LA MAMMA DEI RECRUITERS E’ SEMPRE INCINTA Il mio testamento professionale.
Vedo, Rilancio, Passo.
Più o meno come una partita a poker, di pari passo è andata la mia decisione di lasciare il mondo del recruiting così come lo abbiamo visto fino ad oggi. Qualcuno di noi (recruiters VERI) prima o poi la deve prendere la decisione di staccare l’ossigeno a questa misera, rantolante, sfinita povera vecchia: la Selezione del Personale.
Non è questione di mercato. Almeno non in tutti i suoi aspetti.
[Vedo:]. La crisi c’è, innegabile, ma le richieste di selezione, soprattutto per chi si occupa di profili qualificati, continuano ad arrivare, sebbene non abbiano più quel lucido obbiettivo di una volta: assumere un candidato. (queste ultime tre parole vanno lette immaginando il tono di voce di Banderas mentre sforna i cornetti lanciando orgasmiche occhiate alla gallina)
“Siamo una multinazionale in grandissima espansione” mi dice il mio referente mentre arranca in uno pseudo-lumbard-pugliese da macchietta di cabaret. Lui, che di multinazionale ha al massimo le scarpe da ginnastica e una serie di rigide powerpoint nel cassetto, in una lingua multinational scritte con l’ausilio di GoogleTranslator . “Capirà che in momenti come questi un’azienda che assume ha un appeal non indifferente” afferma la giovane signorina di un’azienda del lusso posizionata in una filiale Svizzera per evidenti motivi fiscali, poco prima di ricordarmi che per policy americana non si lavora in esclusiva e si paga a successo. Più o meno in linea con l’altra giovane signorina completamente digiuna di informazioni sulla sua azienda a cui mi ha affidato la sua (ir)responsabile, titolare del mio appuntamento preso settimane prima. (“mi scusi ma ho avuto un contrattempo e si è allungata una riunione. La collega mi sostituirà eccellentemente” mentre terminavo l’ultimo miglio dei 200 previsti per raggiungerla)
Che ne è stato di quei clienti ai quali ho dedicato più di un weekend per terminare selezioni urgentissime trascinate giù nel BucoNero della PianificazioneDegliOrganici , inghiottite dal Troll delle ScuseBanali; ore trascorse a scremare centinaia di cv con la benedizione di Santa Lucia protettrice dei ciechi, svariati viaggi extraregionali (si mormora che Trenitalia abbia acceso una convenzione Corporate del tipo “sposta un recruiter, vinci un beauty-case”).
E io pago! (per citare il buon Totò, ma volendo rimanere su livelli alti e per buona pace dei coach accreditati alla Scuola Superiore di Cocorito potrei affermare di essere “imprenditore di me stesso”.)
Clienti ai quali chi fa il mio mestiere presta la faccia affinchè i candidati si (af)fidino, si sentano protetti, garantiti da una professionalità che nel nostro mestiere ha mille facce (perché la mamma dei recruiters…): la bambolina, tritata nel frullatore delle agenzie interinali trasformatesi con una pennellata di marketing in “agenziePerilLavoro”, la manager (s)tirata delle multinazionali del recruiting con obbiettivi commerciali a breve termine (dove i candidati valgono quanto una boccia di pesci rossi vinta al LunaPark delle Opportunità nel tendone del CV Europeo), il commercialista e il Consulente del Lavoro che “allargano il ventaglio dei servizi al cliente”, fino al signore attempato, ultimo baluardo di una selezione che Fu, preda di una banca dati cartacea gestita da eserciti di psicologhe che archiviano lo stesso candidato in 16 faldoni diversi a seconda delle turbe psichiche (delle psicologhe, non dei candidati), ma quando serve, quel cv non si trova mai!
E così il tuo mestiere diventa un ripetitore automatico di cazzate nei confronti di speranzosi candidati, la cui fonte primaria è l’HR Department, un fast-food gestito da uno Chef che non si assume più nessuna responsabilità dei mappazzoni che propina nel Ristorante in cui il suo ruolo è rimasto unicamente quello di tagliare le teste ai polli. Lui che sognava una nouvelle cousine di cui vantarsi ai catatonici eventi della sua Associazione di Categoria…
[Rilancio:]. “Ma non era urgente?” dico io, laconico mentre scivolo sotto la mia scrivania in preda all’ennesimo conato che preannuncia la minchiata istituzionale che puntualmente arriva dall’altro capo del telefono (lo Chef non si espone, manda in sala il LavaPiatti).
Una giustificazione che non è mai una presa di responsabilità, ma una pagina a caso del “Mascetti, Melandri, Perozzi: il Dizionario della SuperCazzola” a cui ogni bravo Direttore del Personale affida la Fuga per la Vittoria con un colpo di mano tipico del miglior Pibe de Oro:
“il Presidente ha deciso di sospendere questa ricerca”, “Abbiamo individuato un candidato al nostro interno” sono le due frasi candidate all’ Oscar dell’Attore Mai Protagonista a cui, dite la verità colleghi, nessuno di voi ha mai avuto il coraggio di ribattere con un sano:
“Nella Sua azienda i dipendenti devono indiscutibilmente nascondersi davvero molto bene. Ma voi avete l’abilità di ripescarli sempre due mesi dopo che ci lavoro io!”
E quindi, Passo.
[Passo:] perché questo mestiere merita di avere dei risvolti diversi, altrimenti si rischia di incorrere nella Sindrome del Casellante, un mestiere che non serve più a nulla, che relega una persona con un cervello tutto suo a guardare la televisione tutto il giorno mentre dispensa 20 centesimi di resto utilizzando un unico arto superiore sporto semi-automaticamente da un finestrino del suo gabbiotto.
Linkedin prima di tutti sta segnando le ore ad una professione che ha bisogno di innovazione, di cultura informatica nei suoi processi più automatici, lasciando più spazio alla relazione con i candidati.
Invece succede costantemente il contrario: parliamo con le macchine e snobbiamo le persone.
I candidati , dal canto loro, devono imparare a presentarsi, a dialogare fra loro e con le aziende in maniera più dinamica, a utilizzare i social usando dei job titles che non sembrino il riscaldamento per il campionato mondiale di Scarabeo, ma che rappresentino qualcosa di comprensibile e esistente su Questa Terra. Chiedere il contatto sui social network e 30 secondi dopo inviare il cv in cui vi corrisponde la metà delle informazioni con cui mi hai teso la trappola in Linkedin, richiede una dose di pazienza e una conoscenza di molti più improperi rispetto a quelli noti a un solo essere umano.
Da ieri progetto un sistema nuovo di fare recruiting, dove la relazione con il candidato, il suo personal branding e la capacità di usare i social siano fondamentali; più propositivo nei confronti del cliente, dove sono essenziali la qualità del network e la conoscenza approfondita delle aziende. E quindi, non alla portata di tutti, piattaforme, recruiter o candidati che siano.
Stai a vedere che ho scoperto l’acqua calda (innovativa, però!).
Osvaldo Danzi, (new) recruiter.
Si ride, leggendo questo post.
A dirla tutta, si ride amaro, e vorrei aver qualcosa da controbattere all’analisi di Osvaldo (cinica? Lucida, direi…) ma proprio non mi viene.
Insomma, un po’ così:
http://www.youtube.com/watch?v=7z2-jDkVUjY
Sviluppare il “lato informatico” della professione al fine di recuperare spazio da dedicare al rapporto con i candidati? Mi sembra un’ottima sfida, soprattutto se intesa come “trovare modi nuovi che aiutino a liberarsi di vizi vecchi”.
In bocca al lupo, Osvaldo!
Osvaldo Danzi sei un mito! E lo sai perchè lo sei? Semplicemente perchè dici la verità. Quella verità che nessuno ha il coraggio di dire su quelle sottospecie di farse che sono le selezioni di personale oggi (ma anche ieri…e purtroppo penso anche domani) in Italia. Cosa manca? Semplice, la trasparenza e l’onestà. Trasparenza e onestà (e puntualità!) che, ancora una volta mi ripeto, ho trovato nella maggior parte dei selezionatori stranieri e delle aziende straniere che ho avuto l’occasione di conoscere. Aspetto di conoscere il tuo nuovo progetto sull’acqua calda, fammi cambiare idea sui recruite italiani…almeno su quelli “new”!
Ho letto con attenzione, e grande tristezza, questo tuo “testamento professionale” e purtroppo constato che la situazione è comune e condivisa. Ed è drammatica, quasi una rappresentazione da tragedia greca. La famosa signorina di Lugano (quella che per policy americana lavora solo a successo e in concorrenza) ha trovato comunque QUATTRO società che hanno accettato tutto questo (notizia risalente ad almeno due settimane fa), non sapendo che per lavorare in Svizzera, una società di Selezione Italiana DEVE fornire agli svizzeri una serie di documenti, tra i quali i riferimenti del suo committente, nonché il contratto che necessariamente preveda l’esclusiva e probabilmente anche un acconto. Questo a tutela dei candidati (per legge svizzera….).
L’ignoranza regna sovrana, sia vedendo, sia rilanciando.
Mi auguro che la fase del “passo” faccia emergere quanti (tanti, troppi!!!) continuano a barare (clienti, fornitori, candidati) alla faccia della deontologia e dell’etica (queste sconosciute!!!).
La tua eredità mi piace. E sono certa che molti, come me, la raccoglieranno e la faranno propria.
Mettendoci la faccia e il cuore.
I processi di selezione hanno raggiunto livelli di idiozia allarmanti.
La deriva che tu descrivi sul fronte del recruiter è ancora più demenziale su quello del candidato. È l’effetto combinato d vecchi criteri di selezione, l’eccesso di offerta di candidati e l’eccessiva semplicità con cui si trovano profili sui social network, che evidenzia l’incapacità di molti Recruiter anche solo di sapere cosa stanno cercando.
Nonostante la potenza dei mezzi, tutti sono scontenti, e la sconfitta dei nuovi media è nei numeri: solo il 4% delle posizioni viene assegnato tramite Job Board.
Si sta tornando al “networking personale”, proprio come prima che internet fosse inventata!
Un ringraziamento dall´altra parte della barricata o forse dalla stessa parte, visto che la pletora di boiate che Lei ha riportato ce le siamo sentite dire come candidati. In qualche caso lo scoramento di voi recruiter arriva, soprattutto se ci si trova di fronte a persone come Lei: vi capiamo o come vi capiamo…
PS E in bocca al lupo x la nuova avventura!
Molto bello questo testamento. E, sebbene non sia il mio campo, credo sia molto vero
@Paolo: dissento in parte. Ti posso assicurare che le jobboard, all’estero, funzionano alla grande. Il problema è assolutamente culturale e, fondamentalmente, tutto italiano
@Roberto
No, non funzionano alla grande neanche all’estero. Per esperienza diretta e numeri alla mano, anche in paesi con mercati del lavoro molto evoluto, come USA e UK, mai più del 10% dei ruoli si incontra con l’offerta tramite le Job Board.
Sempre più recruiter fanno la scelta di Osvaldo, solo per citarne due operanti in mercati del lavoro maturi, ma se googli un po’ ne trovi migliaia:
in USA: http://www.linkedin.com/today/post/article/20130612170852-15454-hire-economics-don-t-waste-your-time-applying-to-job-postings?trk=mp-reader-card
in Svizzera: http://www.jordico.com/6-reasons-why-most-networking-is-useless-and-how-you-get-results/
Un modo per sintetizzare il problema, e la schizofrenia raggiunta dal sistema, è l’ossessione per la ricerca del “talent”.
È del tutto ovvio che NESSUNO vuole assumere uno scanzafatiche incompetente, ma è altrettanto ovvio, che di Leonardo Da Vinci e di Steve Jobs, ne nasce uno ogni tanto…
Ogni recruiter, e sopratutto all’estero, ragione per cui le Job Board non funzionano neanche là, cerca il “world-class talent” anche per pulire i cessi…
Le aziende sono fatte di alcuni leader, che devono essere VERI LEADER, possibilmente di talento, e ranghi, che devono essere efficienti.
Il resto, sono solo cazzate.
Sento idiozie del tipo “ognuno deve essere un leader”, mentre sopratutto in Italia abbiamo dirigenti che sono degli scendiletto smidollati (e spesso incompetenti) mentre ai recruiter si chiede di trovare “talented leader” ma che non debbano mai fare ombra agli scendiletto… visto mai qualcuno si accorgesse della loro statura…
E guarda caso, qualcuno che non faccia ombra ad uno scendiletto si trova sempre in casa!
Vero?
Da candidato di lungo corso non posso che sottoscrivere il tuo testamento professionale, sentirsi dire da signorine, digiune di cultura aziendale, che sei overskillato, mentre sono loro che non sanno cosa stanno cercando, ma sanno che lo vogliono giovane (ma esperto) per spendere poco, possibilmente niente, fa apprezzare sempre di più questa lunga vacanza 🙂
Mi piace come sai guardare avanti, sono curioso di vedere cosa tirerai fuori dal cilindro.
In bocca al lupo!
Anche io faccio il tifo per Osvaldo !
Quello che accade nel mondo del recruiting non è molto diverso da ciò che accade nel resto del mondo reale.
La “crisi” che richiedeva un radicale cambiamento di paradigma e l’utilizzo sistematico della trasparenza, è stata banalmente intercettata come occasione per ridurre costi del personale a prescindere da fattori come il talento, la potenzialità, e sopratutto l’esperienza.
Nelle aziende spesso si è confuso il tagliare i costi con l’ottimizzare le risorse ed i processi.
Ma di cosa meravigliarsi, in un Paese dove la formazione si era trasformata in contributi governativi alle aziende che organizzavano stage finti.
Dove la percezione dell’imprenditore “navigato” è spesso ancora quella che prima servono le conoscenze-protezioni giuste (nella politica, finanza e lobbies varie)e tutto il resto è secondario (mi verrebbe da dire una commodity): personale, recruiter e formatori inclusi.
La brutta notizia è che il tuo lavoro non sarà facile e veloce.
La bella notizia è che il tempo gioca a favore del vero cambiamento.
Sono del tutto d’accordo con Roberto e aggiungo un paio (ma ne avrei molte di più) di mie osservazioni dall’altro lato: mi è capitato di fare un primo incontro con una giovane che mi ha descritto sommariamente l’azienda, credevo di aver capito quale era comunque le ho chiesto alcuni dati essenziali: fatturato, % di export, ecc. Non li sapeva…
In un altro caso sono giunto al quarto e finale colloquio col Direttore del Personale, indirizzato dal suo Ammnistratore Delegato che conoscevo… beh, sarà stato il post-pranzo ma mi sì è quasi addormentato davanroti, eppure io non sono affatto un tipo soporifero…
Concordo in pieno ed aggiungo:
1. La questione culturale (Italiana) è una grossa fetta della responsabilità. Non sono un recruiter, ma ricevo comunque giornalmente tra i 2 e i 5 CV di figure professionali più disparate. Cuochi, organizzatori di spettacoli teatrali, comparse cinematografiche, operai d’altoforno……… ma l’azienda in cui lavoro fa i pozzi petroliferi!!!!! Come si fa a rispondere a 30-40 e-mail alla settimana per spiegare a questi signori che una domanda di lavoro per cuoco la si lancia a un ristorante? Il recruiter pertanto non ha in mano un numero limitato di CV dai quali estrarre “the perfect candidate”, ma migliaia di CV tra i quali c’è di tutto. Quindi è necessario avere chiara la differenza tra agenzie per il lavoro e recruiters.
2. di profili professionali qualificati ce ne sono diversi in giro; purtroppo, la quantità di bestialità sentite durante colloqui molto professionali con Recruiters, fanno in modo che tali profili sempre meno si rivolgano ai “cacciatori” per scarsa fiducia negli interlocutori andndo pertanto ad impoverire la professione dei ricercatori di talenti. E’ come il gatto che si morde la coda.
Ergo, non mi rivolgo più al recruiter e cerco da solo!!!
M
Articolo molto interessante che rispecchia in modo fedele la realtà alla quale un po tutti chi piu chi meno, in base all’esperienza, abbiamo subito!!!! Bisogna segnalare, però alcuni seri professionisti che ancora svolgono questo lavoro. Mi è capitato pochi giorni fa di inviare un cv ad un mio contatto di linkedin che si occupa di selezione e devo dire che con estrema franchezza mi ha risposto che la sua azienda versa in condizioni critiche, cosi come tante altre, e che non volendomi far perdere tempo, mi ha invitato a non inviarle il mio cv. Io ho molto apprezzato.
Saluti
Il mondo è cambiato e le dinamiche del mercato del lavoro non sono che la punta del famoso iceberg.
La rete ha rappresentato il fattore innovativo che ha innescato la deregulation anche nei sistemi più conservativi (sono fatte salve le consorterie notarili, e – ma neppure troppo – quelle che in Italia sono ancora chiamate le “professioni”).
E’ un dato di fatto che non si assume un candidato, ma si cerca di pagare il meno possibile una persona che potrebbe riuscire bene (ma anche no, visto che la flessibilità è un, anzi “il” requisito). Sarebbe da “stupidi” fare il contrario. Al limite (ma proprio al limite) si paga un Head Hunter per fare una sostituzione one-to-one (azz…!!! Ho scritto: “si paga?!?”).
Io su ebay ho fatto molti affari – alcuni veramente irripetibili – ma ho preso pure qualche sòla. Per questo so che debbo offrire sempre poco. Ed aspettarmi sempre il minimo, mettendo in preventivo di dover poi lavorare assai sul contenuto del pacco per farlo diventare bello ed efficiente. Oppure decido di sventrare la sòla e passare al riciclo. Oppure la destino direttamente al cassonetto.
Non stiamo però parlando di persone e neppure di organizzazioni, ma di slanci hobbistici.
La necessità che si impone a tutti è quella di prendere atto del cambiamento e comprendere che certi lavori e certe dinamiche “professionalizzanti” di quei lavori non esistono più. E’ come se si fosse intrapreso un viaggio su un’autostrada a 4 corsie, entrando dal citato casello e prendendo il regolare biglietto; e poi, durante il viaggio, ci si fosse ritrovati piano piano in un vicolo e, per finire, su una stradina senza uscita. Naturalmente, con il biglietto ancora infilato nell’antina parasole, che si continua a leggere e rileggere per cercare di capire che cosa sia successo…
E’ necessario dunque una sterzata, e non propriamente market driven. Se stessimo ai desiderata della committenza (efficacemente descritta da Osvaldo relativamente alla sua professione) diventeremmo tutti succursali di ebay. La sfida è dunque quella di creare modelli innovativi, che riescano a farsi (un po’ di) largo nel contesto delle poche imprese (e dei pochi imprenditori veri) che ancora sopravvivono.
Le tecnologie sono una leva complessa. Possono esonerarci dall’effettuazione di operazioni logiche e ripetitive, azzerando al contempo l’incidenza del fattore umano. Ma possono anche rappresentare lo strumento che ci permette di raccogliere e valutare basi di dati complesse. E non è detto che la ridondanza dell’offerta sia un fattore che rende più agevole la scelta. Anzi, è lì che si valuta la bravura di un acquisitore…
Caro Osvaldo, dal tenore dell’ultimo paragrafo interpreto il tuo non come un “testamento” ma un'”epifania” di un nuovo metodo per favorire l’incontro tra domanda (ahimè in crescita esponenziale, indipendentemente dalla sua qualità) ed offerta (troppo spesso “opaca”) di lavoro.
Coaching, mentoring ( e mi fermo qui con gli inglesismi) esistono già sul mercato, ma percepisco nel percorso che intendi intraprendere qualcosa di più importante: estrarre il reale valore di ogni persona alla ricerca di una nuova opportunità professionale e presentarla in maniera mirata ad interlocutori analogamente orientati sotto il profilo valoriale.
Vedremo che verso prenderà questo mondo che cambia.
Se tra un po’ di tempo potrò fare la spesa e tornare al supermercato per pagare solo se mi sarà piaciuto quel che ho preso, allora ci sarà coerenza.
Altrimenti è chiaro che il mondo della ricerca e selezione di personale ha qualche problema.
Nulla di nuovo caro Osvaldo. Allo stesso tempo nulla per cui mollare, e ben venga reinventarsi.
Buongiorno, leggo, faccio menzione di apprezzamento e stima per l’analisi, e riporto in breve la mia.
Un giorno dopo un lungo colloquio con Il Responsabile (così qualificatosi) delle Risorse Umane di una grande (per dimensione!) società italiana, mi si raccontò (utilizzo giustappunto il verbo raccontare, ritenendolo maggiormente appropriato agli eventi successivi): “bene, per la prossima settimana avrà un colloquio con il nostro direttore generale, si tenga libero per giovedì o venerdì ed attenda la conferma esatta”. Ebbene, da quel lontano 2010…ne ho contati di giovedì e venerdì!
Ne ho contati prima alcuni, ho poi proceduto ad un (ahimè mancato) tentativo di contatto telefonico ed a mezzo mail, ne ho poi contati innumerevoli altri…
Se le risorse umane non siano ritenute il fulcro di qualsiasi sviluppo del sistema paese, beh allora non sorprendiamoci se tanti decidono e decideranno di tentare all’estero di mettersi alla prova.
Buona giornata.
prima di prendere penna e calamaio ho riletto due volte il bel post di Osvaldo ed anche tutti gli interventi… Sinceramente non approvo la standing ovation alle parole di Danzi.
Non amo in assoluto le generalizzazioni e il fare di ogni erba un fascio. A mio modo di vedere per ogni direttore del personale fancazzista e cojonotto esiste almeno un recruiter….cojonotto e fancazzista! La scelta poi di lavorare success fee o advanced fee, non è scandalosa ma una semplice tecnica commerciale (magari, mi verrebbe da dire anche sicurezza dei propri risultati…Ma non lo dico!)A Roberto che si lamenta (giustamente) di attendere un contatto dal 2010, rilancio dicendo di quanti candidati “inseguo” giorno per giorno, e quanti ne incontro che hanno voglia di lavorare solo a parole… Ad ogni buon grado se il “cambiamento” porterà miglioramento sarà un bene per tutta la categoria dei recruiters e dei direttori del personale, e magari soprattutto per chi un lavoro non ce l’ha e lo cerca (davvero)
Francesco Bertellini (Perugia)
@Francesco
fortuna che non ama le generalizzazioni. Mi riferisco al detto/non detto, sul success fee.
Non lavoro success fee da anni, lo confesso.
Sappiamo tutti che la situazione oggi è difficile, pertanto qualcosa va pur ripensato, rivisto.
Se vogliamo metterla sul piano del potere contrattuale inutile spiegare vizi e degrado di questo mercato, dovrebbero essere chiari a tutti. Girando la frittata, non credo che, in un momento in cui l’azienda ha bisogno di garanzie, affidarsi a metodi di selezione “welcome to the jungle” sia saggio.
Con tutta la proattività di questo mondo non mi sento di poter affermare che a un lavoro ben svolto corrisponda una scelta del cliente, e quindi l’incasso del compenso dovuto per l’attività svolta.
Lei saprà benissimo che sto facendo riferimento ad un mondo complesso in cui, soprattutto per profili strategici (su cui solitamente lavoro), le scelte non sono così scontate, anche a fronte di un lavoro riconosciuto (e oggettivamente) ben svolto.
Per non parlare delle seccanti beghe deontologiche (e danni di immagine) dovute al non lavorare in esclusiva.
Sono per il libero mercato e per le sfide. Tuttavia, come un esploratore porterà con se i propri ferri del mestiere, io devo poter lavorare con i miei.
Non ne faccio un problema di giusto o sbagliato, penso solo che a fronte di una risposta professionale da dare a un cliente, l’unica cosa che oggi è possibile fare è pensare come proporsi diversamente per non squalificarsi, per non subire una presunzione di fondo sintetizzabile (per sdrammatizzare un po’) nel famoso annuncio del “giovane neolaureato con esperienza pluriennale”.
Su questo verte la mia riflessione attuale, come quella di Osvaldo (credo), solo che ognuno ha un suo stile.
CAro Luca, non impressionarti.
Francesco è una persona molto piacevole e anche di grande simpatia. Doti ben più affinate alla coerenza.
Si è dimenticato da che parte stava fino a due anni fa, ed ora parla da “imprenditore”…
Grande articolo! Appoggio e sottoscrivo, sia da ex recruiter che da candidato!
Osvaldo, è un gran bel testamento, e gli dei sanno se non vorrei che tu riuscissi a metterlo in pratica. Ma ciò di cui parli è lo specchio di un paese afflitto da una classe imprenditoriale infima, che genera ed induce comportamenti infimi. Tu puoi (e devi) proporti ogni possibile forma di miglioramento, cambiamento ed impegno: ma, alla fine, gli imprenditori selezionano dirigenti a loro immagine e somiglianzam che selezionano dipendenti e fornitori a loro immagine e somiglianza, terrorizzati dal confronto, dalla competenza, dal merito e dal nuovo. La mediocrità è diventata un pregio (anzi, come si usa dire oggidì, un “asset”). La strategia è un oggetto ignoto e pericoloso, il potere è totalmente sconnesso da ogni traccia di responsabilità, lo yes-man è ormai l’ossatura portante di ogni organizzazione. E la crisi è divenuta un alibi per piangere su aziende che chiudono per colpa delle banche (altro settore sistemicamente e deliberatamente intriso di burattini annuenti), quando invece molte chiudono, semplicemente, perché non hanno più ragione di esistere, essendo vecchie, disorganizzate, fuori mercato e con prodotti obsoleti e processi inesistenti. E tu, che cerchi di cambiare le cose, sei ai loro occhi un barbaro. Perdipiù competente. Orrore.
Osvaldo, se non fosse per l’argomento trattato e per la passione con cui svolgi il tuo lavoro, ci sarebbe da riderne per ore.
Quindi, più che ogni superfluo commento, ti faccio solo un grosso in bocca al lupo; so che riuscirai a tirare fuori un coniglio dal cilindro: non è per tutti, ma tu puoi!
Un caro saluto
P.S.: e in bocca al lupo anche ai candidati..
@Francesco
Condivido e Le credo che giornalmente Le possa capitare di inseguire qualcuno che abbia voglia di lavorare solo a parole. Ho avuto modo di verificarlo spesso in questa mia breve ma intensa vita lavorativa. Io ho un’altra visione del lavoro, più tendente alla soddisfazione personale di aver fatto un buon lavoro, così come a quella di svolgere una mansione con soddisfazione. Mi piace ciò che faccio, sono fortunato, pur con tutti i limiti (tecnici ed anche economici) del contesto che vivo quotidianamente.
Aggiungo però che, essendo arrivato a quel punto (nel 2010) dopo un certo percorso step by step (anche lungo), una risposta di due righe ad una mail poteva essermi fornita.
Non Le parlo di rispetto, non menziono la correttezza di un rapporto tra selezionatore e candidato, lungi da me pensare anche che una risposta fosse un atto dovuto nei miei confronti. Le spiego cosa penso, invece.
Penso che esistano situazioni nella “vita”, intendendo con questo termine quanto di più ampio lo stesso possa rappresentare, che se affrontate in maniera collaborativa contribuiscono a generare crescita e sviluppo: un feedback, per quanto negativo, se accolto nella maniera giusta dal candidato, di certo non può non produrre una seria riflessione sui propri limiti, siano essi caratteriali, comportamentali, tecnici. Tutto qui.
Buona serata a tutti.
Osvaldo, non sono impressionato. Sono arrabbiato. Le tecniche commerciali vanno bene per posizionare un prodotto o decidere che sconto fare, non per selezionare il personale. Ed io non discuto la simpatia di Francesco, e nemmeno la sua piacevolezza; però trovo risibile parlare di success fee e dimenticarsi di aggiungere che pretendere di pagare i recruiter solo a successo raggiunto impone alcuni presupposti: 1) definizione chiara di cosa si vuole; 2) job description comprensibile e fisicamente realizzabile; 3) volontà di accettare i consigli del recruiter e disponibilità a rivedere le proprie richieste ove irrealizzabili; 4) paccherto compensativo chiaro, e espresso in euro, non in discorsi. Allora mi può andare bene parlare di success fee, ma non come “tecnica commerciale”, che mi pare una solenne corbelleria (eufemismo), ma come stile aziendale. Inoltre, la selezione del,personale dovrebbe essere basata su una fiducia reciproca costante e da un rapporto stretto di comune visione aziendale. Permettimi di dubitare che la success fee aiuti lo sviluppo di un simile rapporto.
@Luca, sono perfettamente d’accordo. Mai detto che Francesco ha ragione.
Anzi, ho detto a Francesco che si è probabilmente dimenticato di quando anche lui faceva parte dei recruiters.
Il success fee non aiuta nessuno: nè il cliente, nè il candidato, nè il selezionatore a far meglio il proprio lavoro.
Non credo che il capo di Francesco permetterebbe di vedere pagati i suoi servizi solo se tutti i clienti si ritenessero effettivamente soddisfatti del prodotto.
Semplicemente tutto vero!!! Dalla A alla Z.
@Osvaldo, Luca e Francesco e altri,
Sono onestamente esterrefatto. Grazie a Dio non sono un recruiter (professione oggettivamente assai difficile), sebbene nel mio percorso professionale mi sono trovato a dover reclutare una dozzina di persone, ma il solo fatto che quanto citato da Luca: “1) definizione chiara di cosa si vuole; 2) job description comprensibile e fisicamente realizzabile; 3) volontà di accettare i consigli del recruiter e disponibilità a rivedere le proprie richieste ove irrealizzabili; 4) paccherto compensativo chiaro, e espresso in euro, non in discorsi. Allora mi può andare bene parlare di success fee” NON SIA LA NORMA è semplicemente allucinante ed integralmente inaccettabile.
Come potete solo pensare di poter approcciare un’azienda cliente che non abbia CHIARI e SCRITTI NEL GRANITO quei quattro punti? Come potete solo ipotizzare di trovarlo un candidato senza quei quattro punti più che chiari?
Le aziende cercano personale all’esterno o fuori dal proprio network di conoscenze dirette solo in un caso: sono disperate e le hanno già provate tutte.
Per una ragione qualsiasi – che molto spesso è la cazzata del giorno venuta in mente al padrone dopo una cena a base di peperoni – hanno bisogno di un profilo folle.
Rarissimamente quando per ragioni di “cultural transition” devono necessariamente affidarsi a professionalità di tradizione e spessore diverso da quelle che hanno in casa, leggasi: multinazionale a gestione e tradizione familiare, il vecchio muore, i figli non hanno la più pallida idea di come gestire l’eredità dato che mentre il padre sgobbava in azienda loro andavano in barca a vela, assumono un Senior Consultant di nota azienda di consulenza.
Dissento interamente sul discorso del success-fee. Sebbene è vero ed ovvio che le persone non sono barattoli di fagioli, esiste IN OGNI SETTORE COMMERCIALE la garanzia o Money-Back-Guarantee, o soddisfatti o rimborsati che dir si voglia.
Se il “prodotto” non funziona SI CAMBIA! Sempre, ovunque e comunque in ogni Paese civile ed incivile.
Il success-fee dovrebbe essere L’UNICO MODO DI LAVORARE! Sempre ovunque e comunque.
Ho lavorato circa 5 anni a Londra, cercando e trovando lavoro solo tramite società di selezione, e sebbene anche quel sistema sia tutto men che perfetto, lì lavorano SOLO con il success-fee.
Inoltre, dissento totalmente anche sul fatto che questa modalità non favorisca in ultima analisi la qualità del lavoro: l’ultima azienda per cui ho lavorato in UK ha pagato il recruiter il 6% di una mia annualità lorda. Pensate che se io non fossi andato bene all’azienda, questa sarebbe stata così contenta di dover pagare un altro 6% di una annualità per un altro candidato? E pensate che il recruiter che avesse fornito candidati che dopo poco avrebbero lasciato il posto o inadeguati avrebbe sarebbe stata davvero contattata ancora?
OVVIAMENTE NO!
Quindi, non solo i recruiter lì, sono incentivati a ricercare davvero i profili adatti e lo fanno in modo molto semplice:
1. Stressando sulla motivazione individuale = unico vero motore
2. Stressando sulle reali capacità = usare metriche
3. Stressando sia il datore di lavoro che il candidato a ESSERE PAGATO IL GIUSTO = non sputtanare i punti 1 e 2
In ultima analisi, quando – e non sempre accade – il meccanismo funziona, sono TUTTI CONTENTI.
Paolo, probabilmente le aziende in Inghilterra quando ti chiedono di cercare qualcuno non si rivolgono contemporaneamente ad altre 10 società e, come dici tu, ancor più probabilmente hanno un’etica deontologica secondo la quale non aprono un mandato se non hanno davvero intenzione di assumere.
In Italia il success fee è ormai merce per disperati.
Chi lavora con qualità ed è referenziato, lavora in maniera seria.
…Anzi, mi aspettavo di peggio!! Ribadisco, in ogni categoria ci sono i saggi e ci sono gli stolti! Lavorare a successo vuol dire aver chiaro gli obiettivi e che siano realizzabili? Si, proprio così, pensa un pò che c’è ancora gente che ha le idee chiare…. Sarà una razza in estinzione ma c’è!
E’ vero che fino a due anni fa ero dall’altra parte della barricata, e ne ho fatto tesoro, ho portato “di qua” il rispetto per un lavoro difficile e mai concluso sino all’ultimo momento, ma ho portato pure “di qua” la dura legge di mercato, che recita chi prima arriva meglio alloggia. Tra l’altro le società che lavorano s.f. a mia esperienza diretta in questo biennio di stretta collaborazione con alcune di loro, sono le più grandi, le più organizzate sul territorio. Io evito di perdere tempo e di farlo perdere agli altri, il mondo è tanto grande…
Comunque anche Osvaldo è molto simpatico! Ma di più dopo pranza, che prima c’ha fame e è pericoloso
francesco bertellini
Esatto, Osvaldo. Io lavoro in Irlanda, è la mia azienda paga i recruiter con una success fee, molto alta, fra l’altro. Non esiste mandato che non sia stato approvato dal Dirigente del settore per cui si seleziona, dal Direttore HR e dal CFO che garantisce la coperura finanziaria. E il recruiter è perfettamente abilitato valutare se la job description e la corrispondente retribuzione siano compatibili con mercato e richiete, e nessuno si azzarda a pubblicare annunci senza l’approvazione ed il consiglio del recruiter. Il quale, almeno per i primi 30 giorni, ha un mandato esclusivo. Ora, chiedo a Paolo quante aziende lui conosca che in Italia fanno così. Io, nessuna. I miei 4 punti, che tu trovi, giustamente, elementari, in Italia somo una eccezione, non la regola.
@Osvaldo,
in effetti in UK i recruiter richiedono SEMPRE l’esclusiva – scritta e contrattulizzata – questi tuttavia, lavorano SOLO per success-fee. Inoltre i recruiter – almeno i più grandi e seri, gli unici a cui mi sono rivolto – non alzano nemmeno la penna senza che quei 4 punti di cui sopra siano SCRITTI CON CHIAREZZA nel contratto di mandato, e non solo, ma vengon SEMPRE citati nella Job Description, quantomeno in quella dettagliata che viene mandata dopo il primo colloquio.
È un problema di cultura Osvaldo. Chi comincia per primo? I candidati? I recruiter o i datori di lavoro?
Che comincia a ribellarsi a chi cerca:
“neolaureato con MBA, domiciliato presso genitori, senza figli, non sposato e senza mutuo, con 15 anni di esperienza in navigazione interplanetaria a vista e 10 anni di esperienza comprovata in sommergibilistica moderna, max 25 anni, disponibile a trasferte intercontinentali, padronanza di due lingue straniere, madre lingua cinese”
è solo una cazzata che andrebbe tradotta:
“siccome la nostra italianità ci rende incapaci di operare per obbiettivi e risultati, non siamo in grado di organizzarci come Cristo comanda, allora dobbiamo fare una sorta di selezione al contrario che favorisce sempre e solo giovanissimi senza esperienza, SENZA MAI FORMARLI, ottenendo attempati senza esperienza, gente che ha 40 anni e in 15 anni non ha mai visto un vero grande progetto, non ha mai conosciuto o lavorato insieme ad un buon manager. E quindi ci serve uno schiavo che non sappia di esserlo”.
Io ho cominciato. E a chi mi propina cose del genere dico semplicemente vaffanculo. La mia policy di vita è:
“Se sei un cojone, ti chiamero semplicemente cojone. Get used to it”.
@Luca
Ne ho trovato una sola che lo fa, che appunto inglese, ed ha una filiale a Roma ed una a Milano. Tutte le altre improvvisano. Ragione per cui non perdo neanche più tempo ad aggiornare il cv sui loro database.
Per non parlare poi delle interniali mascherate da headhunter… ridicole a dire il meno. M’hanno fregato una volta: ora sono nello “spam” in abbondante compagnia.
Beh, che dire, complimenti per il coraggio a tirar fuori le frustrazioni per una professione che dovrebbe essere al centro del mercato del lavoro, ma che sistematicamente è sopraffatta dai piccoli e medi politicanti con pacchi di CV sulle loro scrivanie.
Migliaia di CV (tranne il mio) su scrivanie improprie: ecco perché, nonostante i quasi 49 anni ed una professione riconosciutissima all’estero (con recruiters che rispondono in ogni caso) ma non qui nel nostro Paese, vorrei tanto incontrare un recruiter italiano.
Se non altro per sapere che esiste e condividere un’idea per il futuro.
In bocca al lupo al nostro mercato del lavoro e a chi lo prende ancora sul serio.
Buongiorno Osvaldo,
devo dire che il piglio giusto, le autocritiche settoriali e la voglia o consapevolezza di cambiare mi trovano d’accordo, soprattutto in seguito ad esperienze dirette che confermano quanto detto sia dal lato HR che dal lato candidato…
Mi piace riportare le ultime frasi: “I candidati , dal canto loro, devono imparare a presentarsi, a dialogare fra loro e con le aziende in maniera più dinamica, a utilizzare i social usando dei job titles che non sembrino il riscaldamento per il campionato mondiale di Scarabeo, ma che rappresentino qualcosa di comprensibile e esistente su Questa Terra. Chiedere il contatto sui social network e 30 secondi dopo inviare il cv in cui vi corrisponde la metà delle informazioni con cui mi hai teso la trappola in Linkedin, richiede una dose di pazienza e una conoscenza di molti più improperi rispetto a quelli noti a un solo essere umano.
Da ieri progetto un sistema nuovo di fare recruiting, dove la relazione con il candidato, il suo personal branding e la capacità di usare i social siano fondamentali; più propositivo nei confronti del cliente, dove sono essenziali la qualità del network e la conoscenza approfondita delle aziende. E quindi, non alla portata di tutti, piattaforme, recruiter o candidati che siano.
Stai a vedere che ho scoperto l’acqua calda (innovativa, però!).”.
Di acqua calda si sta parlando ma ci vuole sempre qualcuno che la porta alla luce…quindi bravo e soprattutto concorde nel dire che una persona ha un valore quanto tale e per questo va saputa valutare non solo in base alla parte burocratica del suo profilo ma e soprattutto in base alla sua parte umana e professionale. Se il recruiter, ma ne deve essere capace, (ri)trova questa strada, sarà innovativo…
Un saluto a tutti.
Massimo
Scusate ma aziende serie che fanno ancora oggi contratti di esclusiva con tre pagamenti (acconto, presentazione candidati, chiusura) sono stupide? Ne conosco alcune e non credo sarebbero contente di leggervi.
Non demonizzo il success fee, ma deve essere accompagnato da esclusiva, altrimenti stiamo parlando di niente.
Qualcuno non ha chiara l’idea di cosa sia la dura legge del mercato visto che presenta un modello destinato ad implodere.
Dal punto di vista del business nel recruitment oggi credo sia saggio stare in finestra e pensare all’evoluzione dei propri servizi e del metodo. Correre dietro agli sciamannati lo lascio tranquillamente fare a chi ne ha voglia. Un tempo faceva “massa”, a breve farà “deserto”.
Una provocazione: è strano leggere che molte realtà strutturate nel mondo della ricerca e selezione siano le migliori. Pensavo fossero quelle con cui ci si riesce a parare meglio il culo 🙂
@ Paolo Scaramuzzino: esistono clausole di garanzia nei contratti fatti come si deve. Non so se sia una pratica da “studio piccolo”. In qualsiasi caso credo che le responsabilità vadano prese da entrambe le parti.
x luca….bho non capisco molto bene quello ce dici, ma sarà colpa mia.
andiamo nel concreto, attualmente mi avvalgo di tre società di ricerca e selezione. ognuna ha in esclusiva una o più ricerche (che non sono condivise con le altre) ognuna lavora seccess fee, ed ognuna mi garantisce la clausola di sostituzione al non superamento del periodi di prova.
a me pare così semplice: è loro la scelta di fare r&s, loro il rischio imprenditoriale di lavorare senza riuscire a fatturare. il resto sono chiacchiere! (sempre con simpatia senza voler urtare nessuno)
francesco bertellini
x francesco
bastava scriverlo nei precedenti interventi, invece di far passare concetti da giungla. Success fee con esclusiva e garanzia, non mi sembra così selvaggio e spietato, e non credo segua il concetto “chi prima arriva meglio alloggia”. Si vede che non son l’unico a cui piace provocare ogni tanto 🙂
Mi spiace se non si è capito quanto ho scritto sopra, stare chiusi in una qualche azienda alla fine può far perdere contatto con l’esterno (sempre con simpatia).
Ah beh, sì beh……….. Povero il Re e povero anche il cavallo!
Ho letto le parole e, purtroppo, condivido……….
Take care
Scusate, ma interrompo botte e risposte che portano ad avvilupparsi intorno a concetti che, seppur importanti, non sono risolutivi.
Fra obbligazioni di mezzi ed obbligazioni di scopo una soluzione si trova sempre, fra soggetti che seriamente fanno il loro mestiere ed altri soggetti che, altrettanto seriamente, commissionano loro servizi professionali.
Mi sembra come quando si parla di politica e sistemi elettorali… Proporzionale, maggioritario anglosassone, doppio turno alla francese: li abbiamo provati tutti, ma siamo sempre di più senza un governo degno di questo nome e con una classe politica sempre più squalificata.
Siamo noi che non funzioniamo. Riconosciamo che il declino del nostro paese si è accelerato da quando la furbizia l’ha avuta vinta rispetto all’onestà e all’operosità e da quando una bella condanna penale fa curriculum.
Il problema non è il metodo; sono le intenzioni…
Dispiace. Quando una funzione aziendale primaria e vitale per l’organizzazione e l’Uomo è sottomessa da logiche opportunistiche c’è poco da fare. E spero che una nuova corrente di pensatori e selezionatori sia pronta a recidere molti incapaci che vivacchiano. Il circolo vizioso della norma che re-produce la norma, a livello aziendale, a mio avviso si identifica nella assoluta incapacità di molte aziende di innovare. E in modo naturale le persone inserite spesso devono rispondere a logiche di fondo assured: mantenere lo status-quo o portare il “Nome” e l’esperienza di un candidato con il solo fine di eludere…o il “tecnico” per risolvere il problema.
L’iniziativa, la voglia di “sporcarsi le mani” unite a competenza e spirit di confront costruttivo spesso in alcune realtà sono viste come minacce. Intra gruppo e inter funzionale. Queste logiche alla fine soffocano il cambiamento e le persone di valore, privilegiando quei “parassiti” che sopravvivono dicendo Sì e schiacciando chi invero potrebbe aiutare l’azienda a crescere.
Ci sarebbe molto da dire, pensare, per cambiare.
CARISSIMO SIG. OSVALDO TANZI
leggo il suo articolo e mi sento rinascere, mi sambra che una bicchierata di cubetti di ghiaccio abbia attraversato lo spazio tra i due emisferi della mia mente che aveva raggiunto i gradi Farenheit 351 dopo aver assistito alle stesse cose che lei commenta sia come candidato che come azianda in cerca di candidati.
FInalmente un pò di coraggio e onestà intelletuale.
Sono residente in Nord Italia a Milano e di tutti i recruiter che ho incontrato negli ultimi 12 anni …… 12 ANNI!! Se va bene se ne salvano meno di una mezza dozzina.
Stormi di neolaureati frustrati da uno stipendio da apprendista che si vedono passar davanti candidati che hanno l’età dei loro genitori e l’esperienza di 2 vite delle loro.
Aziende a mazzi che si proclamano leader e fatturano 250.000 EURI …. euri (Plurale) all’anno.
ma soprattutto Agenzie di recruitment che fanno mero commercio di database dopo averti fatto compilare infiniti form il cui unico scopo è di fare del tuo profilo, carne da esposizione e commercio.
Ha tutto il mio sostegno e, se posso, la mia professionalità.
Se desidera costruire un impianto per l’ascqual calda, mi contatti, a forza di non capirci un tubo, di materiale per le pipe-line l’ho accumulato in abbondanza.
Alberto Joriatti
http://www.intl-businessdevelopment.com
Mi chiamo DANZI. Tanzi ha fatto una fine .. “diversa”.
Apparentemente il processo di selezione di un candidato per una posizione lavorativa dovrebbe portare benefici a tutti gli attori:
all’azienda perchè trova il candidato giusto da “assumere”;
al reclutatore (scusate ma amo l’italiano) perchè ha accontetato il suo cliente (l’azienda appunto di cui sopra), ricevendo il compenso stabilito;
al candidato perchè ottiene il posto di lavoro.
Gli unici scontenti dovrebbero essere quelli che nel gioco della concorrenza hanno “perso”; sicuramente gli altri “mille” candidati (a chi non è capitato!) e forse gli altri reclutatori che non hanno trovato il candidato giusto (o l’incarico è esclusivo? lo chiedo per ignoranza e senza intento polemico).
Se ci sono altri scontenti vuol dire che il processo di selezione non funziona come dovrebbe e io ho il sospetto che sia così.
Forse le aziende non sanno sempre molto bene qual’è il candidato che vogliono o non sono in grado di spiegarlo o non esiste sul mercato (i candidati appena laureati disposti a guadagnare poco, ma che sanno fare tutto e hanno anche esperienza ad esempio sono molto difficili da trovare sulla terra…).
I reclutatori forse non riescono a capire qual’è la figura che l’azienda ricerca o è una figura difficile da trovare e quindi cercano di risparmiare tempo non cercandolo.
Io da ignorante del settore ho la sensazione che ci voglia più professionalità come in tutte gli altri settori della società, sia da parte delle aziende che dei reclutatori.
Per finire i candidati: è difficile essere scelti tra molti, ma sarebbe più giusto e più facile per tutti essere più chiari ed onesti nel proporsi. Va bene promuovere le proprie capacità, ma senza esagerare.
Quindi per concludere il suo progetto è sacrosanto. Saluti
DANZI, Danzi,
chiedo scusa per l’errore di battitura. Dislessia da tastiera.
(Era senza malizia, giuro)
…era per “alleggerire” un pò!
Ti capisco benissimo e ti faccio un grande in bocca al lupo!
Adoro questa sottile e pungente ironia che fa sorgere un sorriso amaro e svela con gesto dissacrante la realtá grottesca che tutti conosciamo.
Nell’acqua calda del brodo primordiale é nata la vita ed auguro al “de cuius” di riuscire nel suo progetto anche perché alla veneranda etá di 38 anni e dopo aver sostenuto infinite selezioni che sembravano piú delle roulette russe, l’idea di qualcosa di nuovo mi fa sperare.
Purtroppo la differenza la fanno le aziende: spero che almeno qualcuna abbia una vera visione multinazionale, foss’anche la ditta “cachi e fichi” sotto casa mia.
E che torni il valore del rispetto delle persone (ricordate quella cosa che ci insegnavano da piccoli per cui non devi trattare gli altri con considerazione e come vorresti essere trattato tu? Vaghi ricordi).
Un in bocca al lupo urlato!
Grazie Osvaldo,
mi sono sentita meno sola nella mia personale campagna. Ero una recruiter, di nicchia a mio avviso.Stimata e apprezzata da candidati e dalle aziende serie che mi permettevano di lavorare per loro.Non ho retto, non sono più stata capace di andare avanti dopo anni da incubo. Mi sono licenziata due mesi fa, ho dato voce al mio amore per questo lavoro, alla mia coerenza, al mio coraggio nel difendere idee e principi. Ho lasciato senza avere nulla cambio, ben sapendo le difficoltà insormontabili del momento. Ed ora, paradossalmente ma inevitabilmente, sono proprio nelle mani di quei recruiter. Sarà dura, durissima, forse da stimata junior manager dovrò ricominciare come addetta alle vendite come feci durante l’università, ma la soddisfazione personale e la fierezza che mi accompagnano, stanno rendendo questa difficile fase della mia vita sopportabile e positiva. Sicuramente più di prima. Grazie,grazie infinite.
Gaia
@Cristina
Non credo sia un problema di visione da multinazionale, sai. È un problema di modello industriale, che non vede più merito e competenza come indispensabili, e la sfida proposta dalle persone competenti come un catalizzatore di crescita e sviluppo. Ci sono multinazioali che nella loro versione italiana hanno preso il peggio di questo paese, non è un problema di complessità aziendale: è un problema di potere. Gli imprenditori italiani fanno lobby invece di ricerca e sviluppo, investono in macchinari ma non in organizzazione, processi ed informazione, e considerano il talento altrui (specialmente se giovane) come una minaccia. Incredibilmente, nonostante la crisi li stia massacrando, e con essi il paese, non cambiano di una virgola. Anzi, ora hanno anche la scusa che non hanno soldi.
Consolati.
Nel tritacarne che descrivi, la vita del candidato è anche peggio!
.
Quoto Luca, c’è bisogno di talenti e anche di chi ha il coraggio di scoprirli, ad ogni età.
Ciao Osvaldo , non male mi sono divertito parecchio e sono completamente d’accordo con te . Io sono dall’altra parte della barricata , cioè un potenziale candidato , e ho sempre pensato le cose che hai scritto riferendomi a chi cerca personale e/o coinvolge un Recruitre quale sei tu .
Adesso che me le hai confermate mi sento meglio , sono quasi senza lavoro/impiego ma mi sento bene . Io dico che moriranno prima o poi e finalmente la smetteremo di cercare la Luna , 30 anni di età e una esperienza da A.D. per 1.500,00 euro netti al mese per un posto da Product Manager o similare. Ti saluto e se ti và contattami che una chiaccherata con un pò di aneddoti la faccio con piacere
Ernesto
@Gaia. Ah Signore/i (con leggerezza e spirito, guardare sempre avanti) durante l’univ.ho iniziato a fare molti lavori (anche per necessità)e stupidamente ritenevo che una esperienza sul campo fosse apprezzata dai recruiters. Quando ho iniziato ho pianificato mese ed anno di laurea in base agli esami da sostenere (e all’epoca Ca Foscari aveva imposto delle barriere di superamento per competere con Bocconi). Alla fine su 4300 iniziali in tempo”utile” siamo arrivati in pochissimi. E i voti erano sudati. C’È stato il tempo del voto di laurea, il tempo del dove hai studiato, il tempo Erasmus e poi zac arriva il contratto a progetto…diritto in fronte a noi che avevamo superato tutto. Questo per dire che non ho mai compreso se i limiti fossero organizzativi o imposti da Chi…La più interessante situazione io l’ho vissuta in una mega big G…dove i colloqui sono diretti dall’azienda senza intermediazioni: 4 colloqui con personale in Francia, 7 in sede Italia con ulteriore valutazione Team Vertical, e a più riprese sento chiedere da il responsabile Operations: accetterebbe un contratto tramite agenzia interinale per i tre mesi di prova? Ohi boh! penso dentro a me che provengo da una esperienza imprenditoriale “ma come, forse la business Unit Italia ha la possibilità di gestire a proprio modo le assunzioni?”. Dalla Francia mi chiamano dopo ultimo colloquio sostenuto e mi dicono benvenuto questa sarebbe la nostra offerta (wow) ma io chiedo “..con che tipo di contratto, interinale?”…Excuse me? mi chiede la professionista. No è che mi è stato proposto…Assolutamente dice Lei, non usiamo questa prassi. OK. Parto allora, mi va bene tutto. Dopo tre mesi di provocazioni e supporto nullo (per verificare tempra) mi dicono che il periodo di prova non è superato (poi ho saputo per vie interne che ero il terzo…e che per KPI il team veniva sempre ridimensionato). Dall’oggi al domani…Vai tu a spiegare a futuri selezionatori l’impossibile e soprattutto indicibile…In UK (Londra e Irlanda) la realtà e’ come la descrivono (innovativa). I successivi miei tre anni sono stati un incubo, e soprattutto hanno sensibilmente indirizzato la mia crescita e/o sviluppo. Ma io (come molti) sono il nulla. La forza di sorridere e tirare diritto sono stati i miei figli che ai tempi del cambio di vita radicale per seguire quella chimera avevano 2 anni e uno stava nascendo…Ci sono percorsi che non possono essere modificati, situazioni che e’meglio dimenticare…anche se non puoi tornare indietro… avanti Gaia! Con forza.
Dovrei quotare diverse persone in questo thread: Osvaldo in primis, ma anche @Sandro, @L’ultimo dei Peones, @Paolo Scaramuzzino, @Luca… Capisco lo sfogo di voi Recruiters (reclutatori, per chi lo preferisce), dev’essere avvilente lo scontro con l’approssimazione e la mancanza di professionalità delle aziende che si rivolgono alle agenzie per la ricerca di personale.
Leggo Osvaldo da tempo e so che detesta gli inviii compulsivi di cv, l’uso improprio di Linkedin per raffiche di richieste di contatto, i messaggi spersonalizzati, l’assalto agli HR, ecc. In una parola, la banalizzazione. Banalizzazione di un lavoro importante e che non si improvvisa, banalizzazione dei ruoli, banalizzazione di uno strumento come il curriculum.
Tutto molto comprensibile. Tuttavia, vi invito a mettervi nei panni del Candidato, non sempre è un animale alla caccia del colloquio! Forse, semplicemente ha bisogno di lavorare e non sa a che santo votarsi.
Io attualmente lavoro all’ufficio stile di un’azienda (Legge di Murphy: “Quando lavori in Azienda tutti ti vogliono, come sei fuori non ti vuole più nessuno”), ma ho passato periodi angoscianti in cui non riuscivo ad ottenere un colloquio, ne’ col passaparola, nè rivolgendomi alle agenzie, ne’ inviando Cv spontanei, ne’ rispondendo agli annunci. Mi imbestialiva che non mi rispondessero nemmeno. La trovavo maleducazione pura, pensavo: e che cavolo, almeno un messaggio automatico… Quando sono rimasta senza contratto -e ad una freelance può succedere- ogni volta colleghi e amici di lavoro affermavano: “Ma figurati, sei bravissima, ritrovi subito!” ma in realtà a volte passavano lunghi mesi. Naturalmente la colpa poteva essere mia, del mio cv che forse non era scritto bene, della mia figura professionale che non risultava interessante. Come dice una mia ex collega, “Per le agenzie non abbiamo il pedigree”.
Ho cambiato forma al Cv, ho sempre allegato una lettera di presentazione. Ma sono stata chiamata per i colloqui quasi esclusivamente tramite contatto diretto con le aziende, raramente dai recruiter. E dopo un colloquio in azienda, normalmente riesco ad ottenere il contratto; forse perchè potersi raccontare, spiegare, trasmettere la passione per il proprio lavoro è enormemente diverso dall’essere filtrati da una serie di requisiti necessari che a volte di necessario non hanno proprio nulla. Che senso ha cercare un senior designer se poi deve avere l’età di uno junior? Il valore aggiunto del senior è l’esperienza, unita alla professionalità, chissenefrega se ha due anni in più rispetto alla richiesta. Oppure si pretende una “Stilista junior” ottimo disegno a mano, perfetto uso di photoshop e Illustrator, e magari anche Cad, Rhino, In Design, e poi che si intenda di tendenza, che sappia realizzare i mood boards, che conosca i materiali e via delirando. E che dire di “Cercasi Senior Designer responsabile di collezione che poi realizzi anche gli esecutivi per la modelleria, faccia le scansioni e le schede tecniche”?
Ma per favore…
Anche io ho intervistato potenziali junior designer nei mesi scorsi, nell’azienda in cui lavoro, ma non ho mai preteso requisiti da senior, mi bastava “basic”. Purtroppo al mio annuncio “cercasi Junior per contratto formazione” hanno risposto molte più persone che avevano altre ambizioni che non fare scansioni di disegni e schede tecniche, oppure ragazze di belle speranze e scarse capacità, uscite da costose scuole di moda dove pur di incassare i lauti assegni dei genitori si son guardati bene dal dire loro che non sanno disegnare!
Direi che i motivi per cui il rapporto tra chi cerca lavoro e chi lo offre è così difficile sono vari, ma la mancanza di elasticità da parte delle agenzie aggrava la situazione.
E riguardo alle agenzie Inglesi, nutro dei dubbi che siano più serie; negli ultimi mesi sono stata contattata a più riprese, da due diverse recruiters. Dopo la fase delle mail, con una abbiamo fissato un appuntamento telefonico, che non è mai avvenuto, l’altra mi ha cercata due volte e poi è sparita senza più rispondere…
Adoro il tuo articolo, soprattutto l’ultima parte, in cui parli di persone che devono necessariamente migliorare le loro capacità relazionali, non solo online – dove non basta “seguire” una azienda, ma anche e soprattutto fuori!
La vita reale, oggi snobbata, deve essere invece il perno intorno al quale fare ruotare i nostri social! STANDING OVATION PER TE!! E tanta stima…
Op
Fantastico !
Osvaldo,
come sai ti seguo sempre con interesse. Quindi aspetto tue news su questo progetto, per il quale ti invio il mio in bocca al lupo.
Ciao
“Linkedin prima di tutti sta segnando le ore ad una professione che ha bisogno di innovazione, di cultura informatica nei suoi processi più automatici, lasciando più spazio alla relazione con i candidati.”
Riflettevo che LinkedIn nasce sul concetto di rete completamente magliata e aperta. Non ho difficoltà a credere che in contesti prevalentemente anglosassoni sia un approccio efficace per raggiungere rapidamente il profilo cercato e magari con soddisfazione degli interessati.
Mi rimane il dubbio che qui LinkedIn sia, per la grande parte del pubblico nazionale, un’altra storia.
Ciao a tutti,
vedo che la discussione ha preso piede, sono contento.
Dopo l’esposizione delle varie esperienze, tutte importanti!!!!
Propongo uno step successivo, sempre se fattibile!!!
Come possiamo arginare o cambiare questa parabola che il comparto Recruiter/Gruppo Hr ha preso?
Osvaldo,
sembra proprio che più che “passare” hai solo deciso di cambiare tavolo da gioco.
Behh…….saremo in molti ad essere sottoposti a quella che viene indicata come : “distruzione creatrice schumpeteriana”.
Buongiorno Osvaldo.
vorrei aggiungere un contributo.
Mutare filosofia di approccio è sempre buon modo per diversificare il “prodotto” finale.
Ma penso, se il cliente non ha sensibilità verso una diversa filosofia, ha senso cambiare approccio in modo così esplicito?
Se una persona per tutta la vita ha letto solo il giornale sportivo, presentarsi al suo cospetto proponendo saggi di letteratura può rappresentare una scelta poco vincente per un venditore.
Forse un quotidiano di sport commentato da grandi firme sarebbe un migliore compromesso. E magari un passo verso la crescita della persona.
Tuttavia ti auguro un secondo step dell’idea assolutamente creativo e performante.
24-6-2013 Paolone
Carissimo Osvaldo, ti saluto con sincero affetto.
Arrivo tardi su questo tuo articolo e sui commenti conseguenti proprio perchè alle tue conclusioni ci ero già arrivato da tempo ed avevo quasi abbandonato la rete, scaduta oltre il livello del bar e oramai in competizione con la riunione condominiale. Così è il mondo e non cambierà mai, non ci si può stupire più.
Mi complimento con Te per la splendida relazione di contenuto, condivisa da me in tutti gli aspetti. Stavo appunto pensando di scriverla io, a difesa di tutti gli amici che ho conosciuto in rete e negli eventi, per dire loro di fuggire dalla paranoia dei circoli di appartenenza, che sono peggio di un carcere, perchè almeno lì, alla fine, qualcuno si preoccupa di darti una sistemazione mentre quì perdi il tuo tempo per niente.
Non l’ho fatto per il timore di eccedere e di offendere, perchè quando si dice la verità, essa colpisce sempre qualcuno, tanto più laddove le cose non vanno per causa di questi. Grazie quindi per avermi anticipato e complimenti per la misura con cui hai espresso giudizi severi.
Temo però, caro Osvaldo, che tu non riuscirai a risolvere il problema; ti auguro ovviamente il massimo della fortuna, soprattutto personale, ma temo faticherai quanto prima. Un plauso lo meriti per il coraggio e la determinazione, ma non credo ti potrà bastare una targhetta celebrativa.
Il problema sta più su,sta nell’organizzazione sociale; in altre parole nella politica. Nessuno, sono convinto, nessuno può far nulla, se le forze primarie in campo politico contunueranno a lasciare il caos competitivo e organizzativo che c’è adesso. Non darò la mia soluzione, perchè non voglio fare in questa sede, e tanto meno in rete, un discorso politico; aggiungerebbe solo polemica. Ma leggendo gran parte dei commenti espressi si capisce che il problema sta lì.
Perchè è nata la discussione sul “success fee” ? perchè qualcuno ha interesse brutale a stare da una parte e qualcuno dall’altra, nell’ambito di una giungla selvaggia priva di ogni valore formale e, quindi (ripeto, quindi) morale.
Perchè qualcuno difende l’operato internazionale ? Un pò per il vizio italiano di disfattismo nazionalista, ma anche perchè, se pur parzialemnte, nei paesi del nord (in quelli latini non è mai vero) una certa morale è rimasta e, condivisibile o meno che sia, costituisce sempre un punto di riferimento su cui ruotano i fattori circostanti, cosa che facilità, indirizza e moralizza i ruoli professionali.
Da noi questo non c’è più. l’economia è nella mani di improvvisatori arrivisti e la conseguenza e sott’occhio di tutti. In questo contesto, il povero recruiter è colui che nel tempo delle vacche grasse ha colto una opportunità di mercato semplicemente facendo il passacarte al posto di chi era troppo occupato ad accrescere il proprio business. E’ evidente che il poveretto, in condizioni di recessione pilotata dai governi, ha ben pochi poteri da esercitare sul mercato. Professionalità ? Ma quale ? Io, che vanto quarant’anni di esperienza trasversale su tutti i settori industriali, ho incontrato alcune persone gentili e disponibili, secondo me i migliori della piazza, e non ne ho trovato uno che fosse in gado di capire che cosa io avessi fatto e cosa potessi fare. Sarà mai in grado costui di vendere ad una azienda i miei potenziali ? Ed ecco da dove nasce il ping pong che ti ha abbattutto. L’azienda che si affida ad un recruiter prende una cantonata con precentuale altissima, (le statistiche portano a dire che è il C… e non la professionalità che assegna la persona giusta al posto giusto (preciso, la prola con la C… era “Caso”)), e tu lo sai bene perchè questo concetto è stato confermato in diversi meeting allargati ai manager d’impresa, cui abbiamo partecipato entrambi. Ne consegue che l’azienda non si fida più nemmeno del recruiter e, con la forza competitiva del “jungle power” impone condizioni capestro, nelle quali il recruiter non guadagna, e se non guadagna non lavora più di tanto, affidandosi più al C… che ad una professione che non ha mai conosciuto, nella piena convinzione, tra l’altro, che dopo due mesi l’azienda di quel tipo scopre sempre i dipendenti che si erano nascosti. In verità, lo sai benissimo, l’azienda sapeva bene di avere quei dipendenti parcheggiati, ai quali non avrebbe mai voluto affidare l’incarico, ed ha usato il recruiter nella forma “success fee” per cercare un miracolo che…guarda caso, non c’è mai. E allora, visto che ce l’ho lì che non fa niente, affido il compito al mio dipendente, che così ho meno grane coi sindacati. Era già nell’intenzione iniziale, lo sai bene, si trattava solo di averne conferma formale, a paramento del C…(questo è l’originale) del direttore del personale, che pur ha le sue grane con L’AD.
Un piacevole detto mi riportò un collega tempo fa…lo sapete che differenza c’è tra un ragazzo di vent’anni e uno di cinquanta ? Che a vent’anni cerchi tutti i defetti di una donna, mentre a cinquanta cerchi tutti i pregi ! Ecco, le aziende oggi sono nella condizione del ventenne; possono scartare. E in amore lo sai bene, non c’è etica che tenga.
Abbiamo una unica speranza, carissimo OSVALDO; che finisca il bottino sociale da rubare. Quando non ce ne sarà più, come succede sempre, si moralizzerà l’ambiente per ripartire e lì riprenderà peso la professionalità. In quella circostanza, una pagina di storia ricorderà forse che DANZI aveva indicato la strada per primo e per primo si era immolato sull’altare dell’etica. Ma fino ad allora sarà molto dura, credo sinceramente.
Ti riconosco comunque un grande coraggio e una lodevole sincerità e ti auguro, con tanta amicizia, che la tua iniziativa ti porti successo e soddisfazione. To offro volentieri una mano d’aiuto, se possa servire.
Un abbraccio carissimo
Silvano Martini
Mi hai ispirato un post 🙂 http://www.gasparotto.biz/2013/07/consulenti-e-commerce/
@Silvano
bellissimo commento! Ci si legge grande esperienza di navigazione… non sul web 🙂