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Temporary Management: Opportunità o Minaccia ?

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Ciao a tutti, vorrei sapere cosa ne pensate del temporary management.
A mio parere, ci sono molte aziende in Italia, di dimensioni medie e medio-piccole, fortemente imprenditoriali, che potrebbero vedere nel temporary management una forma di “test” della managerializzazione della loro azienda.
Oppure aziende che non hanno bisogno di un manager a tempo pieno e che potrebbero prendere dei “manager in affitto” per la gestione di specifici progetti (es: start-up di area di business) o part-time (es: 2 giorni a settimana).
La differenza rispetto alla consulenza è proprio determinata dall'”azione”, cioè dal fatto che il manager in affitto FA, non semplicemente DICE cosa fare.
Quali sono i vantaggi per i temporary manager? Da un punto di vista merameente utilitaristico, avere una chance maggiore di ricollocarsi sul mercato in un periodo di crisi, in cui le aziende disinvestono piuttosto che investire in professionalità. Ma dal mio punto di vista soprattutto l’opportunità di operare in contesti diversi, stimolanti (manca la routine) e di avere un approccio imprenditoriale al proprio lavoro.
Certo, il rischio di una precarizzazione del lavoro anche ai livelli medi ed alti è dietro l’angolo….ma non è già così? Almeno ne prendiamo possesso e consapevolezza e prendiamo il lato positivo della cosa.
Personalmente, amo entrare in un ruolo quando è tutto da costruire più che ereditare qualcosa di già implementato.

Cosa ne pensate?
Annamaria

6 Commenti

  1. Buon interrogativo.
    Annamaria ha anticipato l’argomento che ad aprile discuteremo con la neonata società di FederManager dedicata proprio al temporary management.
    Credo che il primo interrogativo da porsi sia: quanto i manager italiani sono realmente disponibili ad una vita da “temporary”?
    Secondo: Quanto le aziende italiane conoscono le regole del “temporary”? Non è che per caso si pensa in questo modo di portarsi a casa anzichè un temporary manager un “dirigente interinale”?

  2. Ottimo spunto, caso vuole che giusto ieri io abbia incontrato un’azienda che si occupa di Temporary Management (TM) …
    Credo che il primo passo da fare sia usare una terminologia chiara e condivisa.
    Annamaria e Osvaldo delineano tre figure:
    1. Temporary Manager (quello “vero”, anche in base alle definizioni che si trovano sui siti delle società specializzate)
    si occupa di progetti definiti, con obiettivi e tempi stabiliti. Prende in carico un progetto, lo porta a termine e saluta …
    2. Manager part-time
    va in azienda 1, 2 giorni alla settimana, tipicamente opera in realtà piccole che non possono permettersi o non hanno necessità di figure a tempo pieno

    3. Dirigente Interinale
    temo che in questo momento di crisi e incertezza sia il più gettonato. Le aziende pensano di avere meno vincoli, i manager sono disposti a tutto pur di (ri)collocarsi. Non credo che questo approccio vada demonizzato ma chiamiamolo col nome giusto.
    Per intenderci una figura di Direttore Generale o Direttore Finanza non può essere un Temporary Manager secondo la definizione 1. Un Direttore Generale o c’è o non c’è.
    Alla prima domanda di Osvaldo vanno date quindi 3 riposte diverse in base alle definizioni date sopra.
    Nel caso 3 non si tratta di vero TM, quindi adattarsi è relativamente semplice.
    La soluzione 2 è probabilmente compatibile con un numero limitato di ruoli e richiede un cambiamento più radicale.
    La 1 è decisamente la più difficile, richiede un’età più matura e forse una visione disincantata (in senso positivo) della propria carriera.
    Per la cronaca, anche a me piace costruire/ricostruire e non sono più giovanissimo … quindi per un progetto sfidante ben venga anche la soluzione 1!

  3. Non starei ad inventarmi nuove definizioni visto che quelle che ci sono (legate al contratto) sono più che sufficienti.
    Il TM è un manager che viene in rapporto con l’azienda utilizzatrice (il famoso “utilizzatore finale” (:-) ) tramite una società terza che lo intermedia. Il TM fa il proprio contratto con l’intermediario, non con l’utilizzatore!
    In questo senso (ma solo in questo, almeno in teoria) è molto simile ad un lavore somministrato.

    Sempre in teoria, ci si aspetta che il costo per l’utilizzatore sia più elevato che per altre forme contrattuali, anche flessibili (tempo determinato, partita iva, contratto a progetto etc…). E’ più alto perchè c’e’ l’intermediario col suo fee, è più alto perchè c’e’ la flessibilità d’impiego, è più alto perchè l’intermediario si fa carico di tt una serie di rischi contrattuali (fra cui la sostituzione-rapida in caso di una serie di tipologie di problema).

    Cosa succede in pratica?
    Per sentito dire: il mercato è limitato in Italia (1000 posizioni anno ?), forse perchè la modalità non ha ancora preso piede.
    Remunerazioni? non so, ma spero che la qualità abbia ancora un valore e quindi si sia disposti a pagarla. Se non è cosi, allora avremo proprio il “manager somministrato”

    E qui arriviamo alla disponibilità dei manager “a mettersi in gioco”.
    Parlo per me. Ho il mio bel lavor a tempo indeterminato ma, visto che mi piace lavorare per progetti e mettere ordine dove fino a poco prima prolifera una meravigliosa e bricoleur anarchia, mi piacerebbe molto mettermi in gioco.
    Ma sempre poiche’ sono un manager, farei il mio bel business case e pur assumendomi un 20% di rischio, non mi metterei (proattivamente almeno) a giocare da interinale-senior e su un mercato di 1000 posizioni anno (su tutte le professionalità/ livelli).

    Spero di aver risposto

  4. Io vorrei un vostro giudizio su una nuova prospettiva che il temporary management potrebbe avere per me.
    Parto dalla motivazione di un imprenditore ad avere un temporary che è quella di prendere in carico una attivitàprogetto che lui non riesce a fare da solo o con le risorse di cui già dispone. Dalla mia esperienza queste sono di tre tipi:
    1-Ristrutturazioni (societarie eo organizzative)
    2-Sviluppo (Linee interne eo M&A)
    3-Passaggi generazionali
    Indubbiamente questa classificazione non è asettica e quindi uno stesso progetto il più delle volte comprende almeno le prime due con la terza dietro l’angolo.

    Il carattere temporale di queste operazioni determina la terminologia.

    Ora il punto è cosa può spingere un manager come me a scambiare il suo rapporto indeterminato con uno determinato?

    Secondo la mia teoria è la partecipazione all’equity e alla governance. Quindi diventare imprenditori a tempo determinato scambiando azioni con managerialità, determinando preventivamente con piani di business l’enterprise value da guadagnare, le metodologie di way out e le opportune deleghe.

    In questo modo si risolverebberò le criticità da voi evidenziate e tutti avrebberò lo stesso obiettivo.
    Cioè quello di massimizzare il valore della azienda.

  5. sulla scorta di quanto osservato da domenico, sottolineo anche io la vicinanza tra somministrazione etemèporary manager. Il fato che ora si somministrino anche manager (che molto spesso in italia non sono anche dirigenti ma magari quadri) non deve sorprendere o inorridire, visto che è giusto che condividano oltre alla vita in azienda anche i “nuovi” modi per entrarvi.
    Comunque definiamo il ruolo, il motivo conduttore è quello della scommessa fatta da tutte e due le parti (manger e azienda), poi… se son rose fioriranno!!
    francesco bertellini

  6. Dissento Francesco. Non per tirare l’acqua al mio mulino, ma se un manager sarà costretto ad entrare in una filiale di LT, saremo davvero alla frutta! L’interinale va bene e i colleghi che vi operano hanno grandi capacità nel gestire il just in time, ma sai benissimo che nelle filiali non c’è la competenza nè la formazione per intervistare un direttore amministrativo o un responsabile acquisti (per non parlare di quello che c’è più in alto). Le aziende italiane hanno già ridotto il lavoro temporaneo ad un puro prodotto utilizzato a seconda del costo e non di certo con un occhio alla “qualità” del servizio. Nel resto d’Europa il lavoro temporaneo ha caratterizzato la porta d’accesso per milioni di giovani, al mondo del lavoro. In Italia è diventato lo strumento della precarietà grazie all’uso “malato” che ne hanno fatto le aziende: “così non devo assumere”. Spero proprio che non ci debbano essere quadri o dirigenti costretti ad accettare 4 rinnovi per lo stesso posto di lavoro nella stessa azienda per 6 anni di seguito. Ma francamente, spero che non accada più neanche per le figure meno professionali.

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