FormazioneIn evidenzamanagementNews

Quanti manager ci vogliono per fare un genio?

1634 visite

Ho letto da qualche parte sul web, ora non mi ricordo dove, che alcuni studiosi hanno calcolato il numero di geni che occorrono per fare oggi un Leonardo da Vinci: dieci.

Subito una domanda mi è sorta spontanea: quanti manager ci vogliono per fare un genio?

Ironia a parte, torniamo a ragionare di competenze. Perchè l’antifragilità di un sistema è nelle mani di persone competenti.

Ma quando una persona è competente?

Questa è una domanda che andrebbe tatuata sul braccio di chiunque abbia la responsabilità di collocare persone nei luoghi di lavoro, primi tra tutti gli organizzatori di concorsi pubblici.

Risposta: quando la persona è preparata.

Una volta si diceva: “Sa il fatto suo”. Quindi, prima di tutto, il 110% della preparazione tecnico-specialistica che serve per svolgere quel lavoro o quel mestiere. Tuttavia, conoscere non basta. Bisogna sapere anche come, quando e dove applicare le conoscenze. E poi?

La persona è competente quando sa come risolvere problemi. Magari con lo stile del personaggio di “Winston Wolf” nel film Pulp Fiction. In sintesi, la persona competente sa, sa applicare, sa risolvere. In alcuni casi, sa anche creare, innovare, senza dover essere necessariamente uno startupper. Il tutto condito con le famose “ottime doti relazionali”.

La conclusione è che le competenze sono un patrimonio dei singoli, dove la distinzione tra “hard skills” e “soft skills” è ormai così sottile da assomigliare a carta velina. Ognuno ha un suo “sistema multicompetente” e lo può sviluppare, modellare nel tempo.

Ma le organizzazioni?

Come fanno a diventare competenti e quindi antifragili? Come si fa a mettere le competenze di tutti in un unico sistema organizzato? E soprattutto: chi sa farlo? Questa è la competenza delle competenze! La risposta è: riuscire a fare filotto con Competenze/Potere/Etica.

Essere competenti ma non disporre del potere necessario per incidere e cambiare la realtà è un limite. Essere al potere senza competenze è un pericolo. Essere etici senza competenze né potere è il buon samaritano.

E quindi?

L’obiettivo è fare filotto

Ma come si fa concretamente? I recruiters lo sanno bene: è una questione di accesso, di selezione, di sbarramento all’ingresso. Un esempio semplice, per capirci. Avete mai visto un Corazziere alto un metro e cinquanta? No. Per fare il Corazziere, è un filotto di una serie di caratteristiche imprenscindibili.

La stessa logica di accesso e selezione andrebbe utilizzata trasversalmente in altri contesti. Nelle aziende naturalmente, ma anche a scuola, in politica, nella pubblica amministrazione. Per ricoprire certi ruoli, o sei un “Corazziere” oppure vai in cerca di altro. Per essere un manager, un insegnante, un politico, un primario, un professionista, un dirigente della pubblica amministrazione o hai la “statura” giusta per ricoprire quel ruolo oppure, parafrasando i bravi dei Promessi Sposi, “il matrimonio con quel posto di lavoro non s’ha da fare”.

Persone “qualunque” che ricoprono posizioni di potere – istituzionale, operativo, educativo –  mettono a serio rischio tutto il sistema.

La realtà ci mostra molti “corazzieri nani” allocati in diversi ruoli.

Nessun cambiamento di sistema sarà possibile se non ri-strutturiamo il sistema del cambiamento: accesso ai ruoli di potere consentito soltanto a persone competenti ed etiche. L’etica non è una parola da riferire semplicemente al rispetto delle regole. Questo è il minimo sindacale. L’individuo etico è una persona che lavora secondo una vocazione precisa, che mette l’amore in quello che fa. Rispetta i suoi utenti almeno quanto se stesso. Mette le sue competenze al servizio delle idee, per il bene di tutti. Non aspetta “linee guida” dall’esterno. Le crea, le propone lui stesso. Si attiva e si mette in gioco senza timori. Se ha un “potere di firma”, usa bene questo potere senza nascondersi dietro scuse burocratiche. Se manca di questo approccio etico, può essere anche competente ma la sua vita è un inferno per se stesso e soprattutto per gli altri che dipendono in qualche modo dal suo ruolo.

E’ una vita travolta da una valanga di frustrazione e di sentimenti di ostilità. Cinquanta sfumature di grigio non bastano a definire il grigiore di una vita spesa all’ombra di alibi, fughe di responsabilità, sgattaiolamenti furbetti da situzioni impegnative.

Certo, l’etica non si insegna. Non è il corso di buone maniere. E’ un orientamento personale di vita. E’ una questione di valori seri, interiorizzati, vissuti consapevolmente rispetto al ruolo che si ricopre. Tutti motivi in più per sbarrare l’accesso a chi non dimostra con i fatti di avere questi requisiti. E se dovesse verificarsi un “errore”, il sistema deve saper espellere la persona in tempi rapidi. Un po’ come quando l’arbitro estrae il cartellino rosso durante una partita. Il giocatore deve subito abbandonare il campo. Senza fare storie. E saltare anche la prossima partita in caso di squalifica. O cambiare mestiere, nei casi che lo richiedono.

Il sistema del vero cambiamento è questo. E’ la sfida culturale da accogliere ora, con grande coraggio, se non vogliamo ritrovarci ancora come bicchieri di cristallo sotto le zampe di un elefante che balla. L’antifragilità di un sistema è garantita soltanto da quel filotto. Iniziamo a mettere in fila i birilli e ad allenarci a buttarli giù. Come appassionato di umorismo e di satira, mi viene in mente l’ultima battuta a proposito del titolo di questo articolo: quanti politici occorrono per fare un bravo manager?

Lascia un commento