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Consulenti e professionisti in azienda: antoher brick in the wall?

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Amo Fior di Risorse perché lo trovo un ottimo sistema per applicare il pensiero che si attribuisce a Einstein: “i cervelli per funzionare devono essere come i paracadute: aperti”.

In questi anni di eventi, Muster, riunioni, team building, cene, aperitivi, Aperilibri e Belle Capocce ho conosciuto così tante persone con approcci, formazione, valori ed esperienze talmente diverse dalla mia che.. non sono più lo stesso.

Per fortuna.

Anche queste riflessioni sono frutto di un colloquio con una delle (tante) Persone Maiuscole che Fior di Risorse riesce “magicamente” a selezionare: parlando dei problemi di organizzazione, governance e soprattutto gestione della sicurezza sul lavoro di un possibile cliente mi sono sentito chiedere: “…e chi le dovrebbe aiutare le aziende di fronte a questi problemi?…

La domanda mi ha spiazzato: se è vero che non esistono risposte intelligenti a domande stupide, è altrettanto vero che a domande intelligenti si può rispondere anche stupidamente.

Dopo aver chiamato a raccolta il manipolo di neuroni superstiti ho infatti piazzato una risposta stupida: “.. beh ma ci sono i consulenti..

Peccato che nel caso specifico i consulenti fossero parte del problema: quei consulenti che si limitano a fare il compito di turno in maniera formale o addirittura a produrre semplice carta perché questo è quello che chiede l’azienda (della serie “attacca il ciuccio dove vuole il padrone“).

Per questo sono stati d’altronde formati e quando operano sotto l’ombrello di istituzioni ordinistiche, rischiano di vivere in un ambiente conservatore che tende a mantenere lo status quo.

Così è veramente difficile crescere: sia per l’azienda che per i consulenti o professionisti.

E’ errato fare di tutta l’erba un fascio, e quindi so che esistono aziende e consulenti lungimiranti, come pure aziende direttive e consulenti passivi.

Mi piacerebbe un (improbabile) studio statistico a riguardo. Tuttavia ho la strana sensazione – di null’altro si può logicamente trattare –  che esista una certa maggioranza di accoppiate del secondo tipo. Specie se l’azienda non è di grandi dimensioni e non ha un management (di cui l’azienda stessa non sempre riesce a capire il valore e l’importanza).

La domanda si fa ancora più perentoria: ma chi le aiuta questa aziende?

So anche che alcune aziende non vogliono farsi aiutare; ma so anche che è possibile aiutare qualcuno a non suicidarsi, conoscendo e sapendo utilizzare i giusti strumenti.

Strumenti che un atteggiamento tradizionale purtroppo misconosce, ripiegato del tutto sulle competenze tecniche: i cervelli hanno forse dei paracadute, ma ben riposti nel loro alloggiamento.

Solo così riesco a spiegarmi avvocati che vedono consumarsi la fedina penale degli amministratori (quasi fosse una risorsa aziendale) per gli incidenti sul lavoro senza far nulla per bloccare il fenomeno; commercialisti che sono passivi descrittori ed ordinatori dei flussi economici e finanziari e RSPP che cercano di non ostacolare “troppo” la produzione. Ometto ogni riflessione sulle manutenzioni fantasma o sulle certificazioni che riposano comodamente nei cassetti senza mai incrociare una linea produttiva.

Poco importa se le scelte sono dettate da dolo (perché dovrei macellare la mucca che mi dà il latte?) o colpose (non ho il coraggio di confrontarmi o scontrarmi con il cliente col rischio di perderlo perché non lo assecondo): sono comunque opzioni non etiche.

E poi ci lamentiamo o sorprendiamo degli infortuni sul lavoro? Glisso sulla politica legislativa #inaspriscisanzioni = #lasciatuttocomesta.

Insomma una risposta alla domanda ancora non l’ho trovata, ma ringrazio l’Amico per avermela posta.

Intanto provo ad aprire il mio paracadute made in Fior di Risorse. Ringraziando mia cugina per avermi fatto ascoltare a 13 anni “The wall”: anche questo aiuta ad ossigenare – e di molto – le sinapsi (se fosse per me utilizzerei la musica come metodo didattico) contribuendo a demolire il muro. O almeno a non essere un mattone.

5 Commenti

  1. Buongiorno, mi complimento per questo articolo che scardina positivamente alcuni atteggiamenti tradizionali e ingessati sia delle aziende che dei consulenti. Personalmente credo, appartenendo a questa seconda categoria, che un consulente, degno di tale nome, non possa e non debba accontentarsi di essere “competente”. Qualsiasi conoscenza e/o competenza deve essere accompagnata dalla capacità di applicarla, in modo non accademico, al contesto di quella specifica azienda, abbandonando ricette precostituite e reinventandosi ogni giorno.

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