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Viviamo una neuroepoca?

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Il BelleCapocce del 27 marzo si è focalizzato su uno dei primi matrimoni del signor “neuro” – noto poligamo – che contrasse il sacro vincolo con un altro pezzo grosso: mister marketing. Il nostro, infatti, si legò in diverse e contemporanee unioni che portarono alla neuroeconomia, alla neuroestetica, alla neuropolitica ed anche la neurodidattica. Insomma una teoria di interessanti storie d’amore.

Ma basta davvero aggiungere il prefisso “neuro” a vecchie e nuove discipline per aggiungere qualità, oppure si tratta solo di un fenomeno à la page?

Come ricordano Paolo Legrenzi e Carlo Umiltà nel loro sintomatico “Neuro-mania” forse il cervello non spiega proprio tutto. Oppure è vero il contrario e noi non siamo altro che i nostri neuroni?

Già, il fatto, alla fine dei conti, è proprio questo: come sostiene qualche filosofo (forse poco neuro): i neuroni pur sempre i nostri sono. Non di qualcun altro. Il fatto è che contrariamente a quanto si potrebbe pensare non siamo proprio noi a comandare, ma ..loro. Cioè i nostri neuroni. Miliardi di assoni e dendriti linkati con migliaia di sinapsi che scaricano alla velocità della luce pezzi di stimoli, producendo un’azione.

Uno dei più grandi, affascinanti ed insoluti problemi di questo che è il “secolo del cervello” è proprio questo: come da un serrato e caotico scambio elettrochimico di miliardi di piccole cellule possa aver luogo la coscienza e la consapevolezza.

E mentre qualcuno si interroga sul tema, qualcun altro passa dal lato teorico a quello applicativo: dunque in attesa di capirne di più a livello filosofico, già oggi ci si può avvantaggiare di alcune “scoperte”.

Di certo i neuroni specchio rientrano nella categoria delle “scoperte” ed è innegabile che senza infilzare microelettrodi nei cervelli (non umani, of course) tante cosine interessanti non sarebbero saltate fuori, ma altre, invece, si. Il premio Nobel per l’economia del 2002 Daniel Kahneman (psicologo e non economista..) che ha dedicato qualche lustro allo studio dei processi decisionali, ad esempio, aveva già compreso che l’uomo prende decisioni irrazionali, senza disporre dei moderni mezzi che consentono di scandagliare gli anfratti cerebrali.

Certo scoprire che mentre svolgiamo compiti morali si attiva l’amigdala, che fa parte delle più antiche strutture del cervello, aiuta a capire che siamo assai meno razionali di quel che l’uomo medio pensa: però si tratta di una conferma. Anche del fatto che forse Hume in merito al decision making (ante litteram) ci aveva visto meglio di Kant e dalla sua ragion pura.

E si perchè riducendo i termini della questione tutto si potrebbe sintetizzare nella nota dicotomia nature versus nurture.

Una cosa potremmo affermarla con un minimo di certezza: il comportamento umano non è totalmente determinato dai geni, ma non è nemmeno frutto del libero arbitrio.

Ovviamente anche chi scrive è vittima delle sue euristiche e dunque la sua conoscenza e le sue opinioni sono il frutto di una complessa interazione dei suoi geni, dell’ambiente in cui è cresciuto e delle esperienze che ha fatto: ad oggi un mediatore membro della Società Italiana di Neuro Etica. Dunque (facendo un piccolo esercizio di meta-cognizione) uno che tende a non sposare alcuna tesi estrema, ma che è attratto dall’approccio deterministico e da tutto quello che, come ha ricordato Lucia Bailetti del CIAS (Centro Italiano Analisi Sensoriale) può in qualche modo “oggettivare” i criteri di scelta di un consumatore. Tutto quello che si avvicina alle scienze dure e che minimizza gli effetti dell’interpretazione dà un senso di tranquillità ed affidabilità. E “scoprire” che chi compra è in qualche modo “vittima” di certi meccanismi cerebrali sub-corticali non direttamente controllabili da processi cognitivi superiori può ovviamente tornare utile al seller di turno.

Non tocchiamo il tasto etico, ossia quello della consapevolezza all’acquisto, per il semplice fatto che sempre dei miei neuroni si tratta, come abbian scritto sopra. E per l’altrettanto innegabile fatto che la nostra vita con i nostri simili è un intenso scambio di influenzamenti reciproci.

Forse il dato più significativo ed anche più bello che è emerso dalla presentazione di Matteo Venerucci è proprio questo: non siamo dei freddi pezzi di cilicio che decidono in base al mero calcolo. Ma caldi ed incoerenti esseri in grado di amare e di commuoversi, molto più simili ai vecchi e pelosi cugini che abitano alberi dondolandosi sui rami che ad un decisore esperto.

La vita non è altro che un periglioso equilibrio. Anzi un neuroequilibrio.

E se non si violano regole etiche o giuridiche non ci sono ovviamente problemi. Tra l’altro la tecnologia è talmente matura che servizi e device sono ormai alla portata di tutte le tasche. Dunque in attesa che anche il connettoma faccia la fine del genoma, svelando i suoi segreti cellulari, c’è di che sbizzarrirsi con eye tracking e archetti per elettroencefalogrammi.

E’ solo da notare che non esistono due cervelli uguali nemmeno nel caso dei gemelli monozigoti; tuttavia la mancanza di identità non significa mancanza di somiglianza. Dunque è facile che determinati comportamenti possano essere patrimonio comune di più individui.

Il consumatore un po’ più evoluto, forse come quello che sta leggendo in questo momento, la prossima volta si chiederà se l’acquisto che sta facendo è davvero necessario o se è solo merito del topolino che sta correndo sulla ruota interna del suo cervello.

La vera questione è quindi: il mio target comprerà acriticamente o si fermerà a riflettere?

Ognuno avrà la sua risposta e la corrispondente quantità di neurosoluzione.

Noi di FiordiRisorse
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