La democrazia dell’ignoranza
Nella newsletter inviata ieri, ho aperto con l’articolo quasi integrale di Concita de Gregorio pubblicato su Repubblica, perchè a mio avviso oltre ad essere di grande attualità, invita i lettori (quelli che ancora resistono) e le Persone in generale ad affrancarsi dal pensiero prevalente, dalla necessità “di essere come tutti”, dal bisogno di consensi e di like a tutti i costi che allontanano dalle riflessioni e dal ragionamento critico che sono alla base della cultura e delle relazioni.
E’ innegabile che ci stiamo appiattendo nel tunnel delle intelligenze artificiali, abbandonando alle logiche dell’algoritmo. Il tempo passato sui social si estende sempre di più, divorando le attività di incontro, di relazione e il tempo libero. Non scegliamo più i contenuti, ma ci vengono serviti seguendo logiche di appartenenza a cui spesso non apparteniamo.
In FiordiRisorse è un periodo in cui con i soci ci stiamo interrogando sull’opportunità di confrontarci in posti più liberi e meno inquinati e questa riflessione di Concita de Gregorio arriva proprio nel momento giusto per aiutarci a portare avanti la discussione con maggiore consapevolezza.
Riporto qui sotto l’articolo, invitando i tanti che mi hanno scritto per commentare, a replicare il loro punto di vista nei commenti a questo articolo, per farne bene comune e amplificare il dibattito.
Grazie.
Da Concita de Gregorio:
Chiamano dalle redazioni dei programmi tv – spesso sono i più giovani fra i collaboratori, ragazzi con voci timide, eseguono compiti senza divergere, hanno contratti precari – e ti chiedono da che parte stai. In che senso? Con Israele o con la Palestina, mi scusi ma il suo ultimo scritto era un po’ complesso e mi hanno chiesto di domandarle un chiarimento. “Sa, stiamo costruendo il panel del dibattito”. Il panel del dibattito prevede lo scontro, perché lo scontro fa ascolti (la gente da casa ama la rissa, rifugge il ragionamento, quando la cosa si fa lunga cambia canale.
Questo te lo spiegano subito se lavori in tv: devi semplificare, velocizzare). Gli ascolti fanno pubblicità che vuol dire soldi, profitto per l’editore e stipendi per i lavoratori dunque il panel si “costruisce” come una specie di battaglia navale, si fanno le squadre: due di qua, due di là e vediamo se si prendono a botte. Speriamo che lo facciano. […]
[…] Intendiamoci. Mi rendo perfettamente conto che tutto ciò sia inessenziale mentre proprio in questo istante ci sono famiglie sepolte dalle macerie, bambini che scavano cercando un fratello un amico la madre, lutti e dolori che cambiano per sempre il destino di chi è lì, non il nostro.
È questo il punto: lo sbalzo termico fra l’enormità della tragedia e la vacuità del dibattito. […] Fanno ascolti, generano follower, inalberano l’algoritmo, guarda quanti like ho preso quando ho detto così, guarda quanti abbonamenti ho venduto, quante copie in più.
È un tema culturale, abbiate pazienza se appare marginale ma esiste anche questo: il ruolo degli intellettuali, la responsabilità di chi ha passato la vita a studiare le cose, una cosa, e magari può insegnarla a chi invece si è occupato, legittimamente, d’altro.
[…] L’importante è stare nel flusso, stacci. Parla semplice, parla così che ti possano capire, usa le loro parole. Se sei difficile, passano oltre. La democrazia dell’ignoranza è un obiettivo alla portata di tutti. Essere tutti uguali al grado zero della conoscenza non è difficile. Un po’ di mortadella un rutto una bestemmia soffocata e ci capiamo. Siamo gente del popolo, no? Democratici e simpatici. Si prendono voti, si fanno ascolti, così. Però io ricordo, mi ricordo benissimo, un tempo in cui ti mettevano in mano da ragazza La cognizione del dolore e Viaggio al termine della notte, ti portavano con la scuola in cineteca a vedere Le lacrime amare di Petra von Kant coi sottotitoli e non capivi niente, quello che capivi era solo che c’era tantissimo da capire e ti serviva un dizionario, un maestro, qualcuno che ti insegnasse le cose che non sapevi ancora ed era una fatica enorme, certo che sarebbe stato più divertente andare a farsi un mojito sulla spiaggia anziché ripetere nei pomeriggi all’infinito gli accordi di Toccata e fuga in re minore – a cosa serve il greco, a cosa serve Bach – non è stato un privilegio, è stata una consegna e un lavoro. Sapevi che quello era il tuo dovere: capire le cose complesse, studiarle – questo ti dicevano gli adulti che non erano sempre amici, non sempre simpatici: studia, dicevano, sarà la tua libertà.
Il conflitto israelo-palestinese è materia veramente complessa. E’ come il terzo concerto di Rachmaninov, per chi sa di che si tratta. Può far impazzire. E certo sarebbe utile anche riascoltare le registrazioni di Toscanini, sentire cosa diceva agli orchestrali e come lo diceva, oggi che se correggi l’errore di un più giovane collaboratore ti fa causa per mobbing. Potete, è su YouTube. Anche un Bernstein basterebbe.
Vengo al punto, e chiudo che s’è fatto tardi. Abbiamo un’emergenza, che è un’evidenza. L’imperativo di generare consenso ha ucciso la fatica della conoscenza. È una china pericolosissima: chi governa – eh lo so, lo so: la democrazia, abbiamo deciso noi chi ci governa – dovrebbe tenerne conto.
Non vale più la storia, conta solo il presente. Se dici una parola, se tracci un segno, non importa chi sei, chi sei stato. Me l’ha scritto una professoressa dell’Internet l’altro giorno: le persone non sono obbligate a sapere cos’hai fatto se non glielo dici, gliel’hai detto?, da che viaggio vieni. Se sei Michelangelo o mio nipote Michelino è uguale: conta quel che dici adesso. Sta a te definirti, non sono loro che devono saperti. È tutto sempre ora, nel regno dell’ignoranza al comando.
Le parole però, se le metti sul tavolo dell’anatomo patologo, sono tutte parole morte. Parole morte a dire di gente che muore: servono? È morta la volontà di capire, di sforzarsi nell’esercizio del dubbio. Stai con Merlo o con Zerocalcare? In che lista ti dobbiamo mettere, nel panel? Se produci un testo che non milita, dunque ambiguo, è inutile. Ci vai a Lucca o non ci vai? Puoi scrivere in dodici parole perché? No, non posso. So con chi sto, dentro di me, ma sono aperta al dubbio e dodici parole sono poche.
Sto con quel ragazzino che ho visto l’altro giorno in tv, un bambino di sette anni che dice: io da grande voglio combattere. Vorrei poterlo portare via da lì, portarlo a casa mia, ma non posso. Chi ha sbagliato prima, chi ha sbagliato più forte settant’anni fa, o trenta o l’altro ieri non è più rilevante, ora, non serve più a risolvere: serve solo al narcisismo di definirsi ma per favore, definitevi altrove, non sulla conta dei morti e delle atrocità. I social, lo scrivo periodicamente e abbiate pazienza se lo ripeto, ci avvelenano: ci impediscono di pensare senza essere pensati, di pensare in libertà. Fate digiuno, almeno intermittente. Riprendere in mano un libro, uno spartito.
Non andate a manifestare con gli slogan degli altri, scrivete i vostri: pazienza se non fanno like, se non vanno in trend topic. Non è vero che hanno tutti ragione, che non c’è niente da insegnare a nessuno. C’è moltissimo da insegnare, ad avere la buona sorte di trovare maestri. C’è moltissimo che resta da capire. È tutto complicato. La vita personale lo è. La guerra anche: sembra semplice, chi vince chi perde, ma no invece. È un’illusione, una bugia. Costa fatica, ma serve competenza, conoscenza.
Abbiamo, abbiate rispetto di chi ci ha dato la possibilità di conoscere. Non sono per sempre, i diritti.
Sono fragili, abitiamoli.
Idiocracy è un film del 2006 diretto da Mike Judge.
In questa commedia dall’ambientazione fantascientifica viene dipinto uno scenario distopico del futuro dove, a causa della maggiore prolificità delle persone stupide, il livello di intelligenza medio raggiunge livelli talmente bassi da mettere a rischio la sopravvivenza del genere umano.
Quando poco meno di 20 anni fa ho visto Idiocracy ho creduto di aver visto un inquietante filma di fantascienza anzi di fantasociologia.
Quella puntata dei Simpson nella quale ipotizzarono un futuro con Trump presidente, ci avrebbe dovuto metter in guardia sul fatto che “certe cose non bisognerebbe neppure immaginarle….” … perché la realtà supera sempre la fantasia !!!
Temo saremo destinati a quel tipo di mondo.
Totalmente d’accordo con l’articolo di Concita De Gregorio. E’ veramente mostruoso questo inutile schierarsi, senza capire, senza approfondire.
Nella vita ho sempre cercato di essere pacata e di dare opportunità di apprendimento, ma mi rendo conto che l’urlo vince sempre….
Il vero problema non è l’ignoranza, ma la stupidità intesa come la negazione dell’ignoranza stessa.
Quanti ventenni si sono ritrovati alla fine delle seconda guerra mondiale a costruirsi un futuro quasi sempre senza aver fatto le scuole medie? Erano quindi ignoranti ma consapevoli, e con umiltà hanno contribuito a ricostruire un paese distrutto da anni di dittatura e di guerra. Oggi invece quanti ….enni, con frequentazioni scolastiche almeno formalmente riconosciute, contribuiscono a distruggere quell’equilibrio sociale indispensabile alla convivenza civile? Insegnanti minacciati dai genitori, medici picchiati dai parenti degli ammalati non sono che la punta dell’iceberg di un fenomeno che ha fatto dell’intolleranza uno stile di vita e della conoscenza e della cultura in generale una inutile presunzione.
Carissimo Osvaldo,
cerco sempre di leggere tutto, cose piacevoli e meno.
Leggo soprattutto sempre quello che riguarda Fior di Risorse, perché, seppur sia un po’ fuori mano e abbia avuto negli ultimi anni una vita un po’ complessa, non ho mai smesso di credere in Fior di Risorse e di sostenere la community, anche da lontano.
Sulla newsletter? Beh, la manterrei come elemento di aggiornamento per tutti.
Forse la alleggerirei, a volte, perché ci sono troppi “box”.
Se tutto è importante, nulla è importante.
Su questa in particolare: sì, ho letto l’articolo e lo stralcio di Concita De Gregorio.
Seppur non sia una persona che stimo particolarmente, per idee e battaglie che impugna, ho apprezzato moltissimo il pensiero e ne condivido appieno il senso, che mi trova in linea con la mia necessità di approfondire sempre le cose, nel capire cosa c’è nelle pieghe, nel non soffermarmi allo strato superficiale. Ma soprattutto nel non schierarmi su barricate semplicistiche: sei di destra o di sinistra? sei per Israele o Hamas? Che significa?
Io sono a favore dei poveracci che sono morti e che stanno morendo; siano essi dei giovani israeliani che stavano ballando, degli anziani che stavano a casa preparando il pranzo, delle donne palestinesi che stavano andando al mercato o dei bambini che stavano allegramente giocando.
Dal 7 ottobre, quando Hamas ha sferrato questo feroce attacco, non ho avuto pace. Mi è sembrato tutto così orribile da non capirne il senso. Lo sgomento e il dolore è stato sicuramente più forte di qualsiasi pensiero di prendere le parti di uno o dell’altro schieramento.
Il risultato è stato quello di voler capire, approfondire. Allora nelle ultime settimane ho studiato un po’ di storia di quel territorio martoriato, non solo quella antica, ma soprattutto quella a partire dalla dominazione ottomana ad oggi. E quello che ho capito è che non solo le cose sono molto più complesse di quello che sembrano, ma che la maggior parte delle realtà istituzionali internazionali ce le raccontano un po’ come gli pare, con diverse e contrapposte verità. Ad ogni modo, oggi ne so qualcosina in più, ma non mi accontento.
Sto finendo di leggere “Ogni mattina a Jenin” di Susan Abulhawa, un romanzo che racconta con sensibilità e pacatezza la storia di quattro generazioni di palestinesi costretti a lasciare la propria terra dopo la nascita dello stato di Israele e a vivere la triste condizione di “senza patria”, attraverso la voce di Amal, la brillante nipotina del patriarca della famiglia Abulheja.
Ne consiglio la lettura. Apre la mente, spostando il focus dal pensiero occidentale a quello mediorientale.
Segnalo inoltre una puntata del podcast di Luca Bizzarri “Non hanno un amico”, dal titolo “Se il demente fossi tu”. Mi ha fatto riflettere non poco sul prendere delle posizioni, che non è detto siano scontatamente giuste.
https://open.spotify.com/episode/7h3ayvNiZ8U8QicohoEThb?si=Lmb2LF0HSuKTMQ2nkcPfjg
Certo, l’editoriale è disarmante. Sono anni che osservo il declino del pensiero lungo, del ragionamento. I social, tra cui twitter con i suoi famosi 140 caratteri (non so se questo limite c’è ancora), hanno contribuito alla diminuzione della capacità di approfondimento, di ascolto, di studio e confronto. La questione ha radici profonde però, forse partono dal berlusconismo, dagli slogan, dunque dalla politica che ha smantellato le scuole, le università. Certo è una questione culturale. E’ cambiato il modo di studiare soprattutto. Lo dico sempre alla mia collega apprendista, ragiona, studia e approfondisci le norme, il nostro lavoro (HR Admin) non si esaurisce nel premere correttamente il bottone per elaborare le paghe. Ebbene si, sono d’accordo, è una questione culturale, ma aggiungo, dal mio punto di vista, che è soprattutto una questione politica. La politica non dirige più, non è più libera di esprimersi, e non ha un pensiero lungo, lungimirante. Mancano punti di riferimento per le nuove generazioni, e noi generazione di mezzo, come ci poniamo? in ascolto? in attesa? siamo proattivi? Siamo anche noi sopraffatti dal consumismo, siamo anche noi vittime del marketing? Cosa facciamo per essere lungimiranti, per seminare e immaginare a lungo termine? Dubbi e domande che mi accompagnano ormai da molto tempo…
Ciao Osvaldo,
grazie per lo spunto.
Ho letto l’estratto tutto d’un fiato stamattina appena aperta l’e-mail e poi altre due volte e lo rifarò.
Quello che per ora posso restituire sono alcune parole dell’articolo, da cui la mia riflessione potrebbe iniziare e lo farei individuando questi contesti:
– Coscienza di sè
– Responsabilità umana
– Valore della conoscenza
Ecco le parole in ordine sparso.
pensare complesso scontro ragionamento lutti consenso
squadre destino nostro abitiamoli dolori difficile
culturale intellettuali responsabilità consegna
semplice ignoranza dizionario maestro fragili
fatica privilegio libertà lavoro studia
conflitto concerto diritti risolvere viaggio adesso
definirti esercizio dubbio conoscenza
L’articolo me ne ha ricordato uno su La Domenica de Il Sole 24ore proprio a proposito del ruolo degli intellettuali, di che fine avevano fatto e di come ce ne fosse bisogno per orientarsi nel nostro oggi.
Questo mi porta a chiedermi chi sono gli intellettuali che ascolto, con che modalità, quanto tempo dedico alle riflessioni che dovrebbero seguirne e con chi mi confronto su di esse.
Ho scoperto che sono pochi (Tomaso Montanari, Maura Gancitano, Vito Mancuso, Lucio Caracciolo, Corrado Augias, Telmo Pievani), che mi limito ad ascoltarli sui social o in TV (solo due li ho ascoltati dal vivo), che dedico pochissimo tempo alla riflessione e ho poche occasioni per confrontarmi con altre persone (tendenzialmente amici che la pensano più o meno come me).
C’è molto su cui migliorare, anche per insegnare a mia figlia che a volte bisogna fermarsi e tornare a farsi domande, ricordare la nostra umanità, decidere quale può essere il proprio contributo e mettersi all’opera.
Il mio pensiero è molto semplice: ha ragione Concita; il mondo accelera, le persone accelerano, la comunicazione accelera e per accelerare c’è la necessità di comprendere sempre più velocemente, di “farsi” di un qualcosa di predigerito, di premasticato, altrimenti arrivi tardi e qualcuno ti ha già superato. E’ come comprare Quattro salti in pedella (non ho nulla contro questo prodotto, sia chiaro…) invece degli spaghetti, del pomodoro, del basilico, dell’olio ….. fai sicuramente prima, ma ti perdi tutto il gusto della preparazione, della genialità non spiegabile a parole di certi chef che fanno lo stesso piatto, ma con un gusto diverso.
Tanto tempo fa una persona che lavorava con me inventò un termine: stronzificare, ovvero, semplificare, ma in peggio, “perchè se non lo capisci così, allora sei proprio stronzo”, non sei preparato, non hai nessuna cultura. A “quei tempi” voleva essere un qualcosa di dispregiativo; ecco, oggi, abbiamo bisogno di farci stronzificare le cose, perchè sennò arriviamo tardi …..
Buonasera Osvaldo,
grazie per aver condiviso l’articolo di Concita de Gregorio.
Parto da lontano.
In età dell’adolescenza capitava che i miei genitori o i loro amici ma anche alcuni insegnanti, in risposta a qualche mio commento, evidentemente inopportuno o troppo di parte, su fatti accaduti in paese o notizie del telegiornale, mi dicessero “ma tu che ne sai?”.
Infatti che ne sapevo o ne potevo sapere? Mi ero informata, avevo verificato la fonte della notizia, mi ero confrontata con una persona esperta di quell’argomento? Avevo letto libri o articoli di approfondimento?
Insomma su cosa basavo la mia opinione? E come avrei sostenuto un eventuale scambio di punti di vista?
Sempre in quel periodo ci fu un incontro di quelli che segnano per sempre, nel bene o nel male (dipende). La professoressa di italiano di cui ricordo solo il cognome, Mazzinghi. Era nota per il suo modo brusco, direi non proprio uno “zuccherino”. Severa e razionale.
Mi ricordo in particolare di una volta in cui la Mazzinghi ci mise alla prova, anticipando di una settimana gli argomenti di cui avremmo dovuto scrivere nel tema in classe la settimana successiva.
Tra i 4 topics di cui ogni studente si sarebbe dovuto preparare, c’erano “La situazione in Brasile” e “Che Guevara”.
Io optai per Che Guevara, Elena la mia compagna di classe per La situazione in Brasile.
Fu una settimana di appassionata ricerca e lettura ma anche di timore, considerando che la prof. mi era un pò politicizzata e temevo di una sua possibile reazione dopo la lettura del mio tema.
Arrivammo al giorno fatidico e ricordo ancora il batticuore.
” Bisogna essere duri senza mai perdere la tenerezza” questo era l’incipit da cui avrei sviluppato il mio tema su Che Guevara.
Il titolo esatto del tema sul Brasile non ricordo, mi pare sul regime militare di allora.
Tutta la classe svolse il compito in un silenzio intimorito quasi di presagio di ciò che sarebbe accaduto al momento della restituzione del tema dopo la correzione da parte della professoressa (spero di aver reso l’idea).
Infatti quando la Mazzinghi riportò i temi “corretti” io fui l’ultima della classe ad essere chiamata alla cattedra e prima di me, la sventurata (per dirla alla Manzoni) Elena.
Le riconsegnò il tema commentando a voce alta di come non fosse stata capace di comprendere la realtà e aggiunse, a mio avviso esagerando, “che se un suo amico (della professoressa) che faceva il volontario in Brasile avesse letto il tema l’avrebbe insultata”.
A quel punto ero già sulle difensive, stavo studiando una risposta che fosse razionalmente accettabile ma ero pronta anche a comprendere cosa non avevo saputo cogliere della storia di Cuba e di Che Guevara ma incredibilmente la Mazzinghi si rivolse freddamente verso di me sussurrando che avevo fatto un buon lavoro.
Tornai al mio posto accompagnata dallo sguardo un pò incredulo e un pò compiaciuto della classe.
Da allora sono passati anni e il risultato è stato che non seguo talk show urlanti in tv, diffido degli odiatori da tastiera che sanno e semplificano tutto, mi impegno a leggere giornali che ritengo “seri” e oggettivamente informati sui fatti, cerco sempre il confronto che si basi su argomentazioni valide, dimostrabili e soprattutto che la conversazione non sia un turpiloquio.
Quando e se dubito lo faccio perchè sento che qualcosa non mi convince e che devo ancora “indagare”.
Si, la conoscenza è fatica però stimola molto di più il cervello!
Forse la professoressa di italiano è stata la mia prima mentore intellettuale? Credo di si!
Forse la scuola dovrebbe insegnarci come sviluppare il pensiero critico, stimolare l’approfondimento della storia, allenarci al confronto non urlato, ad argomentare.
Si!
Anche se sono tempi difficili da tanti punti di vista, mi piace vedere che intorno a FiordiRisorse è ancora vivo il dibattito. Soprattutto, mi piace il tono pacato dei commenti che sto leggendo.
Per me la difficoltà nel farmi un’opinione è districarmi tra le fonti di informazione e capire cosa valga la pena leggere e commentare.
È vero che c’è un appiattimento ma la mole di informazioni non aiuta. Credo quindi che andare nella direzione di uno spazio più ristretto e protetto possa funzionare, migliorare la selezione, aiutare il confronto. Serve tornare a toni più calmi, all’ascolto, al tempo per la riflessione.
Ci dovremo impegnare a mantenere questo nuovo luogo attraente (vivo, con contenuti) e anche permeabile all’esterno, per evitare un “effetto Panda” e per consentire ai più giovani di accedere.
Tempi tristi creano uomini forti. Uomini forti creano tempi felici. Tempi felici creano uomini deboli. Uomini deboli creano tempi tristi.
Siamo nella fase dei tempi felici. Che orrore ci attende.
Buongiorno Osvaldo, eccomi.
Ti scrivo volentieri una mia opinione sull’articolo di Concita De Gregorio.
Premessa: la ritengo una brava giornalista e un’ottima scrittrice, tuttavia mi ha un po’ delusa la vicenda di quest’estate legata a dei brutti commenti che ha scritto in un suo articolo sul caso dell’atto vandalico ad una statua da parte di presunti influencer che volevano farsi un selfie.
Ha usato parole davvero brutte, ad esempio “decerebrati assoluti”, “cretini integrali”, per citarne alcune, collegando un atto vandalico alla disabilità.
Il tono era sprezzante e offensivo, ho provato un forte disagio quando l’ho letto.
Uno scivolone che mi ha stupita, da lei non me lo sarei mai aspettato.
Posto che capita a tutti di sbagliare (tra l’altro non mi sono piaciute nemmeno le sue scuse), andiamo oltre.
Il tema cardine dell’articolo mi sembra quello dell’ignoranza.
Non ci sono dubbi: serpeggia ovunque. In TV, nei social, sui giornali, in azienda….
Se vuoi un minimo approfondire, farti domande, scavare a fondo nelle questioni fai fatica a trovare interlocutori.
Le trasmissioni “culturali” vengono snobbate, fatte in orari assurdi e viste da poche persone.
Sono ( quasi ) tutti appiccicati ai social, assuefatti dalle banalità e volgarità della TV di massa, un po’ superficiali e quindi ignoranti.
Questo “mood” lo troviamo pure nel mondo del lavoro.
Quanto è valorizzato chi ha studiato nel nostro paese?
Le lauree, i Master, tutta la formazione che ci siamo fatti con tanti sacrifici, vengono premiate?
Io continuo a vedere Manager impreparati, che non valorizzano il sapere ma privilegiano yes man e yes woman, persone che non si fanno domande, ma che eseguono, infarcite di slogan vuoti e inutili, attaccate ai soldi, al denaro e al potere e pronti al lecchinaggio più becero pur di scalare la gerarchia.
Invece il porsi domande, mettersi in discussione, aprire qualche libro all’anno e possibilmente leggerlo, formarsi, studiare dovrebbero essere alla base della nostra crescita umana e professionale.
Ma si sa, conta solo il profitto.
Ciò che mi fa più guadagnare io lo faccio, anche se la qualità è bassa.
Penso alla TV degli ultimi 20 anni, inguardabile e da evitare come la peste, perché ti impoverisce ed è un insulto all’intelligenza di tutti noi.
Penso ad alcuni guru di LinkedIn che fanno migliaia di visualizzazioni e ottengono migliaia di like senza comunicare nulla o peggio scrivendo banalità assurde, in alcuni casi con post provocatori, ma di quel genere di provocazione stupida.
Gente improvvisata, che non ha studiato, perché se una persona ha studiato ed è competente nella materia di cui parla eccome se si vede.
Dal linguaggio, dall’approfondimento, dal tono, dalle fonti che cita nei post, da come anima la discussione e il confronto, dal valore che porta al network.
Più fai post di bassa qualità, più ottieni like e quindi consenso e quindi potere. E poi soldi.
Ricette per uscire da questa situazione non ne ho.
Nel nostro piccolo possiamo mettere un freno ai social, io per esempio mi rifiuto di essere su Instagram e su altri social che non siano LinkedIn, guardo poca TV, cerco di leggere un libro o di vedermi un bel film e di ignorare l’ignoranza ☺️
Cosa ne penso? Penso che la scolarizzazione in Italia sia a livelli insostenibili, e penso che chi non legge, non approfondisce si faccia guidare da quello che dicono (o vomitano) in TV o da quello che viene postato sui social, senza filtro e senza attendibilità.
Oggi TV e social dominano la comunicazione.
Io certi programmi TV non li guardo, preferisco leggere o guardare una bella partita di calcio/tennis, piuttosto che documentari che abbiano qualcosa da insegnare.
Oggi è tutto tifo da stadio, Istraele o Palestina come Juventus o Inter.
C’è poco da stare allegri.
La mia speranza? I miei figli, che hanno studiato e che viaggiano e coltivano milioni di interessi.
C’è ancora della bella gioventù.
Ciao Osvaldo,
stasera Stefania Suzzi durante la lezione ci ha espresso un concetto, che si ricollega all’articolo di Concita De Gregorio: il cervello umano ha la tendenza a semplificare.
Partendo da questo, non mi meraviglio della brutta aria che tira, quella del tifo da stadio, come lo chiamo io.
La De Gregorio ha sviluppato con una profonda riflessione quello che ci sta accadendo. Mi ci metto pure io, perché se non si rimane centrati e presenti a sé stessi è facile fare come fanno tutti. E sì, costa fatica rimanere centrati e presenti a sé stessi, per non essere risucchiati nella dimensione parallela alla Hunger Games, dove devi tifare, senza pensare, così di pancia.
Una frase, anzi più di una, mi ha colpito dell’articolo: “l’imperativo di generare consenso, ha ucciso la fatica della conoscenza” e qui non posso che individuare una delle cause, o forse la causa, in anni di slogan “per un nuovo miracolo italiano” a reti Fininvest/Mediaset unificate, o nei contenuti beceri di certe loro trasmissioni, che hanno piano piano, come la goccia che corrode la roccia, contribuito a modificare le persone. Ovviamente in peggio.
La TV è cosa seria pure quella, ma nessuno più pensa al ruolo educativo che ha e alla responsabilità pedagogica. Sono lontani gli anni della trasmissione televisiva “Non è mai troppo tardi”, condotta dall’educatore Alberto Manzi e che ha insegnato a mia nonna a scrivere e leggere.
Non puoi esprimere un parere storicamente argomentato sulla guerra israelo-palestinese, perché subito ti ritrovi l’etichetta di antisemita appiccicata addosso, mentre stavo solo cercando di risalire alle motivazioni storiche di una situazione complessa e complicata, non mi interessa di certo “tifare”. Se volessi farlo non farei la fatica di argomentare, ma mi esprimerei a slogan. E poi antisemita a me, che i miei trisavoli erano ebrei praticanti.
Conta il presente appunto, la storia non conta, ragionare e perché? Porsi due domande, non sia mai! È faticoso e fa perdere tempo.
Appunto come ha scritto la De Gregorio: “Non vale più la storia, conta solo il presente. Se dici una parola, se tracci un segno, non importa chi sei, chi sei stato.”
Come sottrarsi a tutto questo? Studiando e studiando e non guardando la TV (almeno nel mio caso). Non guardo i TG, mi concedo solo Report, ma il resto è da evitare, a meno che io non ambisca a regredire allo stadio di italiano medio, come nel film di Maccio Capatonda.
Essere presenti a sé stessi e stare centrati. La meditazione Reiki me l’ha insegnato, ascoltarsi e capirsi, non basta una vita. Scelgo allora consapevolmente di non guardare i telegiornali e le trasmissioni spazzatura. Non è una privazione, bensì attenzione alla dieta mediatica che faccio. Decido io cosa mangiare e voglio mangiare cose buone e sane, perché so che il cervello fa presto ad assuefarsi, lui ama semplificare dopotutto! Allo stesso modo di come la mia pancia amerebbe fagocitare solo chili e chili di Nutella, piuttosto che elaborare altri e più vari cibi.
Una sola battuta mi ha un pò lasciata perplessa, ma conosco la storia di Concita De Gregorio e so che è stata solo una nota di colore.
Mi riferisco a quando dice: “oggi che se correggi l’errore di un più giovane collaboratore ti fa causa per mobbing.” Aridaje con questi giovani! Anche lei si è fatta prendere dalla semplificazione ;)?
Ammetto però che questo è un tasto delicato per me e forse la mia interpretazione è viziata dal fatto che, ahimè, la ferita del mobbing subìto per 1 anno 1 mese e 15 giorni, è ancora fresca.
Per quanto riguarda il fatto di crearci uno spazio lontano dalle urla e dalle tifoserie, lontano dallo stile “mordi e fuggi”, che ci vuole sempre pronti al consumo, anche di notizie, pronti alle abbuffate rapide di notizie, che ci lasciano tramortiti e mai più ricchi, penso sia una bellissima idea. Il pensare non piace al potere e se non piace vuol dire che bisogna coltivarlo.
L’essere umano per ragionare e pensare ha bisogno di calma mentale e non di essere bombardato di continuo con ciò che nessuno ha richiesto. Ha bisogno di circoli aperti all’esterno in cui, quale animale razionale, possa ricercare in modo autonomo la verità. Del resto, da questa stessa esigenza di razionalità nacque in Grecia la filosofia, dove i filosofi mettevano in discussione proprio il senso comune.
Grazie per gli spunti di riflessione che offri e per il lavoro e il tempo che c’è dietro.
L’articolo lo condivido quasi integralmente. Credo che però dobbiamo uscire un po’ dall’assuefazione e dal disfattismo che scaturisce da questo andazzo di basso livello. La tv io non la guardo più da anni, se non per pochissimi programmi ben fatti (rari direi), ma ci sono altre fonti di informazione e buttare al vento i social senza criterio non lo trovo utile. Non possiamo pensare di essere fuori dal sistema e criticarlo come osservatori esterni. Possiamo scegliere di non prendere parte a certe logiche e di premiare chi invece ci prova a ragionare e ad approfondire senza urla o slogan. La semplificazione non è un male assoluto, purché parta da un pensiero complesso: Piero Angela, ad esempio, era un intellettuale che sapeva spiegare e semplificare ragionamenti complessi, senza banalizzarli e senza togliere i dettagli che servono a restituire il quadro di insieme. Io credo esistano persone così, ma non si trovano nella media televisiva o social e vanno cercati nella nicchia dell’offerta che sempre sugli stessi luoghi virtuali è (perché non possiamo abitare mondi diversi). Credo che sia fondamentale fare nel nostro quotidiano lo sforzo di spiegare a chi ci ascolta, di ascoltare chi ne sa di più, ma anche di capire perché alcuni pensieri stupidi e faziosi si diffondono come la peste, da quali motivazioni profonde nascono e a quali paure rispondono. Altrimenti ce la cantiamo e ce la suoniamo da soli, senza raggiungere lo scopo ovvero diffondere pensiero critico, specialmente tra i giovani. Il livello della società è notevolmente più basso di un tempo e lo abbiamo permesso tutti. La politica ha enormi responsabilità, ma i politici sono lo specchio di una popolazione e se loro sono il prodotto allora dove dobbiamo agire per invertire la rotta? Scuola, posto di lavoro e relazioni, dove nasce la società civile e dove si può fare una rivoluzione lenta, silente e paziente, sperando di essere ancora in tempo.