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Comunicazione pubblicitaria controcorrente. Intervista con Paolo Iabichino

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Paolo Iabichino è Executive Creative Director di OgilvyOne e Geometry Global, le agenzie del Gruppo Ogilvy specializzate nel digital e one-to-one marketing, e nel consumer & trade activation. Con il suo team gestisce campagne e strategie di comunicazione per importanti marche italiane e internazionali.

Venerdì 10 gennaio tratterà le tematiche della comunicazione pubblicitaria nel primo modulo del MUSTer 2014, presso Avanzi Holding (BO) azienda leader, con oltre 160 negozi in Italia, nel campo dell’ottica.

In attesa di ascoltare il suo intervento, abbiamo posto a Paolo qualche domanda:

Nelle prime pagine del tuo saggio “Invertising” presenti un excursus sull’evoluzione della comunicazione pubblicitaria: oggi, nell’era dei Social Media, è più difficile far giungere un messaggio pubblicitario?

No. E’ più facile. Sembra un paradosso, ma sono stati proprio i social media a migliorare il rapporto tra le persone e la pubblicità, in un momento in cui i media tradizionali non sembravano più in grado di raggiungere i diversi pubblici di riferimento. Nel momento della massima frammentazione dei canali a nostra disposizione, abbiamo imparato a “canalizzare” meglio i nostri messaggi, ma soprattutto abbiamo fatto tesoro di una serie di insegnamenti provenienti dalle dinamiche dei social network.

Per raggiungere i nostri interlocutori infatti è sufficiente attrarre, catalizzare in una logica di tipo pull, e non push. Questo è il senso dell’invertising o dell’in bound marketing, come lo chiamano alcuni. Si tratta di tornare ad agire messaggi rilevanti per i diversi interlocutori. Tornare a fare una pubblicità efficace, perché utile, perché spettacolare, perché capace di raccontare una storia… una pubblicità che le persone hanno voglia di vedere e condividere. Per questo nell’era dei social media è diventato più facile far giungere un messaggio pubblicitario, ma è diventato molto più difficile realizzarlo con queste caratteristiche.

Invertising è una sorta di “inversione di marcia” della pubblicità: che ruolo riveste la creatività in questo approccio?

Beh, la creatività continua a rivestire un ruolo fondamentale e cruciale nella comunicazione pubblicitaria. La differenza rispetto a prima è che molta parte delle idee in circolazione oggi sono polverizzate in rete. E i professionisti più attenti possono intercettare idee, insight, stimoli e ispirazioni entrando direttamente in contatto con le diverse comunità che si costruiscono intorno alle marche. Le idee e lo storytelling restano il tramite attraverso cui noi si continua a costruire i nostri messaggi. La creatività è la vera killer application del nostro mestiere.

Nell’estate 2013 iStock ha commissionato alla KRC Research una ricerca, “Free the creative”, per conoscere lo stato dell’arte nelle professioni creative. Tra gli elementi che emergono ci sono tre aspetti che ostacolano il lavoro creativo: mancanza di ispirazione, limitatezza di investimenti e la scarsità di tempo a disposizione. Quali sono le tue esperienze e le tue riflessioni in proposito?

La mancanza di ispirazione è un alibi. Lavoro nella creatività da una ventina d’anni e non ho mai visto in passato un momento più ricco e fulgido di ispirazioni. Possiamo coglierle da ogni dove, in Europa, nel mondo, abbiamo città pulsanti, ricche di stimoli, nuovi stili di vita, intere comunità che stanno letteralmente inventando nuove forme di lavoro, di mobilità, di socializzazione, di vita in comune. Ogni giorno nascono nuove idee nei settori più disparati, e non è la retorica delle start up che salverà il mondo, ma la spinta creatrice di uomini e donne che stanno reinventando il presente. Per migliorare il futuro di tutti.

La limitatezza di investimenti è il secondo alibi, perché dovrebbe essere proprio la scarsità di risorse a celebrare nuove spinte creative. La scarsità di tempo a disposizione invece mi sembra l’unico vero ostacolo alla professione. Spesso infatti un processo creativo è laborioso, ha bisogno di essere verificato, validato, misurato sulle reazioni degli individui a cui si rivolge. La pubblicità in particolare è un mestiere il cui connotato creativo è basato sui risultati e questi sono tanto più efficaci, quanto più riescono a essere verificati nel lungo periodo. Avere poco tempo a disposizione, dare poco tempo a un creativo, significa non avere rispetto delle idee. Preoccuparsi solo della messa in onda, del risultato nel breve termine. Che spesso non paga nel lungo.

Che cos’è per te la creatività? E in quali circostanze ti vengono le migliori idee?

Ho sempre considerato la creatività come una specie di muscolo. Una parte di noi, imprescindibile, qualunque cosa si faccia. C’è chi riesce ad allenarlo, giorno per giorno, e a migliorarne le prestazioni. Non esistono circostanze particolari per farsi venire le migliori idee. O davvero siete tra coloro che affidano ai cessi la creatività?

Le idee migliori arrivano quando si è predisposti per accoglierle. È una questione di stati d’animo, di quello che hai letto e visto. Esiste una disposizione, un atteggiamento mentale che deve attrezzarsi mentalmente per raccogliere uno stimolo, un’intuizione. La circostanza è secondaria rispetto al mindset.

Quali sono, nella tua esperienza, i principali ostacoli nel rendere più innovativo un gruppo, un’azienda o un’organizzazione?

Le zone di comfort e i ruoli di potere. E nella maggior parte delle organizzazioni le due cose siedono sulle stesse poltrone. Non può esserci innovazione se non si è disposti a rischiare. Il rischio produce quasi sempre un cambiamento. E quasi sempre correre un rischio significa essere pronti a un fallimento. Ma questo, specialmente nel nostro paese, è ancora un tabù.

Quali consigli daresti ad un ragazzo/a per realizzarsi nell’ambito della comunicazione pubblicitaria?

Mettersi in ascolto. Prima di tutto del proprio talento. Verificare le sue predisposizioni, le sue sensibilità, le sue attitudini. E solo dopo mettersi ad ascoltare il proprio pubblico. Non i target. Considerare i destinatari della pubblicità come interlocutori. Ascoltarli. E poi salire sul palco con il proprio messaggio, esibendo il proprio talento, per andare alla ricerca di un applauso, di un sorriso, di una lacrima, del consenso che oggi serve a costruire messaggi pubblicitari che vengano accettati, partecipati e condivisi.

Saper muovere un’emozione è il modo migliore per realizzarsi oggi nell’ambito della comunicazione pubblicitaria. Farsi applaudire. Attraverso le idee, o – come diciamo in Ogilvy – attraverso un ideale. E aspettare che il nostro pubblico premi la marca che abbiamo appena finito di raccontare, scegliendola, e non solo acquistandola.

Grazie, Paolo, per la tua disponibilità, ti aspettiamo al MUSTer 

3 Commenti

  1. Capire di cosa parla e di cosa scrive Iabichino può incuriosire ancora di più i già curiosi della seconda edizione del MUSTer 2014 di FdR.
    Copio solo un link dal suo http://www.invertising.it, dove parla dell’idea controcorrente di un’agenzia pubblicitaria di mettere all’asta alcune idee inutilizzate dai suoi clienti.
    Venerdì di certo ci aspetta un bel confronto con lui.
    Piccolo assaggio sul suo modo di osservare il mondo pubblicitario:
    http://blog.wired.it/invertising/2013/06/24/le-idee-riciclate.html

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