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Olivettiani a loro insaputa, ma fino a che punto?

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“Il termine utopia è la maniera più comoda per liquidare quello che non si ha voglia, capacità o coraggio di fare. Un sogno sembra un sogno fino a quando non si comincia a lavorarci. E allora può diventare qualcosa di infinitamente più grande”. Norman di Lieto, giornalista SenzaFiltro, fa scivolare queste parole di Adriano Olivetti tra i sette ospiti del secondo panel della prima giornata di Festival, “Olivettiani a loro insaputa”. E così si apre il racconto di donne e uomini che hanno riconosciuto il proprio sogno e stanno cercando di realizzarlo, fino in fondo, per lasciare il proprio segno verso una nuova cultura del lavoro.

Giulia Giuffrè, in videoconferenza dalla Sicilia, dove è nata e vive, racconta del suo percorso nel riuscire a coniugare l’etica del lavoro e le tradizioni famigliari con l’innovazione tecnologica. La sua esperienza si sviluppa nell’azienda di famiglia Irritec: operativa dal 1974, pionieri in Italia dell’irrigazione a goccia, una tecnica inventata in medio oriente secoli prima. L’azienda oggi è tra i leader mondiali nel settore dell’irrigazione di precisione, con uno slogan che non lascia dubbi  per l’ambizione che si pone: “Don’t wait for rain” (non aspettare la pioggia).

Anche il Global Compact delle Nazioni la riconosce nel 2021 come “SDG Pioneer 2021” per la gestione sostenibile dell’acqua, premiando il suo impegno nel perseguire gli obiettivi di sviluppo sostenibile. In Italia, ma non solo: Giulia coordina in prima persona Agrilab, progetti pilota rivolti ai Paesi in via di sviluppo orientati a formare professionisti in loco per dare valore all’agricoltura , migliorare e diffondere nuove tecnologie, incrementare la produzione agricola.

Non ha dubbi sul suo sogno: “L’impresa che pensa ed agisce come entità isolata non ha futuro. E’ importante agire per la comunità, poi il profitto diventa un veicolo”.

Dal palco delle Officine H il secondo a prendere la parola è Danilo Dadda, AD Vanoncini SpA Edilizia sostenibile. Figlio di un muratore, frequentava i cantieri sin dalla giovane età, si presenta spigliato, allegro e diretto con una bella domanda: “Ma che idea avete voi dell’imprenditore edile?”. Costruisce la sua risposta insistendo su due caratteristiche imprescindibili del manager “etico”: la prima è allenare a riconoscere e concentrarsi sui lati positivi delle persone con si collabora; la seconda è quella di abituare le persone della squadra ad apprezzarsi vicendevolemente. “Abbiamo dei gruppi interni di comunicazione in cui ci si confronta, ci si parla, ci si organizza”.

E si percepisce subito che il pubblico in sala comincia a farsi sempre più silenzioso, e Danilo non tarda ad incantarci: “Abbiamo il club del libro: si raccontano le emozioni che si provano leggendo un libro, come primo punto all’ordine del giorno di una delle nostre riunioni di programmazione. Poi abbiamo attivato un laboratorio teatrale che coinvolge 100 collaboratori La verità è che le persone lavorano meglio quando sono “su di tono”. Serve lungimiranza: tutto quello che fai oggi è utile per il domani, dei nostri collaboratori, delle loro famiglie e quindi della nostra impresa. Serve fare la domanda: tu ce’hai il Dio Dentro?”

Anche Danilo non ha dubbi sul suo sogno: fare in modo che tutti possano pensare che un imprenditore edile è acculturato, etico e che fa crescere tutte le persone.

Maria Grazia Fornaroli, Dirigente scolastica presso l’Istituto superiore Leonardo da Vinci di Carate Brianza, esordisce ricordandoci come Olivetti si fosse circondato di umanisti (Volponi, Levi, Sereni) come suoi compagni di avventura. Perché cultura umanistica e tecnologica si alimentano e guai viverli come due mondi separati. La scuola per essere “etica” si deve far carico di sviluppare le capacità espressive e dare spazio alla capacità elettiva a tutti gli studenti e studentesse, sia a quelli che frequentano le scuole umanistiche sia a quelli che frequentano quelle tecniche, evitando di essere ripiegati in maniera statica sulla propria disciplina. Fondamentale poi applicare l’autorevolezza a scuola: da insegnante faccio crescere l’altro, creo spazi di sperimentazione, invento spazi di contaminazione.

Lancia poi un appello: “Siamo fuori dalla storia, la scuola da sola così non ce la fa: non è nemmeno un problema di fondi, bensì un tema di orientamento, nel senso intrinseco della parola (da oriente, risorgere). Aiutateci a far diventare la scuola un luogo olivettiano!” Anche Maria Grazia non ha dubbi sul suo sogno: “Che ogni giovane, bambino o bambina possa incontrare degli adulti capaci di guardare lontano e non utilizzare schemi di cui la nostra società è ancora troppo ricca”.

Poi la parola passa a Luca Carrai, per capire dalla sua esperienza professionale se esistono ancora aziende in Italia che assomiglino ad Olivetti, per i lavoratori nel 2021. Luca ha indagato questo tema terminata l’università, nel 2016, quando ha deciso di inventarsi il suo percorso professionale partendo da un’intuizione: dare una forte visibilità a tutte quelle aziende italiane che già offrono un’eccellente qualità del lavoro e aiutando le altre a migliorare socialmente e, di conseguenza, economicamente. Così nasce Ethicjobs: una realtà che certifica le aziende lavorativamente etiche tramite un percorso di valutazione della qualità lavorativa dei propri dipendenti. Il suo racconto anella storie e speranze :” La paura maggiore che ho raccolto è quella di spendere la maggior parte della nostra vita facendo un lavoro che si odia. Ciascun lavoratore ha delle aspettative ! Puoi arrivare ad avere profitto della tua azienda se tratti bene i lavoratori. Certo è fondamentale fare business, ma trattando meglio le proprie persone”.

Anche Luca non ha dubbi sul suo sogno: lasciare il mondo del lavoro meglio di come lo abbiamo trovato.

Alessandra Barlini, nel CdA di Operàri e membro del Direttivo di FiordiRisorse, interviene poi portando spunti molto concreti di come si organizza un’impresa flessibile oggi, proprio alla luce dell’esperienza vissuta durante la pandemia: l’adozione dello smart working dal 2017; un supporto psicologico per alleviare la solitudine, che ognuno stava vivendo nelle proprie case, per trovare una nuova identità, conoscersi, per ricreare l’unità di un gruppo di lavoro; l’esercizio fisico tramite uno studio fisioterapico; la partecipazione ad iniziative di ritrovo collettivo, come la Milano Marathon. Queste iniziative, che sono state un punto di forza fin dall’inizio delle attività di Operàri, sono anche state premiate a Roma dal Ministero del Lavoro il mese scorso proprio con una delle 105 imprese champion con 5 W del rating Welfare Index PMI 2021.

Il sogno di Alessandra:

“Realizzare un Hub in Sardegna di Operàri, per andare oltre le commesse dei clienti, mettere le persone al centro, perchè noi non siamo il lavoro che facciamo”.

Jacopo Corona, Cofondatore e Amministratore del Microbiscottificio Frolla, che si trova ad Osimo, si presenta raccontando gli ingredienti che sono serviti per preparare l’avventura di questa cooperativa sociale: come tutti i progetti parte da un’idea, ma ancor prima da una storia di amicizia. Jacopo, aspirante pasticciere, e Gianluca Di Lorenzo, operatore sociale, decidono di fare del lavoro sociale una vera e propria scelta di vita. Incontrano lungo il loro cammino anche Silvia Spegne, mamma di un ragazzo con disabilità, che si unisce al team e così parte il progetto: da una parte un’azienda di prodotto (e il biscotto deve essere il più “buono”, per le materie prime e per il procedimento) e dall’altra un servizio verso gli altri: “Volevamo rendere accessibile il laboratorio a chi ha delle disabilità e così sul territorio abbiamo portato una proposta di accoglienza, Noi non abbiamo le porte aperte, non abbiamo proprio le porte: noi accogliamo le proposte di chi abbiamo di fronte”.

Anche Jacopo non ha dubbi sul suo sogno: vendere trasmettere comunicare un prodotto semplice senza renderlo banale, frolla è un sogno dentro al sogno, non vendere la pena ma le qualità di chi lavora dentro all’azienda.

Il panel si chiude con Niccolò Cipriani, Fondatore di Rifò, che ha intrecciato la sua esperienza in Vietnam con quella di provenienza, Prato, per mettere al centro un modello di lavoro “etico”.  In Vietnam ha visto con i suoi occhi il problema della sovrapproduzione di capi che grava sul settore dell’abbigliamento:“Ho ripreso una tradizione pratese, quella di rigenerare i vecchi cenci per farne nuovo filato. Rifò viene dal dialetto toscano, significa rifaccio…un capo, un mestiere. Sento molto attaccamento al mio territorio, un distretto che è ricco di imprenditori italiani, e il desiderio di fermarmi qui”.

Da una carriera internazionale ha cambiato completamente rotta e oggi lavora per un sogno, su cui anche lui non ha dubbi: realizzare un brand di moda sostenibile che valorizzi territorio, persone, idee.

Giulia, Danilo, Luca, Niccolò, Maria Grazia, Alessandra e Jacopo non sono olivettiani aloro” insaputa, ma fanno poco rumore. Sono coerenti nel loro pensiero e nelle loro azioni, possiedono le chiavi per nuova cultura del lavoro, da esportare in Italia in lungo e in largo perchè, a pensarci bene, sono olivettiani a “nostra” insaputa: hanno progetti “nobili” da realizzare, con gambe forte per farli diventare grandi, per il proprio territorio, per i propri collaboratori.

Adriano Olivetti non sarebbe potuto essere più d’accordo con tutti loro: “Il cemento che ci lega è l’amore per l’opera che abbiamo insieme compiuta e alla quale ciascuno di noi ha dato nella misura della sua possibilità e in proporzione delle sue forze, tutto il suo contributo, con umiltà, pazienza, tenacia”

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