La passione per la conoscenza, per il lavoro e per gli altri può essere realizzata ovunque e senza confini
Oggi voglio affrontare un tema particolare: il lavoro all’estero. Io sono convinto che lavorare in un ambiente internazionale ed avere la possibilità di andare per qualche periodo al’estero sia molto formativo per chi si cimenta. Durante il mio dottorato di ricerca, ad esempio, oltre ad aver lavorato ad un progetto Europeo con conseguente contatto con partner internazionali, ho avuto modo di passare tre mesi in Giappone come “visiting student” presso un laboratorio dell’università di Tokyo Hongo (nei paraggi del quartiere di Ueno). L’esperienza mi è rimasta impressa nel cuore e nella testa: oltre a mescolare le culture e scoprire cose da noi normali e da loro offensive e viceversa (ad esempio è maleducazione in Giappone soffiarsi il naso quando hai il raffreddore e quindi passano tutto il tempo a tirare su con il naso, l’opposto che da noi), a vedere l’ambiente universitario di un altro paese, di girare diversi laboratori sparsi tra Osaka, Nagoya, Tokyo e Sendai ho vissuto anche alcune esperienze di vita normale come un Capodanno. Il tutto pero’ con un ottica di rientro a casa dopo comunque un tempo certo.Anche oggi penso che andrei all’estero anche se per periodi di tempo limitati: la famiglia in fondo è ben radicata a Pisa e come potrei spostarla del tutto? E’ quindi con molta curiosità che ho seguito una vicenda che ha coinvolto un mio collega: un giorno ho saputo che andava all’estero ma senza la prospettiva di rientrare in Italia. Da un certo punto di vista la cosa mi ha sconvolto: un conto è un giovane scapestrato di dottorando (come ero io) che va via per un po’, un altro è un professionista ormai con esperienza che decide di prendere armi, bagagli e famiglia e lasciare le radici delle sue origini e andare all’estero. Dall’altra parte ho pero’ visto con interesse la possibilità perchè comunque permette (secondo me) di seguire le sue aspirazioni professionali meglio che se fosse rimasto in patria. Un delicato e difficile equilibrio di vita privata ed aspirazioni. Quindi, dopo qualche settimana che è andato via, giusto per dargli il tempo di ambientarsi, gli ho fatto una sorta di imboscata informatica mandandogli delle domande sull’argomento alle quali lui ha risposto. Di fronte a grandi problemi ognino deve prendere il coraggio delle sue scelte, penso che il mio collega ha scelto bene e sarei curioso di sapere da voi che leggete cosa pensate ad una situazione del genere. A freddo siamo tutti buoni…..
D.: penso che una cosa sia partire appena laureato per l’estero, un’altra sia andarci dopo alcuni anni di esperienza e con delle vicissitudini di vita privata ormai instradate (famiglia, amici, hobby). Tu come la vedi?
R.: Ci vuole una buona dose di incoscienza. Quando ormai ti trovi nella tua area di comfort, conosci i tuoi colleghi, hai una famiglia in cui la moglie lavora e la figlia di due anni si e’ affezionata agli amichetti dell’asilo, quando sembra che non ti manchi nulla, ecco che scatta il desiderio di cambiare. Come ha detto tante volte mia moglie, “mi manca la terra sotto ai piedi”, purtroppo questa è la mia natura, la mia indole, sperando di fare il bene della mia famiglia ho seguito l’istinto ed il fascino delle sfide un po’ complicate.
D.: comunque un giorno, al lavoro, Ti propongono di andare a lavorare all’estero. Cosa hai provato?
R.: Smarrimento e paura, mi son detto: ” sì vado in Svizzera e che cosa gli racconto?” poi ha fatto nuovamente capolino la parte razionale del mio mononeurone ed ho cominciato a valutare il ventaglio di possibilità che si sarebbero potute aprire, soprattutto per mia figlia Caterina, come imparare fin da piccola un’altra lingua.
D.: E poi la sera, a casa dai Tuoi cari?
R.: Grazie a Dio ho una moglie che ha ricevuto in dono l’intelligenza che manca a me e riesce a farmene assaporare un po’. Lei ha colto al volo il mio desiderio malcelato di provare a fare quest’esperienza. Se oggi tutti e tre siamo a Losanna credo che il merito sia di mia moglie, senza il suo sacrificio di lasciare il lavoro per seguirmi in questa avventura e senza la sua determinazione non credo avrei fatto il grande passo ed avrei convissuto con la mia ansia di uomo senza “terra sotto ai piedi”.
D.: Ed il giorno dopo, parlandone con i parenti stretti, come è andata?
R.: una tragedia, i miei genitori l’hanno presa come un tradimento e come un fallimento nell’educazione dell’unico figlio che hanno. Adesso, con molta difficoltà, hanno percepito che in fondo in questa scelta c’è anche del buono, ma proprio in fondo in fondo…
D.: Decidere di andare all’estero: scelta guidata piu’ dalle opportunità (coraggio di farsi una sorta di nuova vita) o dalle paure (rompere i legami)?
R.: Come già detto, da una sana incoscienza e dall’amore per la famiglia. La prima volta che sono venuto a Losanna è stato nel 2003 ed il mio primo pensiero è stato:” questo è proprio un bel posto dove far crescere un figlio” ed il secondo è stato “però viverci da solo dovrebbe essere uno strazio, troppo tranquilla”.
D.: Come Ti senti, ora che sei all’estero da qualche mese, da italiano scaraventato altrove?
R.: Sono appena tornato da Londra dopo una toccata e fuga in giornata e quando penso che qualche anno fa non mi sarei mai spostato dalle Marche,sono anche sicuro che mi sarei perso tante cose e tante persone che ho incontrato nel mio lungo pellegrinare e che mi hanno insegnato tanto. Mi piace la solidarietà e la cordiale ospitalità che ricevo dai connazionali, uno stile di vita sano che mi ricorda tanto i profumi e le atmosfere della mia infanzia, tanti anni fa, quando si potwva giocare per strada, potevi lasciare le chiavi nell’auto che tanto la ritrovavi al solito posto. A volte mi sento un po’ cane randagio a zonzo per la città che non conosco, però i cani randagi mi hanno fatto sempre un gran simpatia, felici per la loro libertà di muoversi, conoscere, annusare liberi dal guinzaglio, con tanti momenti di affetto ma senza la figura onnipresente e rassicurante del padrone.
D.: La sorpresa piu’ bella che hai trovato nella tua nuova realtà?
R.: L’educazione delle persone, ti salutano anche se non ti conoscono e l’attenzione per i bambini. In tutti i parchi ci sono tantissimi giochi per loro e l’accoglienza che ricevono quando li porti al ristorante. Un Paese che coccola i bambini mette delle solide basi per il futuro.
D.: E la cosa che ti è piaciuta meno?
R.: La burocrazia e un po’ di rigidità mentale degli svizzeri, dopo 40 anni vissuti da italiano non ci si può improvvisare svizzeri in 2 mesi…
D.: Cosa ti senti di dire ai giovani italiani che cercano con difficoltà un lavoro in patria riguardo l’andare all’estero?
R.: I ragazzi debbono seguire i loro sogni e poi quando si inizia a viaggiare ci si rende conto che si diventa meno nazionalisti e più “terrestri”, la passione per la conoscenza, per il lavoro e per gli altri può essere realizzata ovunque e senza confini.
D.: Ultima domanda: c’e’ un oggetto che Ti sei portato dall’Italia e che non avresti rinunciato per nulla al mondo? Perchè?
R.: Il mio maggiolino, ero sul punto di venderlo, poi ho deciso di metterlo alla prova sulle salite che portano al traforo del San Bernardo. Nonostante il piccolo motore da 75 cavalli e la massa di 14 quintali aggrediva le salite con lo spunto di una fuoriserie- Questa macchina mi assomiglia mi sono detto, con questa grinta si merita di carburare un po’ di aria fresca della Svizzera.