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Il negozio temporaneo. Spot o tendenza?

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Mentre ci sforzavamo di sostenere che la fedeltà verso i negozi del centro poggia sulla costruzione duratura di un rapporto fondato sulla riconoscibilità, ecco che a Senigallia l’altro giorno hanno inaugurato un negozio che ne è l’esatto contrario.

Il Negozio temporaneo o Pop Up Store è tra i più nuovi ed efficaci strumenti del Marketing Emozionale. Intanto, è un negozio a tempo determinato (alcune settimane, un mese) e fonda la sua matrice strategica sulla non convenzionalità volta a realizzare, grazie all’effetto sorpresa, un’esperienza di consumo unica, orientata a stimolare emozioni. La location di solito è un cinema, un teatro, una fabbrica una galleria d’arte, raramente un semplice punto vendita. Gli strumenti di comunicazione utilizzati sono fondamentalmente due: il Web e il passa parola.

Il primo negozio a tempo apre a New York nel 2004 ad opera del pubblicitario Russel Miller che ha allestito il suo negozio temporaneo in un loft abbandonato di 400 metri quadrati, tenendolo aperto un mese, al termine del quale, visto il successo, smontò tutto per riaprirlo in altre città. Il fenomeno, vista la sua originalità, ha avuto rapida diffusione soprattutto nelle grandi capitali europee fino a sbarcare in Italia e precisamente a Milano nel 2007.

Gli organizzatori del Negozio temporaneo di Senigallia hanno descritto così questa iniziativa: “In una società in cui tutto corre, cambia e si trasforma, i temporary shop sono l’espressione più immediata dell’attuale fluidità economica e rendono esplicito l’aspetto provvisorio e precario del mercato: il mercato cambia forma, diventa momentaneo, transitorio, temporary. Obiettivo del temporary shop è stimolare la curiosità del consumatore inducendolo a visitare il negozio prima che sia troppo tardi”. Di questa dichiarazione quello che lascia sgomenti è soprattutto “il prima che sia troppo tardi”, rinforzato dalla presenza ansiogena di un tabellone elettronico che scandisce i giorni, le ore, i minuti e i secondi che mancano alla chiusura del negozio temporaneo.

Se vogliamo, questo tipo di negozio ricorda molto l’ambulante delle nostre piazze, con la differenza però che mentre la nostra amata bancarella la troviamo tutti i giorni o al giovedì di tutte le settimane e al solito posto a vendere le cose che ci servono, l’ambulante ‘temporaneo’ lo possiamo trovare solo qualche settimana in un posto qualsiasi della città, ma poi è molto probabile che non lo vedremo mai più.

Il negozio temporaneo, in definitiva, è quindi un luogo che non ‘lega’ nessuno, perché è solo di passaggio; e finchè fa una comparsa spot nessun problema, ma se diventasse una tendenza? Potrebbe essere un’ulteriore minaccia alla già difficile sopravvivenza dei negozi del centro? E molto più di un mega outlet alle porte della città? In effetti, qualche preoccupazione questo Pop up Store la desta perché in fatto di emozionalità dei marchi esposti è sicuramente più attrezzato e paradossalmente potrebbe essere lui stesso la nuova locomotiva che porti finalmente la gente in centro a curiosare.

Ma il problema è soprattutto un altro e riguarda l’emozionalità del rapporto con il titolare dell’esercizio. Sappiamo, infatti, quanto gli ambulanti in piazza e i commercianti in negozio tendano a stabilire un feeling crescente con la propria clientela fatto di riconoscibilità, attenzione e rispetto, caratteristiche completamente inesistenti in un negozio, per di più a tempo determinato, che rispecchia invece la provvisorietà e la precarietà di un mercato sempre in ebollizione.

2 Commenti

  1. Il negozio temporaneo è da tempo una realtà in paesi come U.S.A., U.K. e Deutschland (non so se anche in Francia e Spagna). In Italia so che ci sono stati a Milano, l’anno scorso e due anni fa, non rammento di cosa, probabilmente di moda, di pret a porter. La durata era di 3 settimane, poi chiuso, closed, fermè, cerrado, geschlossen.

    A me intriga molto, e potrebbe anche essere una proposta per FdR, avere un proprio spazio aperto al pubblico per 3 settimana, dare informazioni, cataloghi, fare networking, un posto dove invitare le aziende a visitarci.

    Il fatto è che all’estero fai una comunicazione e sei a posto, c’è una regolamentazione (o mancanza di regolamentazione) che lo consente, in Italia è tutto così terribilente complicato. Il mondo del lavoro deve pagare pegno alla burocrazia, figlia della (cattiva) politica.

    Ma ci rendiamo conto che siamo l’unica nazione che ha il bollo? Il bollo non l’ho mai visto in nessun altro paese del mondo. Se sulla ricevuta hai il bollo, la puoi dedurre, se non hai il bollo, ciccia. E poi, chi è il responsabile del bollo? Dovrebbe essere quello che emette la ricevuta, ma quello obietta di non essere un tabacchino, quindi spetta sempre all’utente finale. Non è possibile fare dei ricevutari con già il bollo impresso sopra, senza far diventar matta la gente? No, troppo comodo. Dobbiamo soffrire. Adesso c’è persino il bollo con la data impressa e deve essere la stessa della ricevuta. (!)

    Non mi risulta che le esperienze di Milano, che ebbero ampio risalto sul Corriere della Sera, siano state ripetute. Ad esempio, un negozio mette le insegne, ma la tassa sulle insegne è annuale, o semestrale. E’ sensato pagare una tassa annuale/semestrale su tre settimane?

    E l’Irap? E la tassa sui rifiuti? Io non so se a Milano come a Senigallia abbiano risolto questi problemi, o se non scatti una “sorpresa a posteriori”. In questo siamo bravissimi.

    Il pop up shop è comunque una strada da percorrere, sono postivo su questo.

    Grazie per averne accennato.

    Con Affetto
    Graziano

  2. Scusate ma come viene risolta la problematica relativa ai diritti del cliente sulla merce acquistata? Capo di abbigliamento o altro prodotto è la stessa normativa che tutela il consumatore nei confronti del rivenditore e/o produttore.

    Sinceramente mi lascia molto perplesso. Mi ricorda quelle iniziative “piratesco-commerciali” in cui ti chiamavano al telefono ti dicevano che eri stato sorteggiato, avevi vinto e che dovevi andare a ritirare il premio presso l’albergo xy. Li accoglievano con tutti gli onori e poi venivi sopposto ad una pressione spicologica degna della STASI per sottoscrivere l’acquisto del classico “pacco” che non ti serviva e non avresti mai comprato……e se dopo ci ripensavi, per trovare la società che te l’aveva venduta dovevi ingaggiare un investigatore privato… ed intatnto di incominciavano ad arrivare i solleciti e poi le ingiunzioni di pagamento.

    Sono molto scettico su queste iniziative “temporanee”…l’emozione, su cui si basano queste iniziative, nel caso degli acquisti, a volte, non è buona consigliera e tu sei il soggetto più “debole” tra le parti.

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