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“Vai a prendere il la da Ludovica”.

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Tutti abbiamo avuto un capo, un direttore, un responsabile o – stringendo all’osso – almeno un padre o una madre che ci abbiano chiesto di fare una cosa e subito.

Il lavoro è un sistema di bolle che si incontrano di rado, ogni lavoro parla a modo suo e affina il proprio gergo. Intendiamo le stesse cose ma ce le diciamo in modo diverso.

La frase dell’andarsi a prendere il la l’ho sentita il 25 luglio a Firenze, ero dentro il Mercato Centrale, l’appuntamento per tutti era alle undici di mattina. È stato un ragazzo di una quindicina d’anni a dirlo alla sua collega più o meno coetanea: era tempo di accordarsi perché di mestiere fanno i musicisti. Ludovica è il primo violino. Premetto che sono una patita dei flash mob: anche se molti lo ritengono un modo superato di fare comunicazione, io credo che mai come in questi anni di distanza fisica tra le persone ci sia una necessità tanto forte di stare vicini coi corpi e far parlare la carne.

Il tutto ideato da FiordiRisorse, che nel giro di 48 ore ha tirato il filo giusto dei contatti che funzionano per organizzare un concerto a sorpresa dell’AYSO tra i banconi e i ristoranti del Mercato, coordinando ogni cosa con cura contro il tempo e lasciando la regia alla tenace Teresa Satalino che per prima aveva proposto qualche giorno prima ad Osvaldo Danzi di portare lì dentro le musiche di Star Wars. Tutto quello che mi ero sempre immaginata vedendo negli ultimi dieci anni decine e decine di flash mob non era niente rispetto a quello che è successo. 

Apulian Youth Symphony Orchestra è una settantina di ragazzi tra i 14 e 25 anni che hanno capito prima di milioni di italiani lamentosi cosa voglia dire costruirsi un lavoro e seguire un carisma proprio piuttosto che un filone di tutti, Teresa è la loro direttrice d’orchestra. Era stata lei, qualche sera prima, a condurre dal palco del Teatro del Maggio Musicale fiorentino in abito rosso, lungo, potente come l’energia che lei può muovere, sfacciata nel divertimento che provava in mezzo a un contesto solitamente più ingessato delle cave, le braccia aperte senza paura, non sul solito podio del direttore ma seduta su uno sgabello per essere più comoda e libera, seduttiva quanto la musica che fa uscire dai suoi ragazzi.

Siamo stati capaci di un flashmob in cui ognuno si è preso cura di un dettaglio dal momento in cui i primi violoncelli hanno iniziato a improvvisare a sorpresa in mezzo a centinaia di clienti e di turisti. Ero lì di lato, anch’io in posizione su uno dei due corridoi laterali da cui sarebbero usciti un po’ alla volta tutti i violini dell’orchestra dopo alcuni minuti dal via che avevano concordato con le note: a me e ad altri ragazzi è toccato il gesto di portare il leggio, ognuno di noi faceva strada al proprio musicista cercando il largo tra il pubblico già ammassato. Per un quarto d’ora sono stata la custode di Giorgia, terzo violino, non la scorderò mai. I ragazzi hanno iniziato a posizionarsi ognuno nello spazio assegnato. Sentivo il loro timore di esibirsi in un contesto tanto insolito – niente palco, il pubblico addosso e non di fronte, niente tempi scanditi a rassicurare – eppure sono entrati in scena con la fierezza e il senso di responsabilità dei professionisti navigati. Pochi secondi prima di avviarci, uno di loro mi ha raccontato che poco tempo prima avevano tenuto un concerto alla presenza di personaggi famosi – politici, istituzioni, gente dello spettacolo. ”Quella sera non abbiamo sentito niente da parte loro, oggi mi sa che sentiamo il popolo”.

Il quindicenne mi ha detto proprio popolo, noi ci siamo scordati cosa sia un popolo.

Nel frattempo erano partiti anche gli altri strumenti, la grancassa, i fiati dai balconi del piano superiore del Mercato. Il Mercato pareva uno stadio quando segna la squadra di casa.

Credo di aver pianto per tutto il tragitto che ho fatto con Giorgia, le facevo largo ma vedevo appannato, mi sentivo di essere una cosa sola con tutti quegli sconosciuti, tutti nel vortice della musica che ormai aveva avvolto l’immensa struttura in ferro di fine Ottocento e ingabbiato i turisti, i clienti, il macellaio dietro di me, il ragazzo delle ribollite, il bar, il bancone del pesce, lo stupore, le lacrime di chi era entrato lì quel giorno solo per mangiare e non se ne sarebbe più scordato.

Andarsi a prendere il la è un bel modo di riconoscere il senso di comunità. 

Il video del FlashMob, lo trovi qui. Aiutaci a farlo diventare spaventosamente virale.

Stefania Zolotti
Direttore Responsabile "Senza Filtro - Notizie dentro il Lavoro" Giornalista, autrice, esperta di comunicazione aziendale

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