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L'approccio "Lean" nel centro Italia: Ma io voglio diventare "snello"?

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Iniziamo con questo articolo una serie di interventi tecnici su alcuni argomenti di cui spesso sentiamo parlare, ma chi non è addetto ai lavori, non sempre riesce a capire. FdR ha creato alcune “aree Specifiche” proprio per affrontare in maniera aperta e chiara tali argomenti. Giorgio Pellegrini presiede “l’area Operations & Technicals” di FiordiRisorse

PRIMA PUNTATA

Lean = Snello. Questo potrebbe essere il semplice inizio di una conversazione sull’argomento lean production, lean manufacturing, lean enterprise, lean thinking.

Lean manufacturing, lean thinking, lean Six Sigma, kaizen, continuous improvement, operational excellence, TPM, 5S, SMED, OEE, JIT, kanban, andon, gemba, 4M, 7W, PDCA, Ishikawa, Pareto… potrebbe essere un inizio alternativo, un po’ più da tecnici, da addetti ai lavori.

Torniamo all’incipit più semplice: Lean = Snello; ci occuperemo di tutte le altre definizioni e sigle in futuro, con calma, a piccole dosi: anche l’elefante va mangiato a piccoli bocconi! Chi ha cominciato a parlare di produzione snella e di aziende snelle? Chi sono i maestri? Quali sono i vantaggi e gli svantaggi? Perché un’azienda dell’Italia centrale dovrebbe interessarsi ai concetti ed alle metodologie lean?

Partiamo con un po’ di storia, senza farla lunga.

L’avvio in grande stile dell’industria del XX secolo si fa risalire al binomio Ford – Taylor (il magnate dell’industria dell’auto ed il più noto studioso di metodi di lavoro di tutti i tempi) che, oltre un secolo fa, sperimentava (ed attuava, soprattutto!) nell’industria automobilistica i concetti ed i metodi della produzione di massa, rivolta ad un mercato di massa in continua espansione. Lunghissime catene di montaggio, estrema parcellizzazione delle operazioni da eseguire, ripetitività delle stesse (chi non ricorda lo strepitoso Charlie Chaplin di “Tempi moderni”?), tempificazione di tutte le micro operazioni, attraverso attente analisi, cronometro alla mano. Che dire: tutta roba preistorica, da buttar via? Direi di no: tutta la grande industria occidentale è cresciuta basandosi su questi concetti, studi, sperimentazioni ed attuazioni; ed oggi viviamo in case normalmente confortevoli, con elettrodomestici, svaghi, ci muoviamo su auto e moto che quasi amiamo, abbiamo a disposizione giochi per grandi e piccini, dischi, dvd, arredamenti industriali, cibi preconfezionati, farmaci anche nei paesini più sperduti… il progresso, insomma.

Ma allora, perché qualcuno si è preso il disturbo di studiare metodologie alternative per le produzioni industriali? Beh per diversi motivi: gli spazi disponibili, l’accorciamento dei tempi di sviluppo e di attraversamento dei processi, la riduzione degli scarti, la riduzione delle scorte, la riduzione dei costi in generale, il cambiamento nei rapporti tra “padroni”, managers e lavoratori, le diverse esigenze di consapevolezza e motivazione di operai, impiegati, middle e senior managers.

(segue)

9 Commenti

  1. Ciao Giorgio, se vuoi posso portare una testimonianza sull’introduzione della Lean in azienda. Un momento di cambiamento introdotto “dal basso” che ha modificato gli schemi aziendali e introdotto nuovi concetti e logiche organizzative. Un esperienza vincente sempre ad una condizione: “Persone al centro” per richiamare la filosofia alla base del nostro social network. Il valore aggiunto dato dalla Lean è: maggior organizzazione, fluidità nei processi, problem solving a tutti i livelli, celerità e prontezza nelle decisioni, recupero degli spazi, riduzione drastica del Lead time e delle ore dirette scaricate a commessa/prodotto, etc. Ma la condizione di partenza è la disponibilità dell’organizzazione (operai, impiegati e dirigenti) ad accettare il cambiamento senza pregiudizzi.
    A disposizione per approfondimenti.
    Adolfo

  2. Ciao Giorgio
    Anch’io sono un fautore dell’approccio LEAN, ed ho avuto modo di sperimentare i cambiamenti (migliorativi) che può portare in ogni organizzazione.
    Sono ingegnere ed ho studiato negli anni 80. Ho trovato assai sorprendente come, sebbene questi concetti fossero ormai diffusi all’estero da decenni(Giappone – USA) a quel tempo nelle Università italiane non se ne facesse menzione alcuna.
    Me li sono studiati pertanto (di notte) durante la mia esp. lavorativa ed è stata quasi una rivelazione: finalmente la quadratura del cerchio!

    Tuttavia concordo con Adolfo che la loro introduzione nella Aziende non è per niente facile per via delle resistenze ai cambiamenti, delle prassi consolidate ecc. Per questo la prima condizione da ricercare e realizzare è il commitment della Proprietà, prima ancora della disponibilità al cambiamento di operai, impiegati e dirigenti.

    Aggiungo che gli altri strumenti che mi hanno aiutato di più sono stati la TOC (Theory of Constraints – Goldratt) ed il Pensiero Sistemico (La Quinta Disciplina – Senge).

    ciao

    Andrea

  3. Cari Adolfo ed Andrea,
    intanto grazie per le interessanti testimonianze dirette.
    Anch’io ho frequentato ingegneria negli anni ’80 (ci ho aggiunto anche un po’ dei ’90, per abbondare!), percependo un’assoluto stacco rispetto al mondo aziendale: in 29 corsi annuali, ricordo un solo professore che parlasse di normative e standard e nessuno che spiegasse cos’era una funzione aziendale o un organigramma. Spero che corsi gestionali, logistici, produttivi odierni siano un po’ più vicini al mondo “vero” del lavoro.
    L’argomento del commitment è assolutamente centrale: i titolari di un’azienda o i top managers possono circondarsi dei più brillanti esperti e consulenti mondiali ma se non sono convinti in prima persona “ghe n’è minga!”, direbbero a Milano!
    Nel seguito dell’articolo, troverete considerazioni su questo aspetto ed anche qualcosa di interessante su esperti americani e giapponesi.

    Un saluto,
    Giorgio

  4. Ciao a tutti,
    argomento tanto interessante quanto complesso!

    Inizio confermando la tendenza dell’istruzione Italiana a non progredire di pari passo con i tempi e quindi ad oggi l’introduzione del lean avviene ma non ha sicuramente colmato il tempo perso nei decenni scorsi.

    Il mondo Lean l’ho studiato da solo con corsi specialistici e soprattuto di notte e man mano che ci si avvicina a questa filosofia ci si accorge quanto possa essere realmente startegica e tattica, ma ……

    Il punto di partenza, a mio avviso, è sempre la storia il passato, capendo questo possiamo imbastire le azioni per il cambiamento di domani.
    Non siamo Giapponesi e nemmeno Americani, l’Italia ha una storia ben maggiore di qualche centinaia di anni soprattutto se parliamo di “produzione”.
    Ne Giapponesi Ne Americano sanno o hanno mai avuto una storia artigianale come quella Italiana e questo è l’aspetto centrale: positivo e negativo in questo contesto.
    Positivo in quanto questa storia ha permesso all’Italia di caratterizzare così fortemente il Made in Italy, negativamente in quanto senza accorgersene ci siamo legati e fossilissati su alcuni aspetti ormai superati nella gestione aziendale.

    Per spiegare meglio il mio pensiero/approccio al LEAN vi giro alcune domande:
    -chi sono le aziende che si avvicinano alla filosofia LEAN?
    -perchè la PMI Italiana è ben lontana da questo “cambiamento”?
    -perchè i precursori di tutto sono stati i Giapponesi?
    -perchè in Italia la formazione (privata e pubblica) non è valorizzata e ricercata?
    -perchè in Italia, e non solo, ci si avvicina ad un cambiamento solo nel momento del bisogno?

    Dopo 10 anni di esperienza nelle aziende Italiane, dove per Italiane intengo con management Italiano e non aziende comprate da multinazionali o altro, ho maturato questo concetto (frose un azzardo): riorganizzare e cambiare con l’obiettivo della LEAN e non utilizzare la LEAN come base di partenza per il cambiamento.

    Sarebbe bello poterne parlare con più interazione, dibattito e tempo

    Ciao
    Simone

  5. Caro Simone,
    anche il tuo intervento è molto bello e meritevole di approfondimenti.
    Come evidenziato da Osvaldo Danzi, da qualche parte, potrebbe davvero esserci l’opprtunità di un dibattito sull’argomento, in un evento FdR; intanto sfruttiamo la tribuna virtuale.
    Alcune delle tue domande troveranno risposte (o almeno le mie interpretazioni) nel seguito dell’articolo. Anticipo solo che, al di là della storia (importantirssima per capire il presente di un’azienda ed il contesto in cui opera) sono assolutamene convinto che nell’approccio LEAN c’è così tanto buon senso e così poca fisica quantistica o biologia molecolare (con tutto il rispetto per queste scienze fondamentali) da poter essere applicato in qualsiasi contesto organizzativo: dal negozio della parrucchiera alla GE, dal Giappone al Bangladesh, da Piacenza a Crotone. Altro punto importante che ribadisco è il commitment manageriale (o degli imprenditori).
    Per quanto riguarda il concetto che esprimi alla fine del tuo intervento, ritengo che il metodo LEAN sia uno strumento (assolutamente ricco, articolato e da me propognato) ma non un fine in sé e per sé; ritengo anche che può essere non solo la base del cambiamento (in meglio, of course!) ma la guida continua che sostiene i processi di miglioramento e le fasi di cambiamento.
    Resto a disposizone; se vuoi, sul mio profilo in Linked in trovi anche la mia mail.

    Un saluto,
    Giorgio

  6. Cia a tutti,
    vorrei portare la mia piccola esperienza e le ripercussioni aziendali di un inizio di “approccio lean” presso la struttura dove da poco opero. Vi parlerò di termini di mio uso/che ho carpito quà e là da clienti/fornitori ed auditors in quanto non ho mai fatto né una formazione tecnica (sono laureato in economia e commercio) né corsi di lean…forse perché anche se giovane, ho quasi sempre operato molto all’estero e non sono mai stato molto tempo in Italia. Nonostante la mia formazione economica, mi sono ritrovato ad operare, nella mia pur breve carriera, sempre in produzione.
    Non parlerò delle altre attività messe in piedi con gli operai in vari reparti (attività che potrebbero essere ricomprese sotto l’ombrello del termine “lean”) ma vi parlerò dei risultati ottenuti tramite l’adozione delle 5S in un reparto di serigrafia.

    Azienda: opera nell’ elettronica con un reparto di serigrafia
    Prodotti dell’azienda: Dial Plates; Elastomeric keypad; High quality printed 3D formed foil applications; Membrane switches and graphic overlays; Membrane switches with integrated SMT components.
    Mercati: tutti (avionico, automotive, medicale, industriale, militare, etc etc)
    Dipendenti: 75

    Dopo aver effettuato un’analisi di pareto delle difettosità, sono andato ad aggredire la prima causale (ad ancona si dice “dove sta la ciccia”, chi è più professionale e con più esperienza della mia direbbe “il collo di bottiglia…”). La causale di scarto era la mancanza di vernice / grumi incastrati nella vernice (corpi inglobati che creano difetti estetici – scarto).
    Causa: Sporco che si depositava nella vernice / sui fogli
    Siamo partiti utilizzando la tecnica delle 6M (macchina, metodi, etc etc), andando in profondità sulle cause alla base di questo sporco depositato sugli articoli utilizzando la tecnica dei 5 perché ed andando a verificare passo passo gli articoli durante l’attività di trasformazione (dell’attraversamento dei prodotti dal magazzino all’ispezione finale); facendo ispezioni interne dei macchinari; etc etc con gli operatori del reparto abbiamo elencato le attività da intraprendere. Alcune attività erano di tipo strutturale (sostituzione rivestimenti di forni ed aggiornamento dei piani di manutenzione, copertura di alcune parti di macchinari perché ricettacolo di sporcizia; diminuzione del getto dell’aria compressa dalle pistole perché ciò provocava l’innalzamento della polvere presente al suolo; etc etc ma soprattutto pulizia del reparto…eggià, soprattutto la pulizia) altre di tipo metodologico (cambiamo quello che si fa).
    Cos’ho fatto? Essendo di estrazione economica (per me i numeri prima di tutto) ho elencato la lista delle attività, il costo di ciascuna di esse inserendo alla fine il beneficio atteso (ipotizzando, in modo precauzionale, una diminuzione del 20% dello scarto riferito alla causale sporco/impurità inglobato). Su base annua, fatto un beneficio atteso di 10 000 euro per abbattimento scarti del 20% di questa causale, ed avendo un costo di investimento per le attività da intraprendere di 5 000 euro (includendo sia il costo dei cambiamenti strutturali, che rimarranno in reparto, che il costo della manodopera per le attività di pulizia). Con un payback così allettante, chi non aprirebbe il portafogli? Sono state poi condivise le attività / tempistiche / responsabilità in reparto usando il file allegato.
    A parte le attività strutturali (eseguite con il reparto manutenzioni) la grande attività era quella del cambio delle abitudini.
    Queste le tappe:
    – audit sulle 5S raccogliendo materiale fotografico. Esito: catastrofico
    – formazione in aula a tutto il reparto di serigrafia + i capi reparto degli altri reparto, sulle 5S (prendendo del materiale di un corso che ho seguito quando ero a lavorare in Cina, fatto da un auditor di General Motors all’interno del mio plant)
    – al termine del corso ho mostrato i risultati con le foto, facendo riferimento sempre alle tematiche viste durante il corso
    – assegnazione di capi progetto di ogni reparto per le 5S
    – bonifica delle aree con le tecniche viste durante la presentazione (non ho usato i cartellini rossi ma solo la tecnica: “è qualcosa che ti serve? Quand’è stata l’ultima volta che lo hai usato? Ti serve tutti i gironi? Tutte le settimane?” …eliminando quindi il superfluo).
    – creazione di strisce sul reparto per la determinazione degli spazi ed il rispetto delle aree
    – inserimento in ogni reparto di un planning di pulizie / attività da fare a fine settimana
    – monitoraggio delle attività condivise per chiudere le nc dell’audit 5S
    – chiusura delle NC con ripetizione dell’audit. Esito: positivo
    Non parlerò dei risultati ottenuti con gli operatori (coinvolgimento, voglia di dare il contributo, etc etc) ma di quelli quantificabili:la prima causale di scarto è diventata la quarta con un abbattimento degli scarti del 57%, scarti che sono costanti e non un fenomeno “pirotecnico”.

    Ora che sono qui in Italia senza previsioni di espatri (perlomeno nell’immediato) ho deciso di approfondire la tematica ed inizierò un corso lean six sigma con obiettivo di conseguire il Black Belt (titolo riconosciuto previa realizzazione di un progetto di saving importante). Se vorrete poi vi terrò aggiornati sia sulla formazione che sul progetto.

    Buon We,

    Matteo

  7. Caro Matteo,
    il tuo intervento è molto interessante: caso pratico, dal quotidiano; importante per l’efficienza, l’efficacia e l’immagine dell’azienda.
    Alcuni aspetti che hai citato sono descritti nel seguito dell’articolo: intanto l’applicabilità anche in realtà delle nostre aree (non serve “l’aria” di Tokio, di Cleveland o di Sao Paulo, per citare anche un’area emergente); poi l’applicabilità in realtà medio piccole; il kaizen non è riservato a Toyota ed il Six Sigma non è riservato a GE e Motorola; e poi il coinvolgimento, vera chiave del successo, portatore di energie e motivazioni insospettate ed insospettabili, fino a che non si entra in queste pratiche.

    “Stay tuned” per il seguito e sarà interessante ricevere anche tuoi aggiornamenti.

    Ciao e grazie,
    Giorgio

  8. Nel regno dell’impresa Zenda è capitato un turista di nome Snello, abilissimo con la spada a tagliare le scorte. Snello è sosia del principe Flessibile, erede al trono che viene rapito. Con l’aiuto dei lealisti, Snello sventa il piano di impadronirsi del regno da parte dei rapitori.
    Una volta sul trono, Flessibile assume di volta in volta forme cangianti. Ora veste i panni di Abilità per aggiustare, in sintonia con Snello, i volumi della produzione. In un’altra circostanza impersonifica Svelto che cambia il mix produttivo nel basket dei prodotti e modelli. Nel ruolo di Kinesis muova la produzione da un sito ad un altro. E nella parte di Cronos riconfigura il timing della produzione.
    Flessibile, grato a Snello, lo coinvolge in tutte queste molteplici attività. Insieme scrutano l’orizzonte dei cambiamenti: nella domanda, nei salari, nelle tasse, nei costi di trasporto e nei tassi di cambio e così via.

  9. Caro Professore,
    sono assolutamente onorato di questo intervento: i personaggi di questa “fiaba aziendale” descrivono in maniera divertita e non banale la forza che le idee possono portare nel modo di lavorare.
    Il mestiere che sto facendo è volto ad aiutare le aziende con cui collaboro a migliorare; dopo aver seguito il suo intervento all’Ikea di Bologna, a giugno, dopo aver letto alcuni stralci nel sito

    http://www.intentac.org

    ho continuato a farmi domande su miglioramento e cambiamento; volevo non accontentarmi del miglioramento; speravo che anche in un mestiere in cui si lavora su prodotti, processi ed organizzazioni esistenti, anche da lungo tempo, fosse possibile attuare miglioramento E cambiamento. Avevo dubbi, temevo di rimanere confinato nell’utile miglioramento senza accesso al GRANDE cambiamento. Ebbene questa breve, divertente, non banale fiaba mi aiuta a vedere meglio: se si affronta il miglioramento con determinazione e perseveranza, si possono anche gettare le basi del CAMBIAMENTO.

    GRAZIE PROFESSORE!
    Grazie per questo contributo che è come vuole essere FdR: interessante e divertente, anche quando si parla di cose serissime e mai banale.

    Cordialmente,
    Giorgio

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