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L'approccio Lean nel Centro Italia: Ma io voglio diventare "snello"? Seconda parte della storia: Toyota.

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Toyota è l’azienda campione della lean production; i tecnici e gli esperti giapponesi parlano di kaizen (kai = cambiamento; zen = miglioramento); a me piace parlare di miglioramento continuo. Dopo la seconda guerra mondiale, il Giappone, provato da un vero e proprio disastro economico susseguente alla sanguinosissima sconfitta, dalle atomiche di Hiroshima e Nagasaki, stretto nella morsa tra i grandi vincitori (gli USA) e gli ingombrantissimi vicini (Cina ed URSS), doveva ripartire da capo, per tornare un paese industrializzato degno di questo nome.
Come fare? Prima di tutto copiando; chi di noi ha superato gli “anta” ricorda benissimo che prima della Toyota Celica vincente nei rallies, dei lettori CD e della Playstation, tutte le produzioni giapponesi erano considerate brutte copie di qualcosa di occidentale: le auto, le macchine fotografiche, le moto (!?), gli orologi, l’abbigliamento, perfino i cartoni animati! Inoltre, i giapponesi ebbero l’accortezza di ascoltare i buoni consiglieri: gli americani mandarono molti consulenti ed esperti, magari ingombranti in patria; tra questi Deming, campione assoluto di metodi statistici applicati all’industria, padre del TQM, più osannato nel paese del sol levante che in quello delle stelle e delle strisce. Si sforzarono anche di comprendere veramente gli errori propri e dell’industria occidentale e poggiando su queste basi nacquero le esperienze kaizen della Toyota e di altre grandi e piccole imprese.
Da queste esperienze si sono sviluppati tantissimi temi e strumenti. Prima fra tutti la partecipazione attiva degli operai e di tutto il personale ai processi di cambiamento e miglioramento: chi meglio di colui che compie tutti i giorni la stessa sequenza di operazioni può dare suggerimenti per renderle più efficaci, riducendo il rischio di scarti ed i tempi di lavorazione? Più in alto si sale nella catena gerarchica più devono essere garantiti l’impegno per il cambiamento e la disponibilità ad eliminare gli ostacoli; ma le soluzioni operative arrivano dal basso. Poi il Just In Time (JIT): perché riempire di scorte gli stabilimenti, ingrandire i magazzini, i piazzali, spendere valanghe di soldi in immobilizzi ed interessi passivi? Molto meglio riorganizzare il sistema di forniture e consegne, anche all’interno di uno stesso stabilimento, facendo in modo che i materiali arrivino dove servono, quando servono ed in quantità ridottissime (un’ora di lavoro, un turno, un giorno: non di più; non l’equivalente di mesi di scorte). Il kanban (letteralmente cartellino): un semplice sistema di identificazione può far sì che, pur con scorte minime, non manchi mai ciò che serve alla postazione di lavoro; in questo sistema si possono coinvolgere i fornitori, i corrieri ed i propri magazzinieri e carrellisti. Lo SMED, metodologia per ridurre a pochissimi minuti i tempi dei cambi delle attrezzature, necessari a produzioni di serie variegate, incrementando drasticamente il tempo disponibile delle macchine e guadagnando in capacità ad INVESTIMENTI ZERO. E potremmo continuare.

Quali sono i grandi benefici dei sistemi lean e di miglioramento continuo?

La riduzione delle scorte di cui abbiamo parlato sopra dà indubbi benefici finanziari (qualsiasi attività facciamo, ricordiamo che il CASH FLOW deve essere sempre al primo posto: senza liquidità ci si ferma e si muore!) ma dà anche benefici qualitativi (si pensi ai minori costi di una selezione su pochi pezzi, piuttosto che tra una montagna degli stessi), rende disponibili spazi (che hanno un valore ed un costo) e migliora anche l’ordine e l’aspetto dell’ambiente (particolare non irrilevante per chi riceve spesso visite di clienti o altri ospiti).
Tutte le attività lean sono volte a ridurre gli sprechi: non fare operazioni che non danno valore aggiunto, ridurre gli spazi, ridurre i controlli e gli scarti (sembra una contraddizione ma i risultati di migliaia di esperienze sono lì, a dimostrare la fattibilità), ridurre il ricorso a risorse esterne o temporanee, poco specializzate, ridurre i consumi di tutti i materiali indiretti (dai fluidi di funzionamento delle macchine agli utensili, ai guanti, ai grembiuli ed agli altri dispositivi di protezione), ridurre i consumi energetici, ridurre i tempi morti, migliorando i tempi di attraversamento dei processi ed avendo un ulteriore beneficio sul capitale circolante.
L’applicazione dei principi lean porta a prevenire, piuttosto che “curare” quando i danni sono fatti, riducendo i costi di manutenzione.
Le attività lean portano consapevolezza ed aumentano l’orgoglio di svolgere il proprio lavoro; acquisiscono consapevolezza gli imprenditori ed i top managers, che capiscono quanto sia grande la “fabbrica nera” (quella che non produce ma consuma e spreca) e quanto siano grandi gli spazi di miglioramento, per un migliore posizionamento del business; diventano più consapevoli i quadri ed i livelli intermedi (generalmente i più difficili da convincere: “Ma se abbiamo sempre fatto così, perché dobbiamo cambiare? Perché lo dice un consulente che non ha mai tornito un pieno di alluminio con lo 0,25% di stronzio?”) che possono capire quanto le loro idee, combinate con quelle degli operativi possano far progredire l’azienda e rilanciarne la competitività; diventano più consapevoli ed orgogliosi i diretti, che apprezzano i cambiamenti fatti anche sulla base dei loro suggerimenti e delle loro esperienze e che, dopo la diffidenza iniziale (“Ma se diminuisce il tempo ciclo, diminuisce il fabbisogno di manodopera e qualcuno di noi sarà licenziato…”) capiscono di lavorare in un sistema rinforzato e che resisterà meglio agli attacchi della concorrenza globale. Qualche volta migliorano anche le relazioni sindacali (dopo resistenze, diffidenze e lotte dirette o subdole iniziali) e magari si arriva anche a sistemi innovativi di contrattazione di secondo livello.

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