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"100 anni di cultura manageriale e ancora identifichiamo il manager come capo e il management come controllo". ..e poi le aziende che innovano non hanno organigrammi.

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Un sabato davvero “formativo” quello del MUSTer presso la Centrale di Telecontrollo di Hera. Il tema è stato quello della gestione della complessità con Alberto F. De Toni,professore (stra)ordinario dell’Università di Udine, e del fallimento dei modelli manageriali con Alessandro Cravera, partner di Newton24, la Scuola di formazione del Sole24Ore.

Emergono da subito le lacune di un sistema manageriale piegato su se stesso in cui il modello di governance è affidato a “capi” il cui compito è quello di “controllare”. E gli esempi di aziende che tracollano sono infiniti.

Dall’altro lato della barricata ci sono modelli in cui le responsabilità sono condivise, in cui i dipendenti si chiamano “associates” (che sarà anche una “strategia di marketing interno”, ma quanto gioca psicologicamente se poi viene supportata anche da azioni?), in cui gli organigrammi sono orizzontali e in cui i titolari vanno un mese a fare subacqua senza portarsi dietro il cellulare e l’azienda non crolla…

Dobbiamo ripensare ai nostri modelli? Oppure ci fa comodo creare un sistema di relazioni / benefici in cui i nostri collaboratori si sentano “privilegiati” nel possedere un job title altisonante che di fatto non corrisponde decisonalmente a nulla? (Vedi l’esercito dei direttori del personale trasformatisi in “business partners”, ma che di fatto non sono partner di nessuno e sono completamente scollegati dal business..).

Un’azienda in cui la responsabilità è condivisa non crea di fatto un circolo virtuoso in cui tutti si sentono parte integrante di un progetto al punto tale da sentire l’azienda come propria?

La parola “dipendente” di fatto, non crea già un muro fra chi dirige e chi opera?

 

11 Commenti

  1. La parola “dipendente” E’ un muro… che in molti casi viene strenuamente difeso. Purtroppo in molti casi si dividono le colpe, e non i meriti. E va benissimo il titolo altisonante, gratifica il “sottoposto” e non costa monetariamente nulla. Ma quando si parla di autonomia e potere decisionale purtroppo il discorso cambia.

    La piccola polemica in forma di fantozziana parabola (“noi vi amiamo, cari inferiori…”) potrebbe continuare ancora un po’… ma è invece bello sapere che esistono per fortuna modelli (ed aziende!) con impostazioni ben diverse.. Grazie!

  2. “Un’azienda in cui la responsabilità è condivisa non crea di fatto un circolo virtuoso in cui tutti si sentono parte integrante di un progetto al punto tale da sentire l’azienda come propria?”.
    Gran bella affermazione Osvaldo: sarei felice di fare un’esperienza in una realtà di questo tipo. Neversaynever … .

  3. Ho partecipato sabato scorso alla giornata presso Hera sulla gestione della Complessità nella modernità di oggi; ho avuto la fortuna di essere presente anche alla 2 giorni del settembre scorso in Umbria sullo stesso argomento con workshop coivolgenti di alto livello grazie a Newton24. Il primo commento è che capire la più idonea mentalità da impostare nelle aziende per adeguarsi efficacemente a cambiamenti continui è per forza un puzzle che si deve formare velocemente ma per gradi nella nostra testa.
    La giornata di sabato alle competenze sempre più affinate di Alessandro Cravera ha aggiunto la sintesi del prof.Detoni, uno dei pochi universitari in grado di essere pratico al punto da coinvolgere chi vive l’azienda quotidianamente! Le riflessioni che sono scaturite mi hanno riimmmerso nel lago del cambiamento necessario come mi sentivo 15 anni fa al momento che nel mio settore i produttori agricoli dovettero imparare a comunicare per riuscire a vendere i loro prodotti. Adesso ci aspetta un cambiamento ancora più radicale che sembra andare verso chi sarà fra i leader in grado di aumentare ancora la delega sui suoi riporti nella speranza di lasciare su di loro più mano libera ma con una chiara impronta metodologica. Grazie a tutti e certamente ci rivedremo su questi schermi. Simone Fabbri

  4. io porto ancora addosso i benefici della giornata di sabato.Sono felice che questo evento si sia svolto proprio in Hera!
    Tantissimi gli spunti offerti dai due relatori Crevera e De Toni che hanno fatto nascere tra i miei colleghi, già nel viaggio di ritorno, tante belle idee.
    Ho capito che la ridondanza è un valore e che il mondo lavarativo in cui siamo inseriti è complesso : si può ignorarlo, si può cercare di gestirlo come abbiamo sempre fatto, o si può prendere in considerazione che non esistono più soluzioni univoche ma che è la differenza di punti di vista e di team multidisciplinari che fa la differenza.
    E per dirla come De Toni “la complessità è un tentativo di risposta all’ineguatezza che percepiamo nonostante il continuo accumulo di conoscenza; è una sfida e una ricerca di senso per noi e le nostre organizzazioni soprattutto quando capiamo che il percorso può ancora essere costruito”.
    Per cui … il futuro appartiene a chi sa immaginarlo!
    ps.
    dato che tutti i relatori sostengono che la vera ricchezza si crea in “periferia” e grazie al contributo di tutti vorrei dire che FDR sta già a buon punto!!!!

  5. la responsabilita’ condivisa …bella responsabilità ! Ci aiuterebbe a crescere anche come persone facendoci perdere quella necessita’ di assoluto potere che in alcuni di noi è ben radicata! Mi viene da pensare che la giornata di sabato sia un invito ad un nuovo modello per chi di fatto adesso fa fatica a delegare .

  6. Tante, davvero tante, le possibilità di riflessione dopo la giornata in Hera a Forlì.

    Ecco come i relatori hanno saputo gestire le complessità, cioè il tema che guidava quel modulo di Muster.

    Alessandro Cravera (Newton 24) ha volato alto e bene.
    “Oggi controllo vuol dire invertire una tendenza e tornare alla libertà”.
    E poi mi ha colpito la sua riflessione sulla “best practice” che per lui resta comunque una “past practice”: occorre invece essere sempre pronti a creare un modello nuovo, pur prendendo forza dai buoni modelli già esistenti e facendo leva sulle interconnessioni.

    In tema di ridondanza, citato anche da Giovanna nel suo post, Cravera riflette così: “Della ridondanza conosciamo i costi ma non i vantaggi. Anche nel nostro corpo abbiamo parti silenti, apparentemente inutili o doppie, che poi si attivano quando cambiano gli scenari permettendoci di avere stadi evolutivi”.
    Calzanti i due esempi che cita: l’Aspirina (prodotto dalle numerose vite, per tutti gli utilizzi a cui un po’ alla volta è stato capace di rispondere) e Amazon (inizialmente vendeva solo libri on line e oggi mette in crisi, su tutto, il sistema della grande distribuzione).

    Il Prof. Alberto F. De Toni (Università di Udine) ci ha stregati e divertiti!

    In situazione complesse non serve cercare la stabilità ma la fluidità, questa è la parola chiave.
    Non si impara a nuotare stando fuori dall’acqua.

    Anche con lui la ridondanza è emersa a gran voce.
    “La ridondanza fisica, se parliamo di lean aziendale, deve essere però bilanciata da ridondanza intangibile: cioé più persone che fanno, più persone che sanno, più informazioni che circolano”.

    E poi, una domanda curiosa che ci ha posto durante il suo intervento. Perchè un gruppo di scimmie antropomorfe quando raggiunge il numero di 150 si spacca in 2?
    Perchè altrimenti non riuscirebbero più a spulciarsi tra loro.
    Già, proprio a spulciarsi.
    A dire che se fino a un certo livello l’economia di scala serve e funziona, arriva un punto in cui la relazione sociale prevale su tutto (teoria di Robin Dunbar, “La scimmia pensante”).
    Insomma scimmie social in tempi non sospetti!

  7. Veramente interessanti le riflessioni riportate da Stefania. In particolare l’ultima mi porta a constatare che certe dimensioni aziendali stanno strette agli uni e sono eccessive per altri, riflettendosi sui rendimenti dei singoli e quindi sul raggiungimento degli obiettivi da parte del gruppo.

  8. Beh purtroppo noto che sto perdendo degli incontri davvero interessanti…però vi ringrazio perché tramite i vostri commenti riesco ad avere degli ottimi spunti di riflessione, tra l’altro riscontrabili concretamente nelle realtà aziendali con cui collaboro. Sono d’accordo con Stefania…in tutto..ed è vero che a un “certo livello l’economia di scala serve e funziona,ma arriva un punto in cui la relazione sociale prevale su tutto”…in alcuni casi ho potuto constatare che l’idea di relazione sociale e di responsabilità condivisa (anche se non ufficialmente) è la carta vincente di realtà anche molto piccole…i “collaboratori/dipendenti” si sentono davvero parte integrante dell’azienda e diventano il vero pilastro che sostiene il tutto anche durante una bufera..ne sto avendo conferma relazionandomi con molte piccole aziende marchigiane.

  9. La complessità risiede nell’uomo e non se ne può fare a meno! Ma si può governare la complessità? Dentro a un sistema così complesso come quello del Centro di Telecontrollo del Gruppo Hera a Forlì, di fronte a 3 milioni di contatori da leggere, la “complessità” dell’uomo ci appare piccola piccola.
    Abbiamo provato allora a capirne di più. L’evoluzione del sistema manageriale in un momento di crisi diffusa dei modelli di riferimento, fa rivedere forme e modi. Ciononostante facciamo fatica a comprendere quanto il “manu agere”, il condurre con la mano non sia così tipico del “capo” che dovrebbe essere piuttosto quello che aiuta a “togliere i semafori per costruire le rotonde” (A. Cravera).
    Qualche anno fa fui presente a un’animata discussione fra un AD e il suo Responsabile Qualità. Dopo una fitta serie di botta e risposta, la discussione si risolse rapidamente con domanda dell’AD al Responsabile Qualità: “Tra me e lei, chi è il capo?”.
    Ormai questo modello non funziona più, non può funzionare, come dimostrano esempi sempre più diffusi in particolar modo all’estero. Esistono imprese, come la Semco di Ricardo Semler in Brasile, autogestite, senza struttura, senza business plan, all’interno delle quali è fitto lo scambio di informazioni. Ho visto e vissuto imprese cooperative, in cui anche l’operaio – dopo 3 anni di permanenza – partecipa agli utili. Imprese proattive e radicate nel territorio.
    Nella stessa Hera “ascoltare” è un verbo guida. Perché non dovrebbe esserlo altrove?
    Nel rispetto del capitale Umano questo approccio esprimerebbe consistenza e equità, aiuterebbe a snellire la complessità dei processi (A. Camilleri), farebbe di un’azienda un’Impresa, di Persone!
    Ci chiediamo se di complessità si può guarire! Il Prof. De Toni ci sbatte in faccia il fatto che nonostante l’accumulo di conoscenza di cui disponiamo, non riusciamo a liberarci di questo fardello. Allora gestiamolo, al meglio, tenendoci a distanza dalla complicatezza per trasformare secondo un approccio sistemico l’attenzione ai dettagli in uno stile, un modo nuovo, ergo in innovazione!
    Una puntata coinvolgente del MUSTer di FdR!

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