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L'Italia è una repubblica fondata sullo stage?

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La provocazione, lanciata qualche tempo fa dal giornalista Beppe Severgnini, non è peregrina: il numero degli stagisti nelle imprese italiane cresce di anno in anno con percentuali a due cifre (erano 228mila nel 2006, sono saliti a 305mila nel 2008), e ormai Internet pullula di annunci che propongono stage per imparare a fare la commessa, il centralinista o addirittura l’addetto alla pompa di benzina. A pensar male si fa peccato ma qualche volta ci si azzecca: lo stage è diventato per alcune aziende il gradino sotto il precariato. Un contratto che permette di avere manovalanza senza dover pagare stipendi e contributi, massima libertà in entrata e in uscita, controlli quasi inesistenti. Le imprese che decidono di usare gli stagisti come dipendenti gratis, oltre a violare la legge, fanno però un danno triplo: prima di tutto ai giovani, cui mettono a disposizione (quando c’è) solo qualche briciola di formazione pretendendo in cambio tempo, energie e dedizione. In secondo luogo fanno concorrenza sleale ai competitor, perchè grazie agli stagisti riescono a diminuire in maniera truffaldina i costi del personale. E infine danneggiano se stesse, perchè questa strategia premia solo nel breve periodo: investire sul capitale umano, formando le nuove risorse e poi inserendo le più capaci in organico, è una scelta molto più lungimirante.
La testata online Repubblica degli Stagisti (www.repubblicadeglistagisti.it) che da due anni è sul web uno dei punti di riferimento per i giovani che entrano nel mercato del lavoro, agisce per incentivare le «buone pratiche stagistiche», rivolgendosi invece a tutte quelle aziende che invece utilizzano in maniera corretta lo strumento dello stage, dimostrando rispetto per i giovani e «dando» in maniera proporzionale a quanto ricevono.
Nella Carta dei diritti dello stagista la Repubblica degli Stagisti ha riassunto i nove criteri fondamentali perché uno stage sia buono e utile. Per esempio che ogni stage debba avere una durata adeguata al progetto formativo e sopratutto alle mansioni da apprendere; che gli stagisti debbano percepire un rimborso spese adeguato, per non doversi pagare la formazione di tasca propria; che non debbano essere utilizzati per rimpiazzare personale in malattia, maternità o ferie; che debbano essere alle prime armi e quindi giovani, non trenta-quarantenni. Principi che a parole tutti difendono, ma che purtroppo qualcuno poi dimentica.
Ogni azienda può decidere di impegnarsi in prima persona per diffondere questa cultura dello stage, aderendo all’iniziativa del Bollino OK Stage: sottoscrivendo cioè la Carta dei diritti dello stagista e impegnandosi a rispettarne i criteri. Il progetto trova anche rispondenza nel concetto di «Corporate social responsability»: le imprese socialmente responsabili sono quelle che decidono di andare oltre le prescrizioni minime e gli obblighi giuridici derivanti dai contratti collettivi per rispondere alle esigenze della società. In questo caso, andare oltre la legge Treu e il d.m. 142/1998 (oltre che alcune normative regionali) per tutelare maggiormente i propri stagisti.
Il Bollino OK Stage innesca un circolo virtuoso: le aziende aderenti pubblicano sul sito informazioni sulla loro attività e annunci di ricerca stage, guadagnano visibilità e associano il proprio marchio a buone opportunità formative e occupazionali; per i giovani il sito diventa uno spazio protetto per stare il più possibile alla larga dagli stage-truffa.
Ad oggi già una ventina di aziende hanno aderito all’iniziativa: multinazionali, case farmaceutiche, società di consulenza, ma anche piccole e medie (e addirittura micro) imprese. Tra loro anche molte dell’Emilia Romagna: Varvel, azienda bolognese che progetta e realizza riduttori e variatori meccanici di velocità, con 75 dipendenti e un fatturato al 2008 di 26,4 milioni di euro, che ospita ogni anno due-tre stagisti; Guaber, che a Funo di Argelato (in provincia di Bologna) ha 85 dipendenti e una media di 4 stagisti all’anno; e i colossi G.D e Chiesi Farmaceutici, rispettivamente 1600 e 1270 dipendenti, che ospitano ciascuno una quarantina di stagisti all’anno.
Insomma il punto non è quanti stagisti un’impresa ospita, ma come li tratta: che siano uno o che siano cento, l’importante è che investa davvero sui giovani offrendo percorsi di stage interessanti e utili – e che lo dimostri coi fatti, aderendo all’iniziativa del Bollino. La Repubblica degli Stagisti ha lanciato il guanto di sfida: qualche altra azienda è disposta a raccoglierlo?

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