Interviste

Project MANNAGGIAMENT: intervista ad Enzo Memoli

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Enzo Memoli, consulente e docente di Project Management, ha un approccio unconventional alla formazione manageriale, un approccio centrato sull’intelligenza emotiva e sulla comunicazione multi-livello.  Collabora attivamente con l’Istituto Italiano di Project Management e con l’Associazione Italiana per la Direzione del Personale.

Speaker e moderatore in eventi formativi di rilievo (Forum della Pubblica Amministrazione, Forum Italiano del Project Management, COMPA – Salone Europeo della Comunicazione, Ambiente Lavoro Convention, Euro PA, Risorse Comuni, OMAT, HR Forum, ecc.) fornisce metodologie “inusuali” per la gestione di progetti complessi e lo sviluppo delle competenze manageriali.

Lo abbiamo incontrato, in vista della lezione che terrà nel prossimo modulo del MUSTer (22 marzo in BPER a Modena), per comprendere qualcosa di più del suo metodo.

Enzo, il tuo approccio al Project Management è decisamente originale: come ti è venuto in mente?Mi sembra sia stato Bob Dylan a dire di aver cominciato a scrivere canzoni perché quelle che ascoltava non raccontavano le storie che lui avrebbe voluto sentire. Ecco, probabilmente non ho fatto altro che seguire la linea d’azione di Dylan. Ho cominciato, sei anni fa, a progettare e condurre workshop “out of the box” sul people & project management perché quello che ascoltavo in veste di partecipante ai vari meeting, forum e seminari specialistici sul PM non mi soddisfaceva, non rappresentava pienamente il mio mondo reale di vita aziendale.  Insomma tutto “bello ma non balla”! Tutto troppo made USA. Troppo rigido e freddo l’approccio incentrato esclusivamente su tecniche e strumenti.

Il project management non è solo questione di PERT, Gantt e budget! E’ soprattutto un modo di pensare ed agire incentrato sulle persone. E’ attraverso le persone che in azienda si fa project management. Su questo paradigma ho immaginato, sperimentato e collaudato un approccio formativo che fosse in grado di far “innamorare” le persone di questa metodologia di lavoro. Ovvio che la leva sulla quale operare non poteva che essere l’emozione. Un’emozione spinta, sostenuta e sottolineata dalla forza del sorriso e più in generale dalla piacevolezza, dall’informalità e dalle mie radici partenopee. Così è nato il mio primo workshop: Project MANNAGGIAMENT – il project management all’ombra del Vesuvio.

Fin dall’antichità l’uomo ha desiderato realizzare opere complesse, basta pensare alla costruzione delle Piramidi Egizie, della Muraglia Cinese, dei templi, anfiteatri e acquedotti romani, come abbiamo imparato a gestire progetti così articolati?
Mi permetto di dire che la domanda è tendenziosa e può essere anche facilmente strumentalizzata a fini politici. Le Piramidi Egizie, la Muraglia Cinese, gli anfiteatri e acquedotti romani appartengono a quella categoria di progetti che oggi chiamano “grandi opere” come la TAV, il Ponte sullo Stretto, i termovalorizzatori ecc. Ma noi veramente abbiamo imparato a gestire progetti così articolati?

Quelli del passato, appena richiamati, hanno avuto la “fortuna” di avere un unico grande committente che con una leadership oserei dire più che direttiva (o si fa l’opera o c’è il taglio della capoccia) ha ottenuto i risultati voluti. Oggi ringraziando il Buon Dio questa “fortuna” è venuta a mancare e la leadership democratico-partecipativa ispirata dalla e alla Stakehoders Theory produce situazioni dove o il progetto non parte o se parte si ferma a metà o se arriva alla fine il risultato è un lontano parente di quello ipotizzato in termini di costi e tempi! Tengo a specificare che non sono un “nostalgico”… mi limito ad osservare i fatti e talvolta a gestire progetti.

Quali sono, allora, gli elementi chiave di un buon PM?
Una buona conoscenza dell’ambito del progetto, ottima conoscenza delle tecniche e strumenti di project management e un’eccellente capacità di people management possono permettere al PM di “giocare d’anticipo”. Ecco un elemento chiave: giocare d’anticipo… un pò come Gentile su Maradona ai Mondiali di Spagna nell’82 e … magari si finisce per vincere la Coppa del Mondo.

E il ragù che cosa c’entra?
Il ragù c’entra, c’entra, come se c’entra! Ma non il ragù alla bolognese – nulla contro anzi è uno dei miei sughi preferiti- ma o’ rraù, quello napoletano. 0’rraù è una delle metafore di Project MANNAGGIAMENT più incisive che i partecipanti ai miei workshop portano via.

Però non voglio dire nulla di più, dò appuntamento al MUSTer per rivelare la sorpresa e, soprattutto, per svelare il “sapore” di un buon ragù di progetto.

Il fattore tempo è sempre critico, all’università tutti ci organizzavamo dividendo le pagine da studiare per i giorni che mancavano all’esame … e inevitabilmente “sforavamo” ed eravamo costretti a vertiginosi “rush finali”. Come gestire al meglio il tempo dei progetti?
Avendo una chiara ed analitica visione d’insieme. I Gantt, le timeline e i cronoprogrammi sono strumenti utili per tenere sotto controllo l’avanzamento delle attività nel tempo solo se poggiano su di un’efficace analisi dello sforzo collettivo che si deve compiere. La sindrome dello studente unitamente alla legge di Parkinson sono dati di fatto che il PM deve assumere come tali e incontrovertibili quindi: giocare d’anticipo… non aspettare gli eventi

Nella tua esperienza quali sono i rischi maggiori nella gestione di un progetto?
Obiettivi poco definiti e vaghi che portano a pianificazioni esecutive troppo frettolose e generiche. Di che sto parlando?

Siamo a Milano in piazza del Duomo e i mitici fratelli Caponi (Totò e Peppino) sono nel bel mezzo di un’impegnativa azione volta all’implementazione di un ambizioso progetto con finalità chiara e condivisa: riportare l’amato nipote sulla retta via dello studio universitario. Il tutto reso difficile dalla “sbandata” che il giovane ha per un’ammaliante soubrette dello spettacolo.

E’ il 1956 quando Camillo Mastrocinque dirige con maestria “Totò, Peppino e ‘a Malafemmina”, consacrando di fatto la coppia comica per eccellenza della commedia all’italiana. Può sembrare stravagante pensare che proprio una memorabile scena di quel film – per nulla osannato dalla critica del tempo ed oggi invece considerato un cult – ci aiuti a riflettere sul cosa vuol dire organizzare e gestire progetti in organizzazioni più o meno complesse. E sì, i fratelli Caponi, al tempo t con zero – come dicono gli ingegneri, quelli bravi che progettano – hanno ben chiara la mission del loro “progetto” ma poi, al tempo t con 1 – come dicono gli ingegneri quelli  buoni che ci sono ancora e non si sono “defilati” alla prima variante del piano –  si ritrovano in mezzo a  piazza del Duomo con le loro necessità operative, i loro concreti dubbi e umane debolezze.

Così, in mancanza di una seria pianificazione esecutiva che dia loro le indicazioni fondamentali, non hanno altra scelta che affidarsi a terzi e considerare legittima e ragionevole la famosa domanda che sempre più spesso riecheggia all’interno di project team troppo orientati alla fase del “do” e troppo poco sensibili a quella del “plan”: “Per andare dove dobbiamo andare… per dove dobbiamo andare?”.

Grazie Enzo, ti aspettiamo al MUSTer

2 Commenti

  1. Sante parole. Viene da sorridere. La pianificazione frettolosa fece i progetti instabili.
    Requisiti approssimativi e mutevoli sono la causa di fallimenti di progetti o di ritardi importanti con impatti economici altrettanto importanti.
    Il difficile è dover gestire risorse che sono sempre fuori dal proprio controllo, che si assumono i propri meriti ma che spesso fuggono, riuscendoci, dalle proprie responsabilità.
    Questo è il motivo perché spesso è il PM è l’unico che insiste nel pianificare, documentare requisiti e analisi tecniche e funzionali.

  2. Il mio primo progetto nacque da uno schizzo, un disegno a matita fatto su un angolo di tavolo, in fiera.
    Il mio primo progetto non sarebbe dovuto andare a buon fine ovvero “impossibile da realizzare” secondo i malpensanti.
    Il mio primo progetto fu “malgré tout” segnato dal rispetto delle persone, del loro lavoro, del Cliente, dei tempi di risposta e di produzione.
    Il mio primo progetto fu foriero d’innumerevoli litigate, ma anche di nuove durature conoscenze.
    Il mio primo progetto fu un gioco di squadra, in cui il valore dei singoli fu il vero “deus ex machina”.
    Il mio primo progetto era già “fuori dagli schemi” proprio perché era un “progetto”!

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