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IMPRENDITORE E MANAGER: amore, odio, simbiosi o solo convenienza?

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In questi giorni ho avuto più volte modo di riflettere sul rapporto esistente tra imprenditore e manager.
Il titolo di questa discussione è un po’ scherzoso ed un po’ provocatorio, ma volto a stimolare e far emergere posizioni, idee, riflessioni, esperienze personali.
Butto lì solo alcuni spunti.
Ogni esperienza, ogni percorso, ogni storia hanno un loro valore ma, generalmente l’incontro tra imprenditore e manager nasce per necessità e convenienza reciproca: l’imprenditore ha un problema da risolvere o un’area del proprio business da presidiare e cerca sul mercato un manager con le esperienze o le capacità per intervenire, nell’ambito di un piano di breve, medio o lungo termine. Dall’altro canto, il manager ha bisogno di un lavoro o desidera migliorare la propria posizione, dare un impulso alla carriera, crescere in un ambito diverso dal precedente. Se si trova la “quadra” organizzativa ed economica… brindisi e si parte.
Poi le cose evolvono: in piccole imprese un manager molto bravo e di spessore, può diventare il vero alter ego dell’imprenditore, sempre facendo attenzione ai desiderata dell’imprenditore, a dove questi vuole intervenire in presa diretta, a quando vuole essere l’unica luce che brilla, mentre gli altri restano all’ombra.
In altre situazioni, due personalità molto spiccate possono trovarsi spesso tra alti e bassi, scontrandosi anche, in alcune occasioni, fino a che, magari uno dei due prende la decisione finale (in cui, comunque, l’imprenditore resta sempre al suo posto!).
A prescindere dall’evoluzione che cosa dovrebbe saper fare il manager? A mio avviso dovrebbe aiutare l’imprenditore a declinare la strategia o, in molti casi a definirla e scriverla, poggiando sulle intuizioni, magari non sempre strutturate dell’imprenditore. E poi dovrebbe, per usare un paragone veicoli stico, dovrebbe fare il manovratore: l’intuito dell’imprenditore indica l’obiettivo (e vorrebbe che il veicolo lo raggiungesse in linea retta, senza perdite di tempo); il manager, tenendo conto dei vincoli e delle opportunità manovra, frenando, accelerando, sterzando a destra ed a sinistra a seconda delle necessità, ma comunque evitando che il veicolo finisca in un burrone o contro un muro.
Ed ora? Ed ora a voi, ricco parterre di FiordiRisorse, dove non mancano manager, imprenditori, imprenditori che erano manager, e magari anche qualche manager che per un po’ di tempo è stato imprenditore!

3 Commenti

  1. Difficile generalizzare, in quanto il rapporto imprenditore-manager può assumere varie connotazioni nelle diverse realtà aziendali (multinazionali, imprese padronali, …) e all’ interno della stessa azienda durante il suo ciclo di vita (fase di start up, sviluppo, maturità, cambio generazionale, …).
    Quello che mi sentirei di dire è cosa un manager non dovrebbe mai essere e cioè uno “yes man”. In tutte le situazioni descritte sopra il manager dovrebbe imprescindibilmente essere un creatore di valore, con modalità diverse a seconda delle circostanze. Possono sembrare cose scontate ma non lo sono affatto.
    E’ auspicabile che il rapporto tra manager e imprenditore sia basato sulle rispettive competenze piuttosto che sull’empatia o sulla fiducia. Quindi non un alter ego o un antagonista ma bensì un’entità complementare all’imprenditore, un coordinatore che non si limiti a fare il burocrate ma svolga il suo compito secondo uno spirito “imprenditoriale” , che dovrebbe cercare poi di estendere anche ai livelli più bassi.
    Solo in questo modo il manager può trovare quelle motivazioni di medio-lungo periodo che non sempre l’imprenditore non è in grado di dargli.

  2. Gli spunti di Giorgio non sono mai banali, e vedo che anche Guido ha riflettuto parecchio sul tema.
    Tema che ovviamente è centrale per noi manager e che spesso, se male interpretato, può mettere in crisi un buon rapporto di lavoro.

    Personalmente cerco di fare attenzione e calibrare la mia azione sui bisogni veri dell’Azienda e su quelli dell’imprenditore, tenendo conto che si ha a che fare da una parte con un’organizzazione, e dall’altra con una persona.
    Perciò diventano molto importanti – spesso determinanti – competenze nelle relazioni oltre a quelle manageriali.

    Comunque il punto centrale e premiante è la continua creazione di valore aggiunto, che l’imprenditore accorto sa riconoscere.

  3. In circa 10 anni di consulenze ho maturato un repertorio di aneddoti davvero incredibile, la mia area di intervento è sempre stata quella commerciale e marketing e ricordo con simpatia alcuni incontri fatti con imprenditori, che dopo avermi cercato, spesso con il passaparola di altri manager o imprenditori, al primo incontro iniziavano a raccontarmi della loro azienda. Venivano disegnati scenari idilliaci, tutto bello, prodotti unici, servizi al cliente avanzatissimi, spesso quella prima fase di incontro si risolveva con una sola domanda da parte mia: “se tutto è così bello e perfetto, perché mi ha cercato ?”
    E qui inizia di solito la seconda fase di racconto, dove vengono evidenziate le finte esigenze, incrementare le vendite, coprire nuovi mercati, lanciare nuovi prodotti/servizi; di solito la mia replica era nuovamente una domanda: “ma se la sua struttura commerciale ed i suoi servizi sono così avanzati, perché non copre la sua esigenza con le risorse disponibili, al limite potenziandole al livello più basso e facendo progredire quelle storicamente più consolidate ?”
    A questo punto o l’imprenditore scoppia a piangere, io ho sempre un pacchetto di cleenex a portata di mano, oppure ecco che viene fuori la verità: l’azienda è basata su un modello di business, di mercato e di organizzazione che ha sempre funzionato, ma che oggi di fronte ai mutati scenari, alla crisi, alla concorrenza sempre più agguerrita, all’abbassamento delle barriere all’ingresso di nuovi player, l’azienda lungamente seduta sui vecchi successi e sui risultati che considerava consolidati, si trova in difficoltà.

    L’imprenditore nella PMI è una figura fondamentale, ma è troppo legato ad un ruolo genitoriale della propria impresa, e come dei figli fatica a riconoscere i difetti(spesso collocandoli a far danni proprio in azienda) allo stesso modo fatica a vedere l’esordio di quei sintomi che rischiano di portare l’impresa a pagare pesantemente i propri ritardi interni e la propria mancanza di adeguamento alle mutate condizioni esterne.

    Il manager, consulente o temporary che sia, deve porsi come uno specchio della realtà davanti all’imprenditore, non essere accondiscendente e neppure antagonista, ma deve operare per il bene dell’azienda e del suo business, secondo una strategia definita in accordo con le attese del committente, ma secondo tattiche ed azioni sulle quali viene lasciata ampia libertà discrezionale.
    Restando nell’ambito della metafora paternalistica, il manager per l’azienda è un pò come quell’insegnante che prende il genitore da parte e gli fa capire chiaro e tondo che “suo figlio non è stupido…è che non si applica” e che da una sinergia delle due personalità/professionalità si può e si deve riuscire a riportare sulla strada del successo la sua creatura !

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