Family audit: le basi giuste per affrontare un’emergenza inaspettata
Dai processi di lavoro alla cultura organizzativa, dalla comunicazione al welfare aziendale e territoriale, fino all’implementazione tecnologica: Family Audit, uno strumento di project management che ha creato, inconsapevolmente, le basi per la gestione dell’emergenza.
Nel 2008 la Provincia autonoma di Trento sviluppa uno standard, poi diventato anche certificazione, diffuso a livello nazionale e riconosciuto a livello internazionale, per lavorare sulla conciliazione vita-lavoro, che si fa conoscere in tutto il Paese sopratutto attraverso due sperimentazioni nazionali, nel 2012 e nel 2015, coinvolgendo anche aziende importanti come Telecom, Enel, Crédit Agricole, A22 e molte altre.
L’idea è quella di lavorare su un sistema organizzativo che permetta ai collaboratori e alle collaboratrici all’interno dell’azienda, (non mi piace chiamarli “dipendenti”, mi piace più l’idea di persone responsabili che partecipano ad un processo produttivo), di creare un equilibrio tra la vita professionale e quella personale e contestualmente di raggiungere migliori risultati per le organizzazioni.
Se per “conciliare” vita e lavoro fosse sufficiente agire sugli orari, i temi affrontati sarebbero solamente quelli della flessibilità oraria, dei part time, del lavoro da remoto (telelavoro o smart working, modalità lavorative molto diverse ma sulle quali si fa ancora confusione), permessi, ecc.
In realtà l’obiettivo del progetto è più quello di creare “armonizzazione” tra vita e lavoro ed è necessario quindi andare molto più in profondità. Armonia significa appunto connettere, collegare, creare unione di intenti, diversamente da conciliare che significa accordare cose tra loro discordanti.
E’ un po’ la differenza che c’è un valzer di Strauss, in cui l’armonia della musica ci pervade fin dalle prime note e la musica trap, creata da suoni e voci messi assieme, che ha un inizio, una fine, anche una sua logica legata all’espressione di contenuti ma che di certo non evoca armonia.
Per poter creare questa armonia, che generi risultati per le persone e per l’organizzazione, è necessario andare più in profondità e per farlo bisogna partire da un’analisi concreta e puntuale. I numeri possono dirci molto in merito a dove siamo e sono anche riferimenti importanti per capire dove vogliamo andare, ma è necessario che siano intelligibili, compresi e interpretati.
Ci sono aspetti cruciali sui quali si lavora (che il Family Audit chiama macroambiti) e sono:
L’organizzazione del lavoro: come è organizzata l’azienda da un punto di vista di orari, flessibilità, permessi, part-time, banca ore, telelavoro, smart working, turni, carichi lavoro, meeting, luoghi di lavoro (se cambiano le modalità lavorative, gli spazi fisici non possono rimanere immutati);
Cultura aziendale: fondamentale! Il vero driver sul quale costruire tutto il resto. Tante aziende non si chiedono nemmeno qual è la cultura che permea le relazioni all’interno dell’organizzazione, eppure da quella e dal modello di leadership, emergono pilastri solidissimi o pericolose sabbie mobili;
Comunicazione, interna ed esterna all’azienda: qual è la modalità comunicativa con i collaboratori? E prima ancora: esiste una modalità comunicativa o ci sono solamente istruzioni impartite, regolamenti, mail lunghissime per passare “la palla” a qualcun altro?
Ci sono dialogo e confronto costruttivo oppure non c’è spazio per questo?
E la comunicazione con i clienti e i fornitori è basata su relazioni sterili o su relazioni di valore, di fiducia e rispetto reciproco?
Welfare aziendale e territoriale: questo ambito, come tutti gli altri del resto, è davvero taylor made, creato, come un abito sartoriale, su misura delle persone che lavorano in azienda e delle loro famiglie. Le esigenze di welfare cambiano tantissimo a seconda delle fasce d’età dei lavoratori e dei loro figli, del territorio in cui si trova l’azienda (pensiamo ad un’azienda di Milano piuttosto che ad un’azienda di Trento: servizi, contesti, esigenze, bisogni, completamente diversi). Si possono organizzare servizi salva-tempo, stipulare convenzioni, dare servizi necessari gratuiti, fare formazione, stipulare polizze sanitarie o di altro tipo e molto altro.
E con il welfare territoriale si possono analizzare le esigenze del territorio nel quale le aziende e i loro lavoratori risiedono e creare rete, con altre aziende, con le scuole, con le istituzioni, per contribuire alla divulgazione di una cultura d’impresa fondata su valori e pratiche che nutrono il tessuto sociale ed economico, e con il Terzo settore per la creazione di una Welfare society, che come ci ricorda spesso il Prof. Zamagni, è l’unica forma di welfare che possa risultare sostenibile per il futuro.
Information technology: la tecnologia è fondamentale. Dove ci sono sistemi informativi lenti, obsoleti, non funzionali ad una buona produttività e per l’evoluzione di un’azienda, sono un freno a mano tirato. Non solo per l’operatività ma anche per la motivazione delle persone. Come posso chiedere alle persone di essere produttive ed innovative se poi devono lavorare su sistemi lenti ed obsoleti?
In questo periodo ho la fortuna di affiancare alcune aziende che hanno intrapreso la certificazione Family Audit anni fa e devo dire che chi ha affrontato il progetto dall’inizio con grande impegno, sfruttando le linee guida proposte, si è trovato ad affrontare questa emergenza con maggiore chiarezza e solidità.
Ma quali sono state le azioni che hanno potuto intraprendere da subito, queste aziende, per far fronte al lockdown?
Ve ne riporto qualcuna, con i riferimenti delle rispettive aziende:
Trentino Sviluppo SpA, un’importante azienda di Trento, con circa 200 collaboratori, ha potuto utilizzare la banca ore solidale (per un valore complessivo di 10 mila euro), creata da poco, per permettere alle persone che non hanno una mansione adatta allo smart working, di prendere ferie, anziché dover accedere alla cassa integrazione, potendo mantenere così lo stipendio completo.
La banca ore solidale, è una sorta di contenitore di ore, costituito da ore di permesso donate dai lavoratori, disponibile per chi all’interno dell’organizzazione ne avesse bisogno, per far fronte ad un’emergenza. Quando è stata pensata, la casistica del Covid19 non esisteva. Si era pensato a molte ipotesi per poterla usare ma mai ad una simile situazione, eppure si è rivelata preziosissima.
Zordan Srl Sb di Valdagno (VI) molto virtuosa su diversi aspetti, sicuramente non solo per il Family audit, che da molti anni lavora su tutti gli asset indicati in precedenza, ha coinvolto da subito tutti lavoratori e i team leader in modo diretto, li ha rassicurati con comunicazioni e meeting costanti, ha fornito l’accesso gratuito a corsi di inglese (già presenti in precedenza ma per i quali erano finiti i finanziamenti), ha progettato un orto aziendale per i lavoratori, ha modificato l’assicurazione sanitaria, già introdotta in precedenza, introducendo la copertura per il Covid19 per i lavoratori e le loro famiglie. Ha istituito un fondo di solidarietà alimentato dalla rinuncia da parte della retribuzione di amministratori e manager, fatto donazioni alla Caritas Diocesana e creato un progetto con Save the Children per la creazione di fondi atti a fornire strumenti necessari allo studio a molti ragazzi della zona che non hanno i mezzi. Su questi progetti, ogni donazione fatta dai lavoratori viene raddoppiata dall’azienda. Sono stati coinvolti anche clienti e fornitori.
Vecomp SpA di Verona ha donato i pc portatili presenti in azienda, non utilizzati, ricondizionati e resi perfettamente funzionanti, ad una scuola, per permettere anche ai ragazzi non dotati di pc, di fare lezione da casa. Ha modificato il progetto della propria Academy di condivisione di cultura d’impresa, intrapreso in precedenza, organizzando formazione e meeting gratuiti con docenti in grado di condividere scenari futuri, indicazioni su come affrontare l’emergenza e il dopo, rassicurando direttamente e indirettamente i lavoratori sui progetti che l’azienda sta seguendo e su quelli futuri.
Tutte loro, avevano già intrapreso progetti di smart working vero, quindi come modalità organizzativa e non solamente come “lavoro da casa”, bensì come attività che mette al centro la persona, la sua consapevolezza e responsabilità, l’attività svolta piuttosto che il tempo e il luogo di lavoro.
Avevano fatto una valutazione delle mansioni che potevano essere svolte da remoto, delle persone con le quali partire per il progetto pilota, delle diverse tipologie di leadership presenti in azienda (se sono presenti manager o responsabili di area che valorizzano la presenza in azienda, è pressoché impossibile far decollare lo smart working, senza prima agire su questo aspetto).
Avevano anche già impostato dei sistemi di feedback e di misurazione. Insomma, i paradigmi sui quali si basa un’organizzazione, erano già stati definiti o quasi.
E’ la differenza tra prendere una persona, magari già uno sportivo, abituato a muoversi, a controllare il proprio corpo, con una buona muscolatura e insegnargli a sciare, piuttosto che dargli sci e scarponi e dirgli di iniziare a sciare tutti i giorni, da solo.
Lo farà, è un’attività vicina a quelle che ha sempre svolto ma è probabile che qualche scivolata nell’ incertezza, nella paura, nel disorientamento e la stanchezza, dovute alla mancata adozione di tempi e modi adeguati, rendano l’esperienza un po’ traumatica e gli facciano registrare una percezione viziata rispetto a ciò che avrebbe potuto essere.
Ora, se dovessi andare a ipotizzare cosa cambierà dopo tutto questo, quali sono gli ambiti sui quali, da un punto di vista aziendale, è fondamentale andare a lavorare, tutto ciò che ho elencato in precedenza, rimane a mio avviso fondamentale.
Il Covid19 sta spazzando via rigidità e convinzioni basate più su abitudini che su analisi di reali necessità.
Il modello lavorativo adottato da molte aziende è ancora quello tayloristico, basato su adempimento, controllo, presenza fisica.
Ora c’è la necessità non di riformare, mettendo delle pezze e facendo degli aggiustamenti, bensì di trasformare.
C’è bisogno di coinvolgere, di comunicare, di creare network etici e che alimentino valore e per farlo abbiamo bisogno di linee guida, di strumenti e prima ancora di visione.
Bisogna creare maggiore responsabilità, per i lavoratori, per i manager, per gli imprenditori, senza la necessità di inserire troppe regole, troppo rigide, che finiscono più per deresponsabilizzare che
per creare solidità e affidabilità.