Una nuova epidemia in azienda. Sopravvissuti al Brainstorming, sopravviverete all'Hackathon?
Molti erano sopravvissuti al Brainstorming, riusciranno a sopravvivere all’Hackathon?
Mi ha sempre colpito la frase di Coco Chanel che distingueva tra moda e stile. La prima resta sempre vittima del tempo la seconda ha la capacità di adeguarsi e di innovarsi continuamente.
Il contesto aziendale è sempre prolifico di esempi di mode e stili.
Ne eravamo spettatori consapevoli quando un intelligente strumento di gestione delle riunioni, chiamato brainstorming, ha mietuto vittime e feriti in tutte le aree aziendali con una velocità di diffusione capace di far impallidire anche il più catastrofico copione dell’ultimo catastrofico blockbuster cinematografico.
Ho visto gruppi di valenti risorse aziendali disidratate da riunioni creative senza inizio e fine. Ho avuto modo di parlare con facilitatori di brainstorming che hanno vissuto mesi in un’azienda. Ho visto dirigenti e manager disposti alle situazioni creative più imbarazzanti pur di generare un’idea.
Effetti che hanno portato a sviluppare anticorpi che impediscono oramai, in alcune aziende, di proporre o affrontare qualsiasi iniziativa riguardante la Creatività aziendale.
Cosi come lavarsi le mani è da sempre la prima azione d’igiene personale e collettiva così basterebbe applicare poche regole per salvarsi dall’infezione distorta del brainstorming:
- Scriverne la sceneggiatura per preparare le dinamiche;
- Limitarne al minimo necessario l’intervallo di tempo;
- Considerare le persone che ci partecipano per scegliere le tecniche;
- Avere ben in mente l’obiettivo per raggiungerlo.
Il mio compito è di affrontare tutti insieme un nuovo virus, ovviamente importato da paesi anglosassoni che minaccia pesantemente le nostre aziende.
Il primo sintomo si registra quando udirete questa frase in una riunione o proferita da parte di un manager “Per questo tema organizziamo un HACKATHON!”.
Il rischio di udirla è nascosto in molte riunioni, di definizione di nuovi prodotti, nuove strategie di comunicazione, nuovi processi aziendali o nella definizione di modalità di adozione di nuove tecnologie o strumenti digitali.
Indossate la mascherina, alzate la mano, e, visto che le immagini nel nostro contesto hanno più valore di molte parole, provate a dire: “Avete visto il film capolavoro (questo è un giudizio personale) The Social Network sulla storia della creazione di Facebook? Avete presente la scena in cui ragazzini in una stanza universitaria scrivono linee di codice sfidandosi e intervallando la propria performance bevendo chupitos di tequila per guadagnarsi un posto in azienda?” ecco quello è un HACKATHON!
Ora, attendete la reazione e preparatevi alle seguenti probabili domande e alle obiezioni “Il film non l’ho visto”, consigliate di vederlo, “David Fincher non mi piace come regista”, lasciate la stanza (altro giudizio personale), “Cos’è il codice? Che cos’è un chupito?”, lasciate rispondere il vostro collega junior che vi accompagna, “Quindi l’Hackathon serve solo se siamo all’università?”, ecco tocca a voi.
Dotatevi della vostra migliore professionalità è spiegate al vostro interlocutore che per Hackathon (anche conosciuto come “hack day o hackfest”) s’identifica una modalità d’ingaggio della community di esperti d’informatica (tra i quali sviluppatori di software, programmatori e grafici web) al fine di creare oggetti, spesso mock up, che rappresentano soluzioni specifiche a dei temi d’implementazione e/o sviluppo software, con una durata variabile tra un giorno e una settimana.
Dite pure che ovviamente nel corso degli ultimi anni, questa modalità d’ingaggio ha esteso il proprio campo di applicazione per tematiche e per community alle quali ci si rivolge uscendo dal mondo delle università diventando anche uno strumento aziendale che può essere usato come strumento di co-creation su differenti temi.
Prima di dare la vostra soluzione e di portare il vostro valore aggiunto alla discussione, tenete a mente che dietro la parola “Hackathon ” si nasconde una possibile epidemia in azienda che riguarda affermazioni quali:
- Ottimo mezzo di comunicazione virale e digitale;
- Facciamo recruiting senza pagare;
- Costa meno dei soliti vendor;
- Argomento da rassegna stampa innovativa.
Prendete fiato e dite pure “Se vogliamo fare un Hackathon su questo tema occorre farsi alcune domande”:
- Abbiamo da sottoporre una tematica tecnologica che presupponga la generazione di un output oggettivo valutabile e consegnabile?
- E’ identificabile una community specifica alla quale rivolgerci?
- Siamo pronti a consultare i nostri legali per valutare con loro tutte le tematiche di proprietà intellettuale?
- Siamo disposti a essere massimamente trasparenti sul tema della comunicazione e sul tema delle modalità d’ingaggio della community?
- Riteniamo utile strutturare un follow up all’iniziativa per utilizzare e internalizzare le competenze che sviluppiamo con l’iniziativa?
- Possiamo definire uno schema di do ut des che soddisfi le aspettative dei partecipanti?
- Siamo dotati di tutte le facility organizzative, logistiche e gli strumenti necessari per lo svolgimento dell’iniziativa?
- Abbiamo esperienza nell’utilizzo di strumenti di comunicazione idonei a promuovere l’iniziativa?
Raccogliete le risposte e sarete pronti a suggerire di utilizzare l’Hackathon correttamente, evitando sorprese e avendo ampie possibilità di dotarvi di uno strumento operativo e di comunicazione innovativo dai risultati sorprendenti.
Mettete una felpa di colore blu (mi raccomando blu) con il cappuccio e organizzate il vostro Hackathon!
… in sostanza in termini novecenteschi era chiamato “contest”!
Caro Andrea, nulla si crea nulla si distrugge e tutto si trasforma sotto l’attenta visione dei consulenti 🙂 !