000 posti di lavoro, indotto compreso.

Personalmente credo che i Tarantini dovrebbero pretendere che l’azienda a cui hanno permesso con i propri morti di prosperare per 60 anni, oggi restituisse alla città una parte di quel patrimonio.

Si parla tanto di lavorare per (soprav)vivere. Tutt’altra cosa è lavorare per morire. E nessuno dovrebbe essere obbligato a questa scelta.

4 Commenti

  1. Concordo!
    In estrema sintesi tra lavoro e giustizia io scelgo entrambi.
    Il ricatto è inammissibile!
    Semplicemente bonificano e rendono la produzione salubre.
    Non hanno i soldi? Venderanno quote per finanziare la bonifica e la messa a norma degli impianti.
    Se una realtà è troppo grande per fallire, allora dovrebbe soggiacere a vincoli maggiori … ma così non è! …anzi!
    Guarda caso ora cominciano a venir fuori finanziamenti erogati a destra e a manca e si comincia a comprendere come mai la politica tutta era così pacata.

  2. Il caso di Taranto non è l’unico in Italia. Ne lo e’ stato.
    Una soluzione, quindi, non può essere presa isolatamente. Il tema va affrontato considerando di istituire delle regole di riferimento, quindi un piano pluriennale, con tanto di priorita’ e di fondi. Questo per evitare in futuro ulteriori “emergenze”, conflitti istituzionali e quesiti ambigui come <> (che sostituisce oggi quello che nel periodo della Guerra Fredda era: <>).
    La risposta è ovvvia: per quanto possibile voglio entrambi e proprio perchè non sono idealista.

    Il nucleo delle regole deve riguardare innanzi tutto la fattibilità tecnica ed economica.
    Ad esempio,nel caso di Casale forse non c’era la fattibiità tecnica, ed in ogni caso il prodotto finale era stato bandito.
    Nel caso di Taranto c’e’ la fattibilità tecnica? C’e’ quella economica? Allora si procede alla bonifica (che recuperi la situazione creatasi in passato, quando addirittura la proprietà era pubblica….) e alla riduzione degli impatti entro i limiti di legge.
    Quanto alla suddivisione dei costi, va fatta una valutazione di merito, considerando il complesso degli accordi legalmente presi dai vari attori sin dal momento del passaggio di proprietà. Ora non saprei che dire non essendone a conoscenza.

    In parallelo, per me è ovvio che debbano proseguire le indagini, accertando tutte le responsabilità: dei proprietari, del management, degli organi di controllo, della regione e dello stato. Qualunque provvedimento penale venga preso a carico degli attori, il diritto societario penso metta a disposizione opzioni che assicurino la continuità della produzione e la sua bonifica.

    In parallello, vanno rivisti i criteri di progettazione dei grandi impianti. Mi pare abbastanza evidente che il più possibile va limitata l’invasività tecnologica dei territori e il vincolarli a “monoproduzioni”.
    Possono essere scoperti nuovi impatti, possono dover variare le normative (ad esempio per accordi comunitari o più ampi), possono drasticamente cambiare le condizioni competitive.
    Bisogna evitare in futuro il più possibile di avere effetti tipo “too big to fail”.
    All’opposto, per i piccoli impianti, se non a livello di legge almeno nei regolamenti, va prevista la modulabiità degli oneri burocratici, considerando (ad esempio) gli effetti dimensionali, la natura dei processi ecc. (vedi il caso della legislazioni sulla sicurezza sul lavoro).

    Infine, il sistema di governance. E’ un tema dolente in molteplici ambiti del nostro paese.
    Perchè troppe, ambigue e incoffessabili sono le commistioni extra sistema.
    Va rivista l’efficacia e l’indipendenza dei sistemi di contollo e del loro coordinamento sia verso la politica sia verso gli altri poteri dello stato (ad esempio la magistratura). Lo scopo è duplice: aumentare la loro efficacia sostanziale; evitare che un improvviso cambiamento di attori o atteggiamenti muti drammaticamente le valutazioni e le loro conseguenze.
    Es.: non è la prima volta che non funziona il coordinamento fra Arpa ed amministrazioni locali da cui dipendono. Forse vanno rese indipendenti dal potere politico, per lo meno da quello locale.

    I cittadini: i signori cittadini debbono svegliarsi e pretendere la trasparenza degli atti e prendersi la briga di informarsi sui nuovi problemi. In caso contrario non avremo mai una democrazia che si avvicini ad un accettabile livello di maturità. In una situazione di minorità dell’opinione pubblica, fatti come questi o peggiori saranno non solo possibili ma sempre più incentivati, data la crescente complessità di questo mondo.

    Una considerazione finale: vedremo come finirà l’indagine ma al momento mi debbo dire molto deluso da una dirigenza della regione che a parole progressista pare stia illuminando le sue omissioni di una luce eccessivamente ambigua, anche per gli obblighi di mediazione e realismo che ad ogni politico si impongono.

  3. Vorrei aggiungere tre cose che mi sembra non siano state toccate:
    Il carosello societario che da meta’ luglio sta coinvolgendo le societa’ in lussemburgo dei Riva, spariranno degli utili? Diventeranno poveri e bisognosi alla fine?..”…..
    Il procuratore aveva chiesto a febbraio 2012 , febbraio 2012 ….a tutti gli enti compreso il ministro clini di Muoversi sull’ilva e di prendere decisioni su come mantenere il polo sotto controllo ma nessuno ha fatto nulla, pensavano di mandare il procuratore insieme ad ingroia ai caraibi?……..
    Per ultimo ferrante il nuovo apicale dell’ilva , cercate la sua storia su internet , si passa dalla prefettura ai rifiuti di napoli , ed in mezzo c’e’ di tutto di piu’ , diciamo che ha studiato su tutti i libri ………
    Buona Italia a tutti

  4. Mi era sfuggito questo splendido post, grazie Osvaldo per la precisione e la dovizia di particolari. Sono tarantino e uno dei motivi che mi ha allontanato dalla mia amata città è proprio la questione ambientale. Ci siamo chiesti con mia moglie: E’ Taranto il posto giusto dove crescere i propri figli? No purtroppo non lo è. Eppure per tanti anni ho vissuto anche felicemente in questa città e quando ero bambino (era Italsider) ci veniva quasi trasmesso un senso di orgoglio per la grande fabbrica. I dati scientifici e l’esperienza sulla nostra pelle (quanti morti e ammalati di tumore…) hanno dimostrato le conseguenze di una produzione così antiquata. Ormai non ci sono più scuse, bisogna prenderne atto, come ha giustamente fatto la magistratura e riprogrammare il futuro industriale di Taranto e dell’Italia con le conoscenze del 2012.E’ inutile continuare a rinviare, mettere toppe e a nascondere tutto sotto il tappeto.La cosa positiva è che in città c’è un clima diverso e c’è più consapevolezza della necessità di questa battaglia di civiltà dopo tanti anni di indolente passività.

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