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2014: Le parole che dovremmo ricordare

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A me gli articoli di Osvaldo fanno sempre un bell’effetto. La maggior parte delle volte mi inducono un’idea di condivisione, abbinata ad un sorriso che è, ahimé, troppo spesso velato di amaro; talvolta-e non raramente-mi fanno pensare che essermene andato dall’Italia ed avere preso circa 170 aerei in 20 mesi sia stata una buona idea. Stamani, dopo circa 15 giorni di volontaria assenza dal PC e dall’iPad per qualsiasi attività che non fosse ludico-gastronomica-turistica mi sono imbattuto in ciò che il suddetto Osvaldo ha scritto alla fine dell’anno in merito alle parole che vorremmo dimenticare…e, tac, mi è scattata la molla, e mi sono domandato se forse non ci sono parole che abbiamo dimenticato, e che invece dovremmo ricordare. Una premessa: io sono monotematico: sono un aziendalista fissato. I miei pensieri sono quelli di un ingegnere (e questo è già sufficientemente inquietante di suo) che ha vissuto tutta la sua vita in aziende, e che più o meno ha sempre avuto funzioni manageriali (e questo invece è decisamente inquietante); quindi, mi scuso in anticipo con chi ha-a buon diritto-una concezione più individuale del mondo. Ciò detto, ecco qua:

COMPETENZA. Certo, vuol dire saper fare il proprio lavoro. Ma vuole anche dire (anzi, vuole sopratutto dire) assumere gente che sa fare il proprio lavoro. Ovvero, persone che dicono NO alle idiozie, chiunque le proponga. Vuol dire accettare la sfida ed il confronto, vuol dire spendere parte del proprio tempo a combattere contro lo status quo e parte a difendere uno status quo che si è creato; vuol dire ascoltare chi è più bravo di te e non averne paura, a prescindere dalla sua età, sesso e accento. E vuol dire pagare la competenza. Ed usarla. E saperla valutare (o trovare qualcuno che lo faccia al posto nostro se non si è capaci). E conservarla.

MERITO. Chi è più bravo fa le cose. Chi è più bravo prende più soldi. Chi è più bravo decide. Non chi dice di sì più spesso. L’Italia annaspa nella crisi perché il concetto di merito è sparito, sostituito da quello relazionale-conoscitivo prima, e da quello dello yes-man (o yes-woman) come naturale conseguenza, a tutti i livelli. Laddove solo le yes-person sono apprezzate, comanda solo il potere cieco e sordo. Le conseguenze sono, direi, evidenti.

RESPONSABILITÀSe Competenza e Merito sono malati terminali, la Responsabilità è deceduta da anni. Nessuno è più responsabile di nulla. Distruggi l’Alitalia? Beh, eccoti qualche milione di euro di buonuscita. Arringhi e venditori e dici loro che devono fare come Napoleone a Waterloo? Eccoti qua un magnifico ricco stipendio…Basta. Non ne posso più di gente irresponsabile delle proprie idiozie, che incolpa sempre qualcun altro. E’ colpa del governo, è colpa dei sindacati, è colpa del contratto, è colpa del mio capo, è colpa delle tasse, è colpa del mercato (e questa è la più bella-o la più indecente, scegliete voi-di tutte). Voglio un modello di paese e di azienda in cui le responsabilità sono chiare ed hanno conseguenze, in positivo ed in negativo. Ed in cui le persone prendono decisioni, perché il non prenderle è considerato criminale.

INNOVAZIONE. Quella vera, però. Non il comprare macchinari che producono più roba in meno tempo. L’innovazione che viene dal mettere sangue e pensiero fresco nei processi, dal non avere il terrore dell’IT perché non se ne capisce il ritorno economico, dal pagare la gente per i propri meriti, dal delegare, cribbio, dal non accentrare ogni cosa, dalla scelta del colore dei biglietti da visita alla selezione del personale. L’innovazione fatta di fiducia e di rischio, di diversificazione del modello organizzativo, di uso di un minimo di pensiero strategico.

PICCOLO NON E’ BELLO. Concetto dimenticato, annegato da decenni in cui ci siamo sentiti dire che essere piccoli e flessibili voleva dire essere capaci di adattarsi al mercato. No, piccoli non è bello: piccoli vuol dire non avere capacità di influenzare il mercato, vuol dire non avere risorse per innovare davvero, vuol dire non essere capaci di attrarre talento e competenza. E’ il frutto di un modello industriale di estrazione artigianale, e di un completa assenza di politica industriale da almeno trent’anni. 

Probabilmente-anzi, sicuramente-ce ne sono moltissime altre che dovremmo ricordare, ma, come diceva un poetucolo Inglese del ‘600, “brevity is the soul of wit”, la brevità è l’anima della saggezza. Aggiungetene pure quante ne volete.

A tutti, i migliori auguri di un magnifico 2014.

4 Commenti

  1. Rifletto sul PICCOLO NON E’BELLO e più ci penso più credo che stiamo monetizzando i valori. Ha ragione Luca quando scrivi che nel mondo del lavoro è assolutamente controproducente e anacronistico per sopravvivere sui mercati.

    C’è però del buono da prendere o secondo te i piccoli cercano i piccoli e i grandi possono solo giocare a fare i grandi da soli senza il bisogno di imparare nulla da chi è diverso?
    Interessante rifletterci.

    1. È l’idea del piccolo e quIndi bello a prescindere che non sopporto. I grandi ovviamente nascono piccoli, ma sono cresciuti perché hanno costruito, rischiato, delegato ed ascoltato. Ed hanno scelto bene management e hanno avuto una spinta costante al rinnovamento. Magari hanno sbagliato qualche scelta, ma hanno avuto coraggio e capacità di reagire ai propri errori. Un paese in cui il 97% delle aziende ha meno di 15 dipendenti è un paese con molto poco futuro.

  2. FIDUCIA: smettiamola di vivere con la paura che qualcun altro ci porti via una briciola di spazio, potere, soldi, occasioni, idee.
    Iniziamo ad avere il
    CORAGGIO di fare scelte controcorrente, che vadano verso la
    CONDIVISIONE per una crescita comune di tutte le persone che lavorano con noi, al di fuori della logica puramente competitiva che dentro l’azienda non serve a molto.

    Con l’UMILTA’ di ammettere i nostri limiti e di provare a superarli, compresi quelli della “visione piccolo-centrica” .

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