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Freelance Camp 24-25 Maggio terza edizione. Intervista ad Alessandra Farabegoli

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Il  Freelance Camp è arrivato alla terza edizione; ci racconti cos’è e come è nata l’idea?

L’idea del Freelancecamp è nata a inizio 2012 come risultato abbastanza naturale di una serie di circostanze che, di fatto, accomunavano i percorsi professionali di me, Gianluca Diegoli e Miriam Bertoli. 

Tutti e tre all’epoca eravamo già freelance per scelta, ma con alle spalle una lunga esperienza in azienda; io e Gianluca lavoravamo insieme per diversi clienti e stavamo partendo con i primi Digital Update; con Miriam ci trovavamo spesso a riflettere sul modo migliore di lavorare “da indipendenti”, e, quando lei ci ha raccontato dell’International Freelance Day a cui aveva partecipato, abbiamo subito pensato a come organizzare qualcosa del genere in Italia.

Chi sono i partecipanti al Freelance Camp?

 Ci sono tanti tipi di esperienze: persone che lavorano come freelance da tempo, altri che hanno appena iniziato, e perfino chi è dipendente e si chiede se fare o meno la scelta di mettersi in proprio; ma il camp è aperto anche a chi ha creato una piccola impresa, anche perché poi si tratta quasi sempre di gente che coi freelance lavora su tanti progetti.

Il primo anno il barcamp era di una giornata sola, e ha partecipato una cinquantina di persone; l’anno scorso abbiamo raddoppiato i giorni, e sono raddoppiati i partecipanti; quest’anno, complice il successo degli anni scorsi, l’ampliarsi delle nostre reti e il clamore suscitato da un mio post in cui sollecitavo l’attenzione di Matteo Renzi – non tanto al nostro barcamp, quanto alla questione del lavoro indipendente – abbiamo chiuso le iscrizioni a quota 170 partecipanti due mesi prima della data fatidica, e abbiamo più di cento persone in waiting list; non potremo prenderli tutti, perché la capienza del Boca Barranca non è infinita, ma sicuramente non intendiamo mandare sprecato questo tesoro di attenzione che abbiamo raccolto.

Quale è il valore del network per un freelance?

 La rete è fondamentale: ti fa imparare, ti procura lavoro quando non ne hai, ti permette di gestire le emergenze e i picchi quando ne hai troppo, ti consente di affrontare progetti complessi che richiedono più competenze. Come spiega benissimo Domitilla Ferrari nel suo libro “Due gradi e mezzo di separazione”, fare rete migliora la vita – ma devi farlo con generosità, non pesando col bilancino quel che dai e quel che ricevi!

Freelance per scelta o per necessità?

 Per scelta, senz’altro. Non per tutti è una scelta, e per farla e viverla bene bisogna avere una buona dose di indipendenza e la capacità di focalizzarsi bene su quel che si vuol fare, ma nel mio caso non tornerei mai indietro e non credo che sarei più capace di lavorare da dipendente.

Nel tuo sito si legge:”Qualche volta mi chiamano per evitare di avere un “panel di relatori” tutto al maschile più spesso perché i miei speech sono interessanti e so tenere viva l’attenzione”.  

Ritieni ci siano delle differenze rimarchevoli del femminile e del maschile all’essere freelance?

 No. La differenza è fra chi sceglie di fare il freelance e chi lo vive come un’imposizione del mercato, non si gioca a livello di sesso. Le freelance donne scontano l’assenza di un sostegno adeguato alla maternità – anche se poi gestire un figlio quando non hai orari fissi è da molti punti di vista più vantaggioso – ma la necessità di crearsi una rete di salvaguardia per le circostanze in cui si lavora di meno (una malattia o uno dei tanti casi della vita) accomuna uomini e donne.

Cosa troveremo di speciale quest’anno al Freelance Camp?

Il programma è davvero molto ricco: parleremo di personal branding, di come far tornare i conti, di sopravvivere all’Inps, di fare rete; ci sarà probabilmente un’altra incursione degli Imprenditori Anonimi, e molto altro, da scoprire in diretta – o, per chi non è riuscito a registrarsi, da leggere via Twitter,#freelancecamp, e nei giorni successivi.

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