Organizzazioni resilienti. Come koala.
Sembra un articolo sulla bio diversità. Ma in realtà parliamo di organizzazioni resilienti.
Il nostro simpatico marsupiale, mangiando solo eucalipto, pare avere una pelliccia … al profumo della esotica essenza; sguardo tranquillone tendente all’addormentato, popola esclusivamente l’Australia, tanto da esserne un simbolo; occupa una nicchia ecologica. Insomma è uno specialista dell’alimentazione (per altre specie addirittura tossica). Il suo punto di forza è anche la sua principale debolezza: dipende dal luogo e dalla pianta di cui si nutre. In termini evolutivi, nulla da eccepire, se ne sta lì da svariate decine di migliaia di anni e quindi la sua strategia evolutiva, in chiave adattiva, funziona alla grande.
Il problema nasce quando un’impresa o un’organizzazione, si comporta come un Koala (magari senza saperlo).
Mettiamo un’azienda, o addirittura, un intero distretto industriale che si crea una nicchia (sedie); negli anni cresce, acquisisce know-how, crea indotto, immagine, brand, sviluppa design, soluzioni innovative, poi, un brutto giorno l’eucalipto (la domanda di sedie) si ammala, per diversi fattori (manodopera orientale, legni particolari, qualità tedesca etc..).. che fare?
Non si tratta purtroppo di una idea fantasiosa, ma di quel che è successo in Friuli in tempi recenti. In questa regione, infatti, come emerge dal rapporto realizzato dal Servizio Osservatorio mercato del lavoro, dal 2000 il distretto della sedia ha conosciuto una grave crisi che ha compromesso la struttura dell’intero settore.
Il parallelo non è mio, ma di uno psicobiologo: Alberto Oliverio. Un medico “prestato” alla psicologia: non proprio un consulente aziendale…Quindi direi che qui potrebbe stare bene 😉
Un accademico di fama internazionale che è anche un grandissimo divulgatore, il quale con parole chiare e linguaggio accessibile riesce a far capire ad una platea di profani a che punto è arrivata la scienza biologica in tema di resilienza. Il Teatro Ruzante di Padova in religioso silenzio per un paio d’orette filate…
Ammette quasi con candore che nel 1962, quando si è laureato, il cervello era considerato un organo statico ed immodificabile, mentre ora il concetto di base è che si tratta di un organo plastico che cambia e si adatta di continuo: ci dice che non esiste (per fortuna) il “neurone della nonna”, ossia una cellula cerebrale che incorpori in sé il ricordo di nostra nonna: sarebbe assai rischioso. Se il neurone si ammalasse, il ricordo scomparirebbe; e se invece della nonna fosse essenziale ricordarsi (andiamo indietro di qualche centinaio di migliaia di anni quando il cervello si è sviluppato negli esseri bipedi..) di dove si trova l’acqua o la strada per tornare al rifugio, ne andrebbe di mezzo la nostra sopravvivenza. La natura ha quindi creato dei pattern, delle reti di neuroni che sono quindi strutture dinamiche, distribuite e adattabili.
La vita gli ha fatto incontrare una moglie con la quale si sono completati non solo a livello affettivo: è infatti una psicologa e psicoterapeuta. Insieme hanno scritto recentemente un libro sul tema: “Più forti delle avversità”.
Il dualismo Cartesiano (mente e cervello) in questa coppia pare trovare un momento di unità: la resilienza non è solo il frutto di strategie cognitive (competenza, fiducia, legami sociali, valori, controllo), ma ha anche una base biologica che influenza (genetica ed epigenetica) e che è influenzata (dall’ambiente). Niente determinismo dunque (questo era peraltro il leitmotiv del Convegno in Neuroetica in corso in questi giorni sempre a Padova).
Il bello è che la resilienza si può “allenare” lavorando su se stessi in autonomia o ricorrendo all’aiuto esterno (non necessariamente un professionista, si potrebbe cominciare dalla famiglia, dagli amici).
Il tutto interessa il singolo, ma anche le organizzazioni e quindi le imprese. Con riferimento a queste ultime, viene da chiedersi perché alcune aziende siano più resilienti. Perché si adattano meglio e sopravvivono a cambiamenti che hanno annientato altri? A tal proposito si è parlato di dirigenza non rigidamente deterministica, di azienda che “si ascolta” che coglie i segnali che inviano le persone all’interno, ma anche quelli che provengono dall’esterno. Un’organizzazione in cui si parla e che si riconosce in dei valori. Un’azienda forte, con carattere.
E poi ci sarebbe pure la resilienza cellulare.. ma questa è un’altra storia..;-)
Sicuramente il non ascolto di segnali, io credo in primis dall’esterno, è il punto debole di molte aziende, sopratutto le piccole-medie.
In alcuni casi il cambiamento universale in atto viene ignorato, forse per paura, ed i limiti del proprio modello di business diventano una sorta di bugia vitale. Come se nulla fosse, si procede come un treno in corsa su un binario morto.
In altri casi è la presunzione di essere superiori che rende sordi rispetto ai segnali esterni.
Ma il risultato non cambia.
D’altra parte come in natura, anche in economia esiste la selezione naturale….
Aggiungo che in natura il fenomeno osserbato è quello dell’evoluzione e selezione naturale. Chi si affaccia nuovo, si evolve e occupa spazi di altri e chi invece si ridimensiona o scompare del tutto.
Chi ha spostato il mio formaggio?
Niente di nuovo sotto il sole… solo che era da tempo che non ce ne accorgevamo!
Essere resilienti significa ANCHE frequentare il MUSTRfdr, l’unico con la U. Se mi chiedete perchè, vuol dire che non lo state facendo.
Vorrei conoscere le strategie dei koala: chi me ne racconta qualcuna?